La mia pelle parla: i no che non ho detto. Un caso di psoriasi cronica

Abstract

In questo articolo è riportato un lavoro clinico con un paziente che manifesta sintomi rappresentati da una patologia dermatologica. Vengono sottolineati alcuni passaggi fondamentali che hanno portato al miglioramento della condizione del soggetto e l’importanza di impostare la relazione e il processo terapeutico in un’ottica psicofisiologica e fenomenologica esistenziale.

Alfredo Barbarossa

Di Alfredo Barbarossa

Psicoterapeuta della Gestalt, terapeuta Emdr e Body Work

Pubblicato sul numero 41 di Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia

 

Anamnesi e Domanda

R. è un uomo di 50 anni e si presenta da me con la richiesta di essere aiutato ad affrontare la situazione difficile che sta vivendo in famiglia.

In particolare sottolinea la distanza che oramai sembra inevitabile con la moglie, tanto da paventare una separazione. E’ molto spaventato da questa possibilità e sebbene la decisione sembri essere più una volontà della moglie che la propria, anche lui comprende che la stagnazione a cui la relazione è arrivata necessita di una svolta.

R e’ un uomo pacato, il suo incedere è sempre flemmatico e la sua voce bassa. Già dai primi incontri alcune manifestazioni corporee sono evidenti al mio sguardo; il suo rossore in viso dovuto anche ad una pressione arteriosa alta, una sorta di dispnea che lo costringe a prendere fiato molto spesso e una psoriasi evidente sulle mani che successivamente scopro essere presente in tutto il corpo.

Quest’ultima è piuttosto invalidante, sono quasi 8 anni che ne soffre e non accenna a diminuire, nonostante le ingenti quantità di cortisone che oramai prende da molto tempo.

Mi chiede se è possibile anche fare qualcosa a riguardo.

Questo primo momento della terapia è fondamentale poiché sancisce inevitabilmente la direzione del nostro lavoro in un’ottica fenomenologica esistenziale.

In Gestalt infatti il sintomo viene considerato come un adattamento dell’organismo all’ambiente, il migliore adattamento che l’individuo ha trovato per affrontare parte della propria esistenza ed è per questo che il lavoro clinico non può essere orientato alla semplice eliminazione del sintomo, in quanto per qualche ragione, questo rimane funzionale e indispensabile al mantenimento di un delicato equilibrio. Fritz Perls dice: “Il nevrotico è l’uomo che la società colpisce troppo fortemente. La sua nevrosi è una manovra difensiva per proteggersi dalla minaccia di essere sopraffatto da un mondo onnipotente. È la sua tecnica più efficace per mantenere il proprio equilibrio e il proprio senso di autoregolazione in una situazione nella quale sente che tutto è contro di lui” (F,Perls, 1977)

Gli propongo dunque di affrontare insieme i temi cruciali della sua vita, sottolineando l’importanza di esplorare i vissuti emotivi che hanno accompagnato la sua storia, poiché è proprio da lì che potremmo scoprire la nascita dei sintomi e la manifestazione creativa con cui hanno preso forma nel corso del tempo.

R è incuriosito e accetta di buon grado la proposta.

La storia di R

R mi racconta tanto di sé e i nostri incontri oscillano fra una sbirciatina nel passato ed un tuffo nel presente, dove la gestione delle emozioni nella relazione con la moglie lo destabilizzano e lo rendono sofferente.

Analogamente accade nella vita professionale con i propri superiori e colleghi.

Riporto qui di seguito alcuni episodi che ritengo essere fondamentali nel processo di crescita e consapevolezza che hanno portato R a riappropriarsi della propria vita e delle proprie scelte e che possono rendere più chiari i passaggi affrontati per la risoluzione dei nodi esistenziali.

Il passato

R mi racconta di quando da bambino era costretto a lavorare nella bottega dei vicini e non per una reale necessità economica, piuttosto per la difficoltà dei genitori di poter badare a lui e ai suoi fratelli durante il giorno.

Mi racconta di questa esperienza con connotazioni sentimentali positive. E’ infatti proprio da questa esperienza che successivamente costruirà il proprio futuro lavorativo. Allo stesso tempo ricorda con dispiacere diverse situazioni che lo hanno fatto sentire svalutato, maltrattato e respinto. Ricorda che i suoi superiori lo rimproveravano per gli errori commessi e che, cosa ancora più dolorosa, spesso durante la pausa pranzo era costretto a mangiare da solo nel retro bottega.

Mi riporta il senso di inadeguatezza e di solitudine che doveva affrontare e soprattutto, mi racconta l’impossibilità di poter manifestare questo malessere a casa per non deludere i genitori, “Per non dargli pensiero” dice lui.

Ed è cosi che ha cominciato a pensare di essere sbagliato, di non poter arrabbiarsi e di non poter volere per sé qualcuno che prendesse le sue parti e lo accogliesse nella sofferenza. “ Ho sempre fatto tutto da solo…pazienza passerà…passa tutto” E’ questo il suo mantra che ritornerà continuamente nelle nostre sedute, un “pazienza” che ha il sapore della resa un “passa tutto” che ha il sapore dell’attesa in un agonia alla quale difficilmente riesce a porre fine.

Fra i suoi racconti c’è un grosso fallimento lavorativo.

Dopo aver investito milioni di euro per ottenere e aprire una propria attività, le cose cominciano ad andare male, soprattutto per delle sviste amministrative da parte del proprio socio e di quelli che se ne dovevano occupare, fino a ritrovarsi ad un punto di non ritorno nel quale è costretto a dichiarare fallimento e ripartire da zero.

Gli chiedo come mai non avesse provato a svincolarsi dalle responsabilità che non lo riguardassero, ma lui risponde sempre “E’ andata cosi, non potevo fare nulla”

Quando entriamo in contatto con i sentimenti legati a questa situazione R stringe le spalle, ha lo sguardo triste ed il mento basso, mi dice di sentirsi spesso inadeguato e colpevole di ciò che è accaduto, di cadere spesso in un abisso di autocritiche e di giudizi che lo fanno sentire in ginocchio con il capo chino, anche di fronte alla moglie e ai suoi figli.

Nonostante questo R si rialza e ricomincia a lavorare come dipendente, riuscendo comunque a mantenere dignitosamente la propria famiglia e permettendo ad entrambi i figli di continuare gli studi. “Hai una gran forza” spesso gli dico, ma R non riesce proprio a riconoscerselo.

Circa 10 anni prima del nostro incontro, R attraversa una crisi profonda con la moglie.

Un tradimento da parte di lei mette in discussione la loro relazione, che durava già da moltissimi anni, un tradimento che arriva poco dopo la nascita del secondo figlio e che lui dice di aver accantonato e superato. “Ho avuto i miei momenti difficili ma l’ho perdonata”. Così definisce la situazione riguardo questo avvenimento, dice di sentirsi tranquillo e che i problemi che ha attualmente con la moglie non hanno nulla a che vedere con questo episodio.

Il presente

Il problema più grande oggi è avere a che fare con la consapevolezza che la moglie abbia molti dubbi riguardo i sentimenti per lui, che sia confusa e che spesso gli dica che non sappia più se sia innamorata e se abbia voglia di continuare o separarsi.

Lui mi conferma di essere ancora innamorato e di non sopportare più questa incertezza. E’ in questa occasione che la dispnea si fa sempre più accentuata, mentre mi racconta prende fiato, come se avesse bisogno di una boccata d’ossigeno e la paura e la rassegnazione dipingono il suo sguardo teso e semichiuso.

Mi chiede di aiutarlo a separarsi dalla moglie prima possibile perché non ce la fa più a sostenere questo dolore e questo peso, pensa molto spesso a dover andare via di casa. Non riesce a prendere una decisione per sé.

Nei momenti di esplorazione dei sintomi, R mi dice di aver cominciato a soffrire di psoriasi poco dopo il tradimento della moglie e questo dettaglio aprirà più avanti scenari inesplorati fino ad allora.

Un’altra difficoltà di R riguarda il lavoro.

La “titolare” (cosi spesso la definisce) sembra che abbia su di lui un ascendente negativo. Mi racconta infatti che è solita chiamarlo nel retro del negozio per parlare delle proprie sofferenze, difficoltà e per vomitargli rabbia e delusione per come procede la propria vita.

Inoltre si sta rendendo conto che, quasi automaticamente, si ritrova a fare delle cose che vanno ben aldilà delle mansioni richieste a lavoro. A volte l’accompagna per alcune faccende e si ritrova a fare turni massacranti perché dice : “e’ un favore che faccio alla titolare”

Il lavoro in terapia

In Gestalt i sintomi vengono considerati come parti di sé inespresse, e come tali è importante dargli voce per comprendere fino in fondo a quali bisogni corrispondono.

E’ per questo che in una delle nostre sedute invito R a presentificare e giocare il ruolo del Sintomo in modo da poter entrare in contatto con quella parte lasciata sullo sfondo e che in qualche modo si presenta, nel suo caso, sotto forma dipsoriasi.

In questo ruolo R comincia a descriversi come un’entità dal colore rosso fuoco, che provoca un inspessimento della pelle e che ha la funzione di arrecare prurito e fastidio fino ad arrivare a sanguinare o a screpolarsi.

La sua presenza sembra avere una duplice funzione: da un lato di auto segnalazione di sensazioni corporee sgradevoli come agitazione e prurito che spesso lo inducono a grattarsi fino a farsi del male e dall’altra genera un sentimento di vergogna e disgusto, funzionale , a tenere lontano la moglie.

Ricerche condotte da V.Ruggieri e coll. Hanno dimostrato che i dermopatici presentano difficoltà di contatto interpersonale e che ciò che si manifesta attraverso la pelle rappresenta un meccanismo di difesa che serve proprio a compensare una scarsa capacità a demarcare i propri confini corporei (V Ruggieri, 2001)

R infatti mi dice che da quando ha questo problema, i rapporti con la moglie sono diminuiti e che spesso evita il contatto perché si sente inadeguato o perché il continuo fastidio non gli permette di viversi con piacere la sessualità.

L’ipotesi quindi è che la rabbia inespressa sia stata da un lato retroflessa (meccanismo di difesa che impedisce di canalizzare emozioni ed espressioni all’esterno rivolgendola verso se stessi) e dall’altro utilizzata, in maniera creativa, attraverso le pustole sulla pelle, come confine di contatto. In merito a ciò è importante sottolineare che alcune ricerche hanno dimostrato che i soggetti in anger-in (rabbia rivolta verso se stessi) manifestano una reazione fisiologica di aumento della pressione sistolica e di tachicardia e che quindi il rossore costante sul viso e la pressione alta di R potrebbero rappresentare una sintomatologia dovuta all’inibizione dei sentimenti di rabbia. (V.Ruggieri, 2000).

In qualche modo dunque R porta con sé nella memoria corporea ed espressiva quella impossibilità ad esprimersi, che gli ha permesso in passato di sopravvivere mantenendo l’equilibrio familiare, preservando e rassicurando la parte di sé timorosa di non essere amato dai genitori.

Oggi la stessa paura si affaccia nella relazione attuale ed il terrore di perdere l’amore della persona che ama non gli consente di fare alcun passo verso se stesso, nè tanto meno verso il confronto più adulto e nutriente con la moglie.

La svolta

Ad un certo punto però, mentre proseguiamo nel gioco delle parti, R mi comunica di cominciare a sentire una forte rabbia, mi racconta per la prima volta della sua delusione e del dolore che ha provato quando ha scoperto il tradimento della moglie, mi dice che per tanto tempo è passato sopra questo sentimento perché aveva paura di perderla mostrando il suo disappunto e perché una parte di sé riteneva fosse inappropriato verbalizzare ciò che provava.

Lo invito ad esprimere in studio questo sentimento trattenuto per anni, immaginando di dire ciò che prova alla moglie.

Quello che accade mi stupisce profondamente; vedo un uomo completamente diverso, trasformato nel volto e nel tono della voce, le sue parole verso la moglie nascondono un profondo rancore e un dolore immenso.

Dopo un lungo dialogo in cui rabbia e tristezza si alternano vorticosamente, un pianto accompagna il processo fino ad arrivare ad una sorta di “liberazione” così come la definisce.

Finalmente R si da il permesso di essere arrabbiato, di esprimere la propria delusione e soprattutto di confrontarsi con la potenza che quell’energia sprigiona. Una forza che non conosce e che sente ancora pericolosa per se stesso e distruttiva per la propria relazione.

Nelle sedute successive il nostro lavoro si focalizza principalmente sulla rielaborazione dei vissuti di rabbia, sul riconoscimento della stessa e sulla possibilità di poterla esprimere in un modo che ritiene sia accettabile per sé.

Esploriamo la relazione fra lui e la moglie partendo da ciò che li ha fatti incontrare e da quello che ha contribuito all’allontanamento. Questo momento è importantissimo, poiché gli permette di osservare, con una lente differente, i vissuti emotivi legati alle fasi cruciali della propria storia di coppia e gli consente di riconoscere e ridistribuire le responsabilità dei fatti e dei comportamenti a ciascun membro della coppia.

A tal proposito Bert Hellinger scrive Mi assumo la mia parte di responsabilità per il fallimento della nostra unione, e ti lascio la tua parte di responsabilità per questo fallimento, Questa è la frase che più di tutte aiuta a sciogliere le tensioni…sono sempre due le persone che contribuiscono alla rottura di una relazione non c’è mai un solo responsabile e nessuno è solo vittima. Quasi tutti dimenticano questo nella tempesta emotiva che accompagna le separazioni. Ci torturiamo per cercare di capire come si sia potuto arrivare a tanto, pieni di rabbia contiamo gli errori del partner per dimostrare che la colpa è tutta sua…dopo poco il nostro animo cambia e cominciamo a dirci che siamo noi ad aver sbagliato tutto…il passaggio dalle accuse reciproche all’assunzione della responsabilità alleggerisce la sofferenza legata alla separazione e apre la strada al ringraziamento per ciò che si ha avuto”. (B.Ulsamer, 2000)

Successivamente R comincia a rendersi conto di non essere solo stato una vittima in questa storia ma anche attore responsabile di alcune dinamiche che hanno portato alla crisi.

Comincia ad emergere la consapevolezza che molti atteggiamenti che riteneva essere buoni per la serenità del rapporto, come evitare il conflitto o preoccuparsi costantemente dei bisogni della moglie a scapito dei propri, forse non erano poi cosi buoni come immaginava.

La paura di deludere e di far stare male l’altro, si trasforma piano piano in una possibilità di crescita e individuazione. L’angoscia di dover soddisfare sempre le aspettative evolve in una energia spesa ad ottenere rispetto per se stesso, attraverso confini chiari e più flessibili.

Cambiamenti

R comincia a raccontarmi delle sue piccole conquiste, ciò che prima lo terrorizzava diventa la sua forza. Impara a dire no alla moglie quando sente di subire un torto e propone soluzioni diverse e più aderenti ai propri bisogni: “ho pensato che non sarò io ad andarmene di casa, in fondo è lei che è confusa, è lei che sta mantenendo oggi questa situazione di ambiguità, io so che voglio stare con lei, le darò il tempo necessario per trovarsi un lavoro e se si sentirà ancora confusa riguardo i nostri sentimenti allora è meglio che vada”

Questo Mettere per la prima volta delle condizioni non lo fa sentire intrappolato e gli permette di continuare a vivere con lei in casa con meno angoscia e frustrazione.

Anche a lavoro mette dei paletti molto più rigidi scoprendo, quasi da subito, che in questo modo ottiene maggior rispetto dal capo e dai colleghi che invece di pretendere chiedono il permesso.

Passano i mesi e le nostre sedute hanno un sapore diverso, c’è meno tensione e la dispnea sembra essere scomparsa, riflettiamo sulla possibilità di vederci di meno e monitorare la situazione.

R infatti mi riporta sempre più spesso un senso di serenità pur non avendo ancora riscontrato un vero e proprio equilibrio nella coppia.

Aver dettato delle condizioni precise riguardo la separazione e aver chiarito a se stesso l’importanza di prendersi cura di sé mettendo dei confini, gli hanno consentito di riappropriarsi di un potere personale che aveva perso e di non sentirsi più in balia degli eventi.

Ci congediamo per la pausa estiva proponendo di verificare dopo le vacanze il suo stato.

Il saluto

Al rientro le cose sembrano molto cambiate. R mi racconta che a casa la situazione e’ migliorata, che si confronta molto di più con la moglie e che lei è più affettuosa. Anche lui sente di potersi avvicinare a lei, accettando la possibilità di sentirsi rifiutato senza troppa paura. Hanno deciso di riprovarci, aiutati da un professionista che li accompagni in un percorso di coppia.

Mi comunica anche che sente di essere pronto per “camminare da solo” e di voler mantenere la possibilità di riprendere lo spazio di terapia se ne dovesse sentire il bisogno.

Prima di salutarci però mi accorgo che è da molto tempo che il problema della psoriasi non è più argomento delle nostre conversazioni, decido allora di chiedere come sta rispetto alle eruzioni cutanee. R mi guarda con gli occhi sgranati e mi dice, quasi come se fosse la prima volta anche per lui, che in effetti la sua psoriasi è regredita. Che da un po’ di tempo non ha più manifestazioni sul corpo e sui piedi e che ogni tanto ricompare in forma blanda sulle mani.

Mi dice anche che effettivamente è da qualche mese che ha ridotto notevolmente l’uso di cortisonici e che la sua condizione fisica è migliorata.

Piacevolmente colpiti da questa novità ci salutiamo con un sorriso e qualche lacrima e con la fantasia che quei segnali della pelle cosi fastidiosi, cosi aggressivi e dolorosi possano essere per lui una bussola emotiva, un alleato da prendere in seria considerazione quando si troverà nuovamente in conflitto con se stesso e con le scelte della propria vita.

Mi piace citare a conclusione di questa storia una frase di Perls che dice:”Se ti assumi la responsabilità di quello che stai facendo,del modo in cui produci i tuoi sintomi, del modo in cui produci la tua malattia,del modo in cui produci la tua esistenza
al momento stesso in cui entri in contatto con te stesso allora ha inizio la crescita, ha inizio l’integrazione” (F.Perls, 1980)

Bibliografia

M. Andolfi, la crisi della coppia. Una prospettiva sistemico relazionale, Raffaello cortina Editore, 1999.

S. Ginger, Iniziazione alla gestalt- l’arte del con-tatto, Roma, Edizione Mediterranee, 2005.

F. Perls,  L’approccio della Gestalt, testimone oculare della terapia, Roma, Ed. Astrolabio 1977.

F, Perls La terapia gestaltica parola per parola, Astrolabio Ubaldini, 1980.

V. Ruggieri S. Giustini. Il contatto interpersonale test analisi e problematiche psicofisiologiche, edizioni universitarie romane, 2015.

V.Ruggieri, Semeiotica dei processi psicofisiologici e psicosomatici, Roma, Il pensiero scientifico, 2000.

V.Ruggieri, Mente, corpo e malattia, Roma, il pensiero scientifico, 2001.

Bertold Ulsamer, Senza radici non si vola. La terapia sistemica di Bert Hellinger, edizioni Crisalide, 2000.

.

Please cite this article as: Alfredo Barbarossa (2020) La mia pelle parla: i no che non ho detto. Un caso di psoriasi cronica. Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia. https://rivista.igf-gestalt.it/rivista/la-mia-pelle-parla-i-no-che-non-ho-detto-un-caso-di-psoriasi-cronica/

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento