Storia critica della psicoterapia

Tiberia De Matteis

Tiberia de Matteis, Psicologa e Giornalista
Recensione di Renato Foschi, Marco Innamorati, Storia critica della psicoterapia, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2020, pp. 487

Pubblicato sul numero 43 di Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia

 

E’ il libro che mancava da sempre, un compendio del lungo, articolato e talvolta contraddittorio percorso della psicoterapia, non focalizzato su uno specifico orientamento, ma in grado di spaziare nell’evoluzione del pensiero clinico umano con l’approccio filosofico e critico che caratterizza i due illustri autori, i docenti universitari Renato Foschi e Marco Innamorati, che si sono suddivisi i campi d’indagine senza lasciar trapelare una differenza di stile e di linguaggio tale da intaccare la compattezza unitaria e attraente del volume.

La storia della psicologia è sempre stata drammaticamente inficiata dallo spirito di appartenenza a una corrente o a un movimento, dalla pretesa di divergenze e separazioni nette e codificate, dalla inconciliabilità di messaggi e codici espressivi: ogni libro risulta radicato e inserito nella sua teoria di riferimento con esclusione di ogni altra rappresentazione della mente, dell’individuo, della realtà e del mondo. Sono davvero pochi e ristretti i tentativi di una vocazione manualistica scevra dall’impronta della specifica formazione personale di chi scrive, rendendo obbligatorio il ricorso a un pluralità di letture se si desidera raggiungere un quadro più o meno completo di quello che è accaduto nei secoli riguardo alla cura mentale. È impossibile, pertanto, tacere l’entusiasmo e l’ammirazione per un’opera ardita, quanto ambita, in cui conflitti e contrapposizioni finiscano per annullarsi nel tracciato comune di un’evoluzione spiegata e testimoniata attraverso la contestualizzazione storica.

Vittorio Lingiardi lo afferma validamente nella sua prefazione, ispirandosi pure ai paradigmi gestaltici: «Quella che ne esce è una visione del grande albero della psicoterapia con le radici all’insù, non dettata dall’innamoramento (o peggio dal pregiudizio) per questa o quella teoria, ma da uno spirito, appunto critico, che non può separare la figura e lo sfondo e che non cessa di interrogarsi sulle implicazioni trasversali delle affermazioni formulate e dei dati accostati». Qui si annuncia uno degli straordinari pregi di questa ricerca in cui non c’è traccia di partigianeria, ma una precisa volontà di ricostruzione cronologica che insegue il desiderio di cura e la conseguente pratica clinica dai suoi albori pionieristici alle strutture di pensiero articolate più o meno note. L’impostazione autenticamente e consapevolmente storicista consente di rintracciare il legame indissolubile fra le modalità terapeutiche e l’epoca in cui si affacciano e si sperimentano, anche nelle loro differenze di decodifica e di interpretazione dell’universo circostante.

Guida preziosa e ottimale per gli studenti, ma anche lettura appassionante per i non addetti ai lavori, il libro offre un quadro dettagliato ed esaustivo delle principali proposte psicologiche nonché dei loro singoli esponenti più rappresentativi, collocando il loro sistema di cura nel contesto reale in una reciproca sinergia di stimoli, suggestioni, interrogativi e risposte. Lo sguardo multifocale nei confronti del cammino psicoterapeutico e delle sue sfaccettature risulta perennemente alieno da ogni adesione personale, anche se ovviamente Foschi e Innamorati hanno le loro specifiche appartenenze che però, quanto mai correttamente, non si possono evincere da questo lavoro. I loro talenti si mescolano, si influenzano e si potenziano in una scrittura uniforme che non separa le due voci, ma anzi le moltiplica in un’efficacissima e convincente coralità di osservazioni e di scopi.

L’incipit proietta in tempi remoti con pregevoli riferimenti alla classicità greca, in cui inevitabilmente si fonda ogni scoperta e sviluppo del pensiero e dell’esperienza occidentale, partendo dalla filosofia come pratica esistenziale: non a caso è proprio la forma mentis che contraddistingue i due autori a offrire alla psicoterapia radici più solide e orizzonti più ampi della recente ricerca psicologica. Non sussiste alcun timore reverenziale nell’individuare la fonte originaria della relazione di cura nell’ipnotismo, o addirittura nel mesmerismo: sussistono rispetto e onestà nel segnalare un itinerario di comuni discendenze e di mutuo fertile scambio in un limine di dilettantismo e nascenti professionalità.

Se il Novecento segna il radicamento della psicoterapia con la nascita e la diffusione della psicoanalisi, qui affrontata ecumenicamente, da Freud a Jung, da Adler a Rank, Ferenczi e Reich, e con la comparsa del comportamentismo, gli anni del secondo conflitto mondiale generano un decisivo interesse per la psicoterapia dei gruppi, nonché per lo psicodramma, mentre la scissione della Società Psicoanalitica Britannica regala un dibattito teorico straordinario in cui si distinguono Anna Freud, Melanie Klein e Donald S. Winnicott, in grado di partorire intuizioni geniali e di funzionare da capostipiti delle future espressioni psicodinamiche. Davvero pregnante e onnicomprensiva è la trattazione degli anni Cinquanta con la proliferazione di tanti movimenti, anche legati al clima della guerra fredda. Una pagina intera è dedicata a Fritz Perls, dalla sua formazione con Karen Horney all’influenza di Kurt Lewin incentrata sul concetto di campo, nonché al suo passaggio dall’Istituto di psicoterapia della Gestalt di New York all’Esalen Institute sulla costa californiana. Si legge qui una sintesi intelligente e perfetta che racchiude la vitalità di un orientamento in poche righe: «L’impostazione gestaltista, soprattutto quella di Lewin, e la rielaborazione radicale della psicoanalisi, portarono alla nozione fondamentale della Terapia della Gestalt, per cui il terapeuta aveva come obiettivo la ristrutturazione del campo percettivo del paziente a partire dall’esperienza fenomenica e avalutativa del mondo. Il paziente, con l’aiuto del terapeuta, faceva esperienza della propria realtà interna, di come si sentiva, ricordava, della propria postura, del comportamento non verbale che lo influenzava continuamente. Lavorando sull’unità o sulla disunione dell’esperienza, nel “qui e ora”, sarebbe stato possibile ricostruire le relazioni dinamiche di figura e sfondo fino a quando si fosse raggiunta una nuova consapevolezza della propria realtà psicologica».

Ecco solo un esempio della lucidità intellettuale con cui vengono affrontate e riassunte le posizione teoriche e cliniche di ogni corrente psicoterapeutica: si coglie il fulcro della proposta, la sua ricaduta nella relazione d’aiuto, la sua dinamica riflessiva e critica rispetto all’ambiente circostante e all’epoca storica. Il mutamento del clima sociale è l’alveo in cui si rintracciano i consolidamenti e le esplosioni dei paradigmi più disparati fino alla nascita dell’antipsichiatria, alla diffusione capillare della psicoterapia familiare, alle svolte evolutive della psicoanalisi contemporanea, senza dimenticare la terapia cognitivo-comportamentale, la psicoanalisi intersoggettiva, ma neppure le nuove terapie a relazionalità limitata e le psicoterapie integrative.

Non si tratta però solo di affidarsi a una ricostruzione storica consolidata da informazioni precise e inattaccabili, bensì anche di offrire ai lettori una originale riflessione sulla complessità della trasformazione dell’attitudine alla cura mentale nel corso degli anni. La dissertazione termina con la selezione di quattro nodi fondamentali che possono riaprire il dibattito a ritroso e illuminare nuovamente tutto il percorso con inediti quanto proficui vertici di osservazione e interpretazione: 1. Il ruolo del terapeuta; 2. I pazienti costruiscono la storia delle terapie insieme al terapeuta; 3. Integrazioni/ibridazioni delle diversità; 4. La concezione della relazione fra organico e psichico determina i punti di vista terapeutici.

E se si precisa che «correggere o rendere autonomi sono le nozioni che, anche su un piano simbolico, hanno rappresentato gli specifici obiettivi dei differenti approcci psicoterapeutici», la crisi delle tradizionali istituzioni psicoterapeutiche è denunciata in tutta la sua evidente difficoltà di adattamento alle richieste sempre fluttuanti e mutevoli della contemporaneità. La terapia della mente è diventata anch’essa una sorta di mercato e si trova nella necessità di conformarsi e adeguarsi alle sue regole consumistiche e prestazionali, ma può anche costituire il territorio opposto in cui l’individuo ritrova la sua umanità, sottraendosi finalmente a relazioni economiche e di potere. Nelle pagine ammalianti di questo volume, che non si riesce a interrompere di leggere perché scorre come un fiume gradevolmente navigabile, si scopre più che mai come le memorie del pensato e del vissuto siano i fari del presente e soprattutto i semi di un avvenire in cui forse potranno prevalere i fattori aspecifici della terapia nell’approdo-ritorno all’Itaca della concezione olistica della natura umana.

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