Awareness

Anna Rita Ravenna

di Anna Rita Ravenna
Psicoterapeuta – Didatta e Fondatrice Istituto Gestalt Firenze

Pubblicato sul numero 46 di  Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia.

 

Global awerness in the ‘now’, giving attention to the whole of one’s phisical sensation and feelings, both internal and environmental (awerness of oneself and of what one perceives outside oneself), as well as of one’s thought processes.’ (1)

In diverse lingue ho notato che la traduzione della parola inglese ‘awareness’ è complessa, nel dialogo corrente vengono impiegate, di solito, delle perifrasi o si preferisce mantenere il termine inglese. In lingua italiana la traduzione è ‘consapevolezza ’ma non sempre questo vocabolo viene usato in senso appropriato se non piuttosto come sinonimo di coscienza e questo genera confusione. Nel volume sopra citato, ad esempio, l’espressione inglese ‘awareness continuum’ viene tradotta in Italiano con ‘continuum di coscienza’ e questa imprecisione si presenta nel testo anche in altre lingue.

Possiamo considerare la coscienza come uno stato in cui può trovarsi l’essere umano in vita e sottolineo ‘può’ perché la persona è in vita anche in uno stato di coma definito anche ‘assenza di coscienza’, o in uno stato avanzato di Alzheimer; in Psicoanalisi la diade coscienza-inconscio ha generato un’ampia letteratura, e così via in diversi contesti. Non penso di affrontare qui un tema dibattuto da anni in campo filosofico ed epistemologico, desidero solo richiamare con le mie parole l’esperienza soggettiva di chi legge per giungere ad un senso da dare a parole così spesso usate nel lavoro psicologico e, soprattutto, al termine awareness, un senso che risulti condivisibile e praticabile in una psicoterapia ad approccio gestaltico.

Con la parola coscienza intendo, dunque, lo stato nel quale la persona è presente a sé stessa nel qui ed ora ed è potenzialmente in grado di interagire con l’ambiente interno ed esterno sapendoli distinguere (i c.d. confini dell’Io). In questa condizione, quindi, si può entrare in contatto e mettere in relazione gli eventi dei due mondi: cammino per strada assorto nei miei pensieri (cosciente), mi perdo senza rendermene conto (inconsapevole).

Sensazioni ed emozioni e, a partire da queste, immaginazione, pensiero, riflessione, valutazione, scelta ed espressione attraverso l’agire: questo processo nella Terapia della Gestalt prende il nome di ciclo o spirale del contatto ed è un processo attinente al fluire della coscienza ma che può avvenire in presenza o in assenza di consapevolezza. Dello ‘stato di essere coscienti’ possiamo distinguere aspetti e componenti diversi (anche singolarmente misurabili) intrecciati però in una complessa organizzazione funzionale al servizio della saggezza organismica, al servizio, cioè, della capacità naturale dell’organismo di esprimere il miglior adattamento possibile al contesto attuale: cammino, metto un piede davanti all’altro, attraverso le strade, evito di farmi investire, la mia attenzione è rivolta al mondo interno (immaginazione, sensazioni, emozioni, pensieri…), perdo l’orientamento, tutto questo accade in uno stato di coscienza ma senza alcuna consapevolezza. Ad un certo punto … il panico: sono consapevole, so di essermi perso, di aver camminato assorto nelle mie sensazioni, emozioni e nei miei pensieri, di non aver prestato alcuna attenzione consapevole al percorso eppure, in automatico, sono riuscita ad evitare di andare sotto un’auto!

L’ adattamento organismico è creativo, varia in relazione al contesto spazio-temporale e da persona a persona e non sempre è il frutto di una attività intenzionale. ‘Stato di coscienza’ dunque se lo cogliamo nell’attimo fuggente, ‘processo’ se lo consideriamo fenomenologicamente nel suo accadere e divenire. Gli scienziati che studiano quella complessa realtà che è l’esistenza umana definirebbero, forse, la coscienza come un epifenomeno dell’attività biologica dei neuroni cerebrali e dei loro processi biochimici.

Facciamo un passo indietro. Scienza e conoscenza sono due termini non solo assonanti con coscienza ma ad essa strettamente correlati ed ha senso soffermarvisi.

Con la parola scienza, dal latino scire-sapere, si intende un insieme di saperi coerenti, organizzati tra loro ed espressi con linguaggi formalizzati diversi a seconda delle diverse discipline in cui la scienza può essere suddivisa e codificata; la scienza è frutto di ricerca intenzionale e sperimentazione e si sviluppa con procedimenti metodici e rigorosi.

La radice della parola conoscenza è nel latino ‘cognoscere’, a sua volta dal greco antico ‘gnosis’ accompagnato dal latino ’cum’ nel senso di ‘per mezzo di’. Con conoscenza si intende il modo con il quale l’essere vivente meglio si relaziona all’esistente: mondo interno, ambiente in cui vive o altri esseri viventi, non fa differenza; quel modo nasce dalla combinazione tra diverse funzioni della innata saggezza organismica (p. e. la coscienza, l’attenzione..) cui si aggiunge la capacità di apprendere, acquisire, far proprio, entrare in comunione con ciò che emerge in una interazione e che l’organismo ritiene utile integrare in quanto migliorativo della qualità di vita. L’approccio alla conoscenza legato all’attualissima teoria della complessità porta a riflettere sulle diverse modalità del conoscere: intuitiva, teorica, esperienziale…. Oggi appare chiaro come la conoscenza non sia un processo né oggettivo (la scoperta della verità) né esclusivamente legato al soggetto conoscente (individualismo) bensì un processo relazionale tra soggetto conoscente (con la propria visione del mondo, con i propri valori) ed oggetto conosciuto (con il suo manifestarsi) il tutto in relazione con il contesto ambientale e culturale nel quale il processo si sviluppa. La parola processo introduce il concetto di tempo, parla di un continuo divenire, di un costante andare oltre pur nei limiti ma anche nelle possibilità del proprio conoscere ed operare. Questa forma di conoscenza implica ‘sperimentare in relazione con’ dando valore alle differenze ed in sospensione di giudizio, implica soprattutto l’assunzione di responsabilità dell’essere al mondo in contatto con il proprio sentire, pensare ed esprimere attraverso il comportamento una visione del mondo che non può che essere propria, unica e irripetibile lasciando la realtà libera da ogni fondamento e, quindi, da ogni pregiudizio. Possiamo chiamarla ‘pratica o esperienziale’ e distinguerla da ‘concettuale o teorica’ ma soprattutto possiamo definirla ‘conoscenza generativa’ in quanto processo complesso che genera costantemente nuova conoscenza e, quindi, nuovo orientamento attraverso una attenzione consapevole a sé ed all’altro da sé, in continua e mutevole relazione.

E qui arriviamo al punto: attenzione consapevole. Ancora una volta attenzione e consapevolezza possono essere scambiati per sinonimi ma non lo sono. Mentre l’attenzione è quel processo che ci consente di selezionare gli stimoli sia intenzionalmente sia in automatico, non si può avere invece consapevolezza in assenza di coscienza ed intenzionalità.

Con la parola consapevolezza intendiamo, dunque, l’intenzionale e piena presenza a sé stessi (io so = conoscenza, io so di sapere = consapevolezza), si tratta di un’attività autoriflessiva che nasce dall’interesse e dall’osservazione/ascolto di sé a partire dal livello sensoriale e lungo tutto il ciclo di contatto, in sospensione di giudizio. Ancora una volta mi sembra importante sottolineare che occorre riflettere in una ottica di processo; se la potenzialità della ‘presa di coscienza’ di sé nel momento presente (qui ed ora) è una facoltà innata nell’essere umano, lo sviluppo della ‘funzione consapevolezza’ è circostanziale e intenzionale e va a strutturare, nel tempo, lo sfondo di ogni umana esistenza; da questo sfondo, in relazione alle contingenze, emergono in figura le Gestalt interessanti per lo specifico organismo nel qui ed ora. Questo processo può protrarsi, ed è bene che si protragga con diverse intensità e diversi focus, per l’intera vita dell’individuo (continuum di consapevolezza).

Per la qualità dell’esistenza umana è essenziale la relazione tra consapevolezza e cambiamento. L’esistenza umana si fonda per molta parte su comportamenti automatici relativi alla sopravvivenza, al quotidiano ma non solo; questi comportamenti si motivano, si strutturano e spesso si attuano sotto la soglia della consapevolezza, se così non fosse l’organismo dovrebbe, in uno stesso istante, prestare intenzionale attenzione ad una tale infinità di stimoli da restarne sopraffatto. Il sistema nervoso è in grado di strutturare sin dalla primissima infanzia circuiti neuronali che si riattivano automaticamente risparmiando energie che l’organismo può così utilizzare per i continui nuovi, e spesso imprevisti, eventi e relativi bisogni/desideri emergenti. Le abitudini acquisite però rispondono alle caratteristiche di una determinata fase della vita e possono rivelarsi particolarmente disfunzionali se protratte in fasi differenti. Nel tempo la pratica della consapevolezza permette di riconoscere anche a livello di abitudini ciò che è funzionale o disfunzionale nello specifico contesto di vita e rappresenta, quindi, il continuum essenziale per qualsiasi cambiamento/trasformazione intenzionale e di qualità per l’individuo. Personalmente preferisco la parola trasformazione in quanto rievoca in me flessibilità, morbidezza, continuità e mi aiuta ad immaginare un processo in cui ciò che è stato, la storia personale, accompagna l’individuo pur nel suo costante e creativo modificarsi.

L’essere umano è al tempo stesso natura e cultura, caratteristiche personali e apprendimento e, come sostengono Maturana e Varela, ‘mente e mondo sorgono insieme’ (2). Ciò che apre alla com-prensione (al prendere con sé) e, quindi, alla trasformazione è sempre la relazione tra soggetto percipiente e eventi-stimolo del mondo interno, esterno o di entrambi più o meno simultaneamente: si tratti di accadimenti, intenzionali o meno, essi vengono assimilati in quanto appaiono rilevanti nel qui ed ora per gli interessi dell’individuo. Nella relazione interpersonale, ma non solo, possiamo definire com-prensione empatica la capacità di prendere con sé, di sperimentare su di sé le risonanze emotive altrui in contatto con ciò che questa esperienza genera in noi stessi. La consapevolezza è il fondamento di questo processo.

La psicologia, afferma Kohut (3), è quel campo definito dall’empatia, modalità relazionale potenzialmente insita nella natura degli esseri umani. L’ empatia si fonda sull’immedesimazione nella prospettiva (modo di sentire, di vedere) dell’altro/a, prospettiva espressa non solo dal pensiero ma da sensazioni, emozioni, sentimenti, valori… connessi tra loro come origini e conseguenze del pensiero stesso. Se la funzione empatica è naturalmente connessa alla natura umana la sua pratica, e quindi il suo sviluppo, è essenziale sin dalla prima infanzia. La costante pratica favorisce la capacità di entrare ed uscire allo stesso tempo dall’immedesimazione che altrimenti potrebbe risultare una vera trappola. Se l’immedesimazione diventa assoluta, anche se temporanea, la persona non è più in grado di distinguere il sentire dell’altra/o dal ‘proprio sentire per il sentire dell’altra/o’. Ad esempio: se una madre esprime il dolore per la morte di sua figlia io posso essere cosciente del sentimento di dolore che mi attraversa ma non basta. Per poter parlare di comprensione empatica occorre che io sia consapevole di aver preso su di me (com-preso, sentito insieme a lei) il suo dolore e, contemporaneamente, occorre che io sappia riconoscere le mie personali emozioni suscitate dal contatto con il suo dolore. Anche se io provo ‘dolore per il suo dolore’ si tratta di due emozioni, di due dolori distinti, non solo in quanto diverso è il soggetto percipiente ma soprattutto in quanto diverso è l’oggetto della sofferenza: per la madre la morte della figlia e le relative implicazioni, per me il dolore della madre. Senza questa consapevole differenziazione la pratica dell’empatia si esaurirebbe in quella che dovrebbe essere solo la sua fase iniziale: l’identificazione. In questa fase è ‘come se’ io fossi la madre e questo step mi mette in contatto con mie esperienze personali di dolore per la perdita. Senza il passaggio ad uno step successivo, non potrei fare altro che proiettare inconsapevolmente su di lei le mie passate esperienze emotive e non, annullando la sua persona, la sua individualità, il suo sentire. La pratica dell’empatia invece insegnerà ad ogni essere umano, non solo agli psicologi, la capacità di superare questa prima fase ed entrare in contatto con il proprio sentire per il sentire dell’altro/a, insegnerà a potergli/le stare accanto senza alcuna prevaricazione. La continuità della pratica fa dell’empatia un ‘habitus’ che diventa così inconsapevole; ogni volta che sorge il bisogno o il desiderio di riflettere sull’esperienza possiamo, però, deliberatamente aprirci alla consapevolezza (awareness) del processo empatico in sospensione di giudizio rispetto sia al sentire dell’altro/a che del nostro proprio sentire.

Oltre ad essere una utile funzione per la qualità della vita, la consapevolezza è una esigenza irrinunciabile sia a livello individuale che collettivo se l’umana specie vuol dare senso alla propria esistenza ed andare oltre la mera sopravvivenza. Ogni essere umano, pur nei limiti che ogni esistenza porta con sé, ha il potere di scegliere (libero arbitrio) verso quali scopi indirizzare le proprie spinte motivanti (sensazioni ed emozioni) e quali strade percorrere per andare verso gli scopi che si prefigge (immaginazione, intenzionalità, volontà) utilizzando le risorse disponibili materiali e non: pensiero, riflessione, ragionamento, relazioni, confronti, progettazioni, richieste d’aiuto… arrivando così alla messa in atto in un processo ricorsivo tipico dei sistemi complessi: esprimersi. Per esprimersi occorre manifestarsi innanzi tutto a sé stessi attraverso le parole, ultima fase del processo. La consapevolezza si sposa, però, con l’esperienza meditativa, con la parola poetica, con l’espressione metaforica e con quelle modalità espressive che agevolano la conoscenza attraverso l’evocazione. Solo così potremo parlare di emozioni, di sentimenti, di amore, di esperienze esistenziali ed assumerci la responsabilità delle nostre scelte e delle loro anche imprevedibili conseguenze. Solo così potremo coltivare la consapevolezza, la pratica della trasparenza a noi stessi non nel senso di……non vederci affatto nel nostro esistere…. ma nel senso di abbracciare amorevolmente in ogni istante la persona che siamo stati, che siamo diventati e che continueremo a divenire.

 

 

  1. Internatinal Glossary of Gestalt Therapy, directed by Serge Ginger, FORGE, Parigi, 1995
  2. Maturana H. e Varela F. – L’albero della conoscenza, ed. Garzanti, 1992
  3. Kohut H. – Introspezione ed empatia, Raccolta di scritti (1959-1981) a cura di Anna Carusi, ed Bollati Boringhieri, 2003

Riferimenti bibliografici oltre i testi citati nelle note

Kohut H. – La ricerca del Sé, ed. Bollati Boringhieri,2009

Maturana H. – Varela F., Autopoiesi e cognizione, ed Marsilio, 2001

Merleau-Ponty M. – Il visibile e l’invisibile, ed Bompiani, 1969

Naranjo C. – Cantos del despertar, ed. La Llave, Victoria 2002

Naranjo C. – La via del silenzio e la via delle parole. Portare la meditazione nella psicoterapia, ed Astrolabio Ubaldini, 1999

Perls F., Hefferline R.F., Goodman P. – Gestalt Therapy, Excitement and growth in the human personality, ed Astrolabio, 1951

Perls F. – Psicopatologia della consapevolezza, un manoscritto inedito (1965) studiato e commentato da psicoterapeuti della Gestalt, a cura di Robine J. M. e Bowman C., introduzione di Pizzimenti M., ed. Astrolabio, 2023

Polster E. – Ogni vita merita un romanzo, ed Astrolabio, 1988

Quattrini G. P. – L’effetto che fa, ed. Armando, 2021

Quattrini G. P. Per una Psicoterapia Fenomenologico-esistenziale, Giunti editore, 2013

Stevens J. O. – El darse cuenta, Cuatro Vientos editorial 1990

Please cite this article as: Anna Rita Ravenna (2023) Awareness. Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia. https://rivista.igf-gestalt.it/rivista/numero-46/awareness/

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