L’Io e lo spirito: democrazia e empatia, vie per la trascendenza

Valentina Barlacchi

Introduzione al V Convegno di Arti e Gestalt – 29-30 Maggio 2021

Omaggio a Hanna Arendt, Simone Weil, Lou Andreas Salomé

di Valentina F. Barlacchi – Didatta e Direttrice Didattica IGF

Pubblicato sul numero 41 di Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia

 

Il mondo della Gestalt si occupa della qualità della vita.

Alla base del punto di vista della Gestalt a orientamento fenomenologico esistenziale c’è un campo di forzeche si può esprimere attraverso l’espressione di Buber Io-Tu, come scala per il cielo, via per la trascendenza.

Un campo di forze non è un oggetto, è un fenomeno che accade tra almeno due soggetti; l’incontro è un’esperienza che può essere vissuta a pieno se non cerchiamo di capire razionalmente l’altro, di conoscerlo in qualche modo per dominarlo, ma se ci accorgiamo che possiamo dire e conoscere Io, solo in relazione a un Tu.

La relazione dialettica che si crea, se l’altro è un Tu e non un oggetto, ci rimanda al mondo del trascendente edell’invisibile, inteso in senso laico come l’insieme che è più della somma delle parti e che nasce dalla relazione tra le parti, Io e Tu, ed è invisibile.

ALBA. A che ora è la solitudine? La solitudine è alle quattro del mattino. Veniamoci incontro, dice la notte al giorno. È il bel compromesso che chiamiamo alba. da La cura dello sguardo. Franco Arminio

Nell’approccio fenomenologico-esistenziale non ci occupiamo principalmente della meccanica del contatto, ma della qualità dell’esperienza del contatto che viviamo all’interno di questo campo di forze. Il campo, dato dalla relazione, è capace di innescare tra le persone circuiti energetici, di una portentosa potenza creatrice e trasformatrice, come è capace di condurre in inferni di vita, dove aggressività e violenza rendono l’aria tossica e invivibile.

1 Iniziazioni al gusto dell’etica e al valore delle differenze: dalla famiglia, alla scuola, alla società

Il problema del potere è strettamente connesso alla relazione Io-Tu.

Questo lo vediamo in tutti gli ambiti della vita sociale, familiare, nazionale, internazionale.

Il tema del potere, della forza, dell’aggressività, della violenza sono strettamente connessi alla relazione Io-Tu, così come lo sono i temi di attaccamento, legame, empatia. La Gestalt si occupa di aiutare a distinguere tra esperienze tanto diverse, tutte legate al soddisfacimento degli istinti di base, e a gestire le emozioni secondo la propria responsabilità e gusto etico. Si tratta non solo di educare gli altri, ma sperimentare ogni occasione di incontro, per educare noi stessi a gestire le differenze.

La parola response-ability porta proprio al tema del potere, prendersi il potere di trovare, inventare una risposta per far fronte ai vari eventi della vita esterna con gli altri e interna con se stessi.

Non si tratta di correggere, né di controllare, ma di migliorare, di trovare modi e comportamenti che funzionino meglio nella complessità del vivere; si tratta di convertirsi, come dice Buber, ad un agire nuovo, creativo e più democratico.

(…) Non so chi sono

ho perso senso

e bussola privata

ma obbedisco

a una legge

di fioritura

a un comando precipitoso

verso luce

spalancata

Chandra Livia Candiani-da Fatti vivo.

Hanna Arendt nel suo saggio “Sulla Violenza” non accetta la teoria che la violenza sia l’espressione più tipica del potere e propone l’ipotesi che il potere sia una forma socialmente accettabile della violenza, sostenendo che il contrario della violenza non sia la non-violenza ma appunto il potere.

La Gestalt fenomenologico-esistenziale accompagna le persone ad assumersi il potere di scegliere in ogni occasione della vita, prendendo atto che anche il non farlo si tramuta in una scelta che la vita e gli altri fanno per te.

È interessante riflettere su come la A. sciolga il concetto di potere da quello di violenza e sostenga che la violenza compare dove il potere ha cedimenti e non funziona. Là dove la violenza prende campo è capace di distruggere il potere, senza crearne uno nuovo, dando invece vita alla tirannia e al terrore.

Gli effetti devastanti del fenomeno della violenza, si vedono bene su larga scala in alcune vicende sociali e politiche nel nostro paese e nel mondo, fino a entrare nel segreto di contesti familiari, dove prevaricazione e abuso si trasformano in un dominio tirannico, fondato sulla schiavitù per terrore, che sarà spesso pronto a esplodere a sua volta in una nuova violenza.

Nel saggio, l’autrice fa riferimento anche alle forme contemporanee di dominio, come quello della burocrazia, dove nessuno può essere ritenuto responsabile, come diventasse un governo di nessuno, una forma di non governo, dove non c’è più nessuno con cui discutere, a cui poter presentare le proprie lamentele; dove tutti sono in ugual misura senza potere. Maggiore è la burocratizzazione, maggiore è l’attrazione esercitata dalla violenza.

In un’ottica democratica intrapsichica e sociale la A. ci aiuta a tornare alla fonte della cultura greca e romana, dove parlare di costituzione come isonomia per le città stato ateniesi e di civitas per i romani, non significava parlare di potere e di legge basati sul rapporto comando/obbedienza e che non identificava il potere con il dominio, né la legge con il comando. Non si tratta cioè di un dominio dell’uomo sull’uomo, né il riconoscimento delle leggi è l’obbedienza ottenuta mediante violenza, ma ci vuole il sostegno del popolo, che è la continuazione del consenso che ha dato vita alle leggi.

Se portiamo le sue parole a livello intrapsichico e interpersonale, si tratta di arrendersi al fatto che l’amore, il riconoscimento, l’apprezzamento che tutti vogliono non hanno niente a che fare con l’obbedienza e l’assoggettamento; nessun potere che abusa della libertà dell’altro, potrà mai essere corrisposto con un amore sano e libero.

Per Hanna Arendt sembra che per evitare la violenza sia importante occuparci del potere, voce del verbo potere, opposto dell’impotenza, e dell’agire, come capacità di dare inizio a qualcosa di nuovo. Potere in tal senso ha a che fare dunque con l’assumere la responsabilità di immaginare un futuro, delle proprie scelte e del proprio libero arbitrio.

Sempre nel saggio “Sulla Violenza”, Hanna Arendt parla di come il vecchio adagio nazionalista: “Non c’è nessuna alternativa alla vittoria” crei basi pseudorazionali a teorie e conferme a ipotesi che non tengono conto dell’imprevedibilità della vita e dell’impossibilità di avere controllo sul corso degli avvenimenti.

Questo aspetto è molto rilevante nel come si affrontano i problemi sociali/politici riguardanti le vicende dei paesi e tra paesi, così come la vita delle realtà sociali più piccole fino ai nuclei familiari. Di fronte ai problemi si possono fare congetture, strategie e deduzioni pseudorazionali e pseudologiche, ma se si prendono come fatti oggettivi, portano a credere in architetture speculative di non fatti e a non vedere più l’altro come soggetto, né noi stessi come parte attiva del gioco. Si nega la paura ma si costruiscono muri, fili spinati, teorie e strategie di pensiero per avvalorare le scelte “per la sicurezza e la giustizia dei cittadini”.

La A. ci porta a considerare una visione del pensiero come logica, che si muove per via immaginativa e non deduttiva; la logica coinvolge l’esperienza del sentire, oltre a quella del pensare e non potrà mai essere puramente frutto di algoritmi digitali.

In caso contrario, si perde il carattere umano delle relazioni, che invece sta alla base di qualunque visione micro o macro, se vogliamo che il mondo sia un luogo di permanenza possibile e non infernale.

Si tratta di immaginare nuovi spazi delle relazioni come base della vivibilità umana in tutte le dimensioni del sociale e di guardare alle persone come parte dell’ecosistema Terra.

L’alternativa a “Non c’è nessuna alternativa alla vittoria” è che possiamo salvarci solo se ci occupiamo di questo Tu che ci definisce e a cui siamo interconnessi: possiamo solo salvarci tutti o nessuno.

Per questo, forse, cantavamo per farci coraggio, per tenerci vivi e perché pensavamo che poteva essere il nostro ultimo fiato e allora era bello che fosse un coro”. Alessandra Ballerini da Fifa nera, Fifa blu.

Je est un autre

Rimbaud

2 Iniziazioni alla differenza tra politically correct e etica

Possiamo considerare i diversi aspetti della relazione, legati al valore di etica, estetica e logica all’interno della convivenza sociale, in un’ottica di diritti, di libertà, di democrazia, come base di un vivere pacifico tra gli esseri umani, e capace di garantire un ambiente sufficientemente sano per far crescere le giovani generazioni e quelle che verranno.

In Gestalt si considera la persona come una molteplicità interna, con un io organizzatore che spesso si perde in un’attività tirannica, rappresentando una sola parte che vince sempre, o perde sempre.

Per andare oltre il muro della paura, della violenza, dell’ipertrofia di io in un regime monarchico, abbiamo bisogno di affacciarci all’ignoto, al misterioso, al non ancora concreto, finché l’anelito dell’intenzione non trascenda le forme conosciute, per mettere fine ai conflitti distruttivi e poter sviluppare uno sguardo allargato, capace di immaginare l’impensabile come uscita dal problema.

Per vivere le differenze come ricchezza, abbiamo bisogno di buttare giù barriere mentali e ideologiche che separano il pensare dal sentire e dall’immaginare, che ci allontanano dal percepire cosa ci accade nel corpo e come si maschera la paura e non solo. Quando ci facciamo travolgere dall’onda delle emozioni non riusciamo a accorgerci di quali sono i copioni ricorrenti di come ci muoviamo nel corpo, nelle emozioni e nel pensiero.

Se iniziamo a osservarci, quasi in uno stato meditativo, nel movimento nascente della mente, degli stati d’animo e del corpo, possiamo accogliere qualunque movimento interno senza esserne completamente dominati, o anestetizzati. Questa osservazione di sé permette il fiorire del seme dell’empatia, come pratica di ascolto dell’altro, accorgendosi di non essere l’altro.

Edith Stein ci ha aperto l’osservazione sulle porte dell’empatia, come capacità fondamentale di metterci nei panni del diverso da noi. Questa capacità ha bisogno di pratica.

Come i bambini sanno benissimo si gioca “come se fossi te”, ma non sono te. Questo giocare nella terra di mezzo del come se, permette di cogliere l’esperienza di essere qualcun altro, proprio grazie al contrasto primo piano/sfondo, con cui la mia diversità fa spiccare in modo tridimensionale la tua presenza davanti a me.

Nella pratica dell’empatia impariamo che parola, immaginazione e sensazione fisica sono unite in noi, non sono scindibili e che la conoscenza del mondo può essere solo una costruzione soggettiva per via empatica.

Simone Weil parla così degli altri “(…) Percepire ogni essere umano (immagine di se medesimi) come una prigione in cui abita un prigioniero, con tutto l’universo attorno.”

Esempi di disobbedienza civile

Nella relazione di aiuto siamo chiamati continuamente a porci questa domanda sulla differenza tra morale e etica, tra ciò che è politicamente corretto dichiarare a seconda dei contesti e quali comportamenti e scelte hanno realmente un buon sapore etico nella relazione con gli altri e con se stessi. Molti conflitti interni vengono da una morale assorbita e introiettata che non lascia spazio ad altre parti di fiorire e a una libertà etica di esprimersi.

Hanna Arendt ha scritto un libro su Disobbedienza civile, che può aprirci molte visioni su questa differenza in ambito politico e sociale. Rifacendosi agli esempi di Socrate e di Thoreau, pone la questione dal punto di vista del dialogo tra sé e se stessi, mettendo in luce la differenza tra diritto e giustizia e tra il tribunale esterno e quello interno, con cui dobbiamo convivere per una vita.

Se la morale ci fa apparire giusti davanti allo stato e alle sue leggi, l’etica è una questione soggettiva che ha bisogno di un dialogo interno tra le parti. Si tratta cioè di scelte di comportamenti che possono anche non convenire e per i quali si dovrà pagare davanti alla legge, ma che ugualmente si intraprendono assumendosene i rischi.

Hannah Arendt offre questa definizione: “La disobbedienza civile insorge quando un numero significativo di cittadini si convince che i canali consueti del cambiamento non funzionano più, che non viene più dato ascolto né seguito alle loro rimostranze o che, al contrario, il governo sta cambiando ed è indirizzato o ormai avviato verso una condotta dubbia in termini di costituzionalità e legalità. Gli esempi sono numerosi: si pensi ai sette anni di guerra mai dichiarata al Vietnam. (…) In altre parole la disobbedienza civile può essere posta al servizio di un cambiamento auspicabile e necessario o di un altrettanto auspicabile mantenimento e ripristino dello status quo. (…)”.

Per riportare un esempio eclatante di disobbedienza civile in Italia:

Carola Rackete, comandante della “Sea Watch”, una nave che – con il suo carico di 42 naufraghi – è stata costretta per 17 lunghissimi giorni a rimanere in alto mare, al limite delle acque territoriali italiane. Alla fine, la scelta di Carola: “Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio, ma i 42 naufraghi sono allo stremo. Li porto in salvo”.

Nella relazione di aiuto l’esprimersi secondo una propria etica ha anche a che fare con il mettersi in gioco personalmente, accettando e riconoscendo i propri limiti.

Un esempio di espressione fuori dal politically correct, lo troviamo in altro campo, nell’arte grafica e narrativa di Zerocalcare, in tutte le sue produzioni. In Kobane Calling, reportage in forma grafica del suo viaggio in Siria, al confine con la Turchia, in appoggio al popolo curdo di Rojava, lo incontriamo come uomo, con la sua visione personale autobiografica che trascende se stessa e incarna un’epoca, il vento di un periodo storico sociale, non solo la propria molteplicità interna. Zerocalcare ha un’onestà intellettuale e un’autoironia tale che il suo sguardo è limpido, intriso di etica personale, senza scivolamenti in buonismi di senso comune moraleggiante.

Mammut- Mo’ tu mi guardi negli occhi. E mi dici che davvero ti trasferiresti qua.

Zerocalcare- Bè, caro amico mammut. Ci sono momenti in cui vorrei essere un poeta. E saper toccare le corde del cuore con parole antiche e nuove. Ma dovrò invece cercare di articolare una risposta col povero lessico che la vita mi ha lasciato in dote…Col cazzo.

Mammut- Aaah! Lo vedi?! Lo vedi??? So’ 200 pagine che lo dico!

(…)

Zerocalcare: Madonna, io te lo dico, un altro cimitero non lo reggo, me sa. Già c’ho il magone.

Armadillo: E vabbe’. Ti sei tenuto un paio di bustine di chai. Al limite lo pippiamo, se ci prende brutta.

(In questo mio sconforto posso parlare solo col mio amico immaginario, che non mi giudica quasi mai).

(Zerocalcare da Kobane Calling)

3 Iniziazioni dal micro al macro – dal blocco al flusso

Tutte le creature sono assoggettate al pensiero; per questo sono tristi nel cuore, e piene di afflizioni. Come un messaggio spedisco me stesso al pensiero, per poi sottrarmi ad esso secondo il mio capriccio. Sono come l’uccello del cielo, il pensiero è come la mosca-che aiuto potrebbe mai darmi, la mosca?” Jalal-Od-Din-Rumi

Nel modello della Gestalt lavoriamo orientati verso un’esistenza appoggiata alla fede laica nella vita, che abbia come sfondo sempre presente il ricordo della morte, approdo certo della nostra permanenza sulla terra, e allo stesso tempo l’infinito, come orizzonte di trascendenza che possiamo scegliere di seguire.

Se la trascendenza non comporta naturalmente i colori di bello, buono e logico, il libero arbitrio invece ci permette, come esseri umani, di scegliere una direzione verso il valore etico, estetico e logico, e svilupparne un gusto.

Gli eventi della vita quotidiana sono spesso visti in una logica lineare basata su causa-effetto e sulla mente che governa con il suo pensiero le relazioni, dove l’unico orizzonte diventa la possibilità di vincere o perdere, puntare su chi ha ragione e chi torto, e su chi riesce a far prevalere la propria opinione.

Quando si separa il pensare dal sentire, rischiamo di ritrovarci in una vita fatta di cose materiali, con avvenimenti solo concatenati secondo una logica lineare e ne perdiamo il senso, il sapore esistenziale; come se reificare le esperienze ci lasciasse pieni di significati ma vuoti di senso.

È nel corpo che sentiamo e pensiamo. Siamo esseri umani con un corpo e proprio questo mezzo grandioso e finito nel suo funzionamento, se lo ascoltiamo, può condurci a contatto con l’infinito.

Salomè nei suoi scritti “L’erotismo” e “Sull’amore” parla di come, per raggiungere un senso di unità corpo-mente, abbiamo bisogno di un ponte che è l’altro da noi, attraverso l’esperienza psico-fisica erotica, che è una follia e allo stesso tempo seria. Ci parla di delirio amoroso del desiderio, che quanto più è incondizionato e febbrile, tanto più tesse questo legame di felicità tra io e mondo.

L’amore, nell’atto erotico fisico o intellettuale, comunque sensoriale, trascina con sé tutti gli organi e così accende il processo creativo. In L’erotismo Salomé scrive:

L’altro per noi diventa il punto di congiunzione con la vita, questo esterno delle cose che non si riesce mai a includere del tutto nel nostro interno: il mezzo col quale la vita per noi diventa eloquente, trova la lingua e gli accenti che colpiscono la nostra anima. Nel suo significato più profondo amare significa conoscere qualcuno il cui colore le cose debbono assumere se vogliono arrivare davvero fino a noi, in modo che esse cessino di rimanere indifferenti o terribili, fredde o vuote. (…) come se l’oggetto amato non fosse più soltanto se stesso bensì anche la foglia che trema sull’albero, il raggio che si riflette sull’acqua -una sensazione trasformata in tutte le cose e che trasforma tutte le cose- un’immagine fatta esplodere nell’infinità del tutto, cosicché ovunque vogliamo andare ci troviamo sempre in patria”.

Se stabiliamo con il mondo un rapporto ludico, creativo e poetico, per Salomè allora incontriamo il punto di congiunzione tra processi creativi e artistici, esperienze mistiche e innamoramento. Questo contatto con Tu è la via della creazione nella vita e nell’arte, come porta per la trascendenza.

Simone Weil, anche lei, parla del contatto come porta: “L’esperienza del trascendente; quest’espressione sembra contraddittoria. Eppure il trascendere può essersi reso noto solo mediante il contatto. Le nostre facoltà non possono fabbricarlo.”

L’arte nelle sue varie forme – corpo, danza, voce, teatro ma anche meditazione e pratiche psicofisiche, come yoga, feldenkrais, tai chi – sono esperienze che portano a varcare la soglia, a passare dal blocco al flusso, facendoci scoprire il nostro funzionamento in un’unità di corpo, mente e spirito. Attraverso la pratica dell’attenzione, coltiviamo la percezione del nostro centro come ritorno a casa; da qui, possiamo non essere travolti dalle onde del nostro sentire in relazione al mondo e da qui ci possiamo irradiare e espandere come creatori delle nostre opere.

Per passare dal blocco al flusso bisogna ripartire dalla pratica dell’attenzione che, come dice la Weil, costituisce nell’uomo la facoltà creatrice. Nell’attenzione e nell’ascolto sottile, ritroviamo quel piacere di fluire tra pensieri, emozioni e comportamenti che ci indica, per differenza, quel sapore di sforzo eccessivo, che non serve se non a irrigidirci e a tenerci lontani da una fioritura creativa, nell’arte di vivere, di creare, di tuffarci nella vita.

Weil indica una pratica che, per sua natura, è diversa dall’attaccamento poiché ha a che fare con il diventare intimi con il vuoto: “quell’attenzione tanto piena che l’Io vi scompare. Privar tutto quel che chiamo io della luce dell’attenzione e proiettarla sull’inconcepibile.”.

Come dice Simone Weil, distinguendo l’attenzione dalla concentrazione e volontà: “Ci può essere qualcosa di più sciocco del tendere i muscoli e di serrar le mascelle a proposito di virtù, di poesia o di soluzione di un problema? L’attenzione è tutt’altro.”

4 Iniziazioni al gusto e al valore etico dell’arte

Arte e Eros

Fu su richiesta di Martin Buber che Lou Andreas Salomè scrisse “L’erotismo”, pubblicato nel 1910. Già in “Sull’amore” Salomè aveva parlato di come l’arte e il processo creativo abbiano un’inestricabile connessione con l’erotismo, a partire dalla dualità interna di femminile e maschile di cui ogni essere umano è impastato.

Arte e eros chiedono di uscire dai circuiti ripetitivi, che per abitudine continuamente si instaurano nel vivere quotidiano, basica forma di sopravvivenza e di conservazione di ciò che è solido. Non si può disdegnare tale atteggiamento di conservazione, ma la vita, nella sua chiamata alla vitalità, chiede eros e arte.

Nell’atto creativo, come nell’erotismo, si intrecciano gli opposti di felicità e sofferenza, così come istanze interne opposte tra egoismo e altruismo, individualismo e fratellanza, singolarità e socialità. Lou Salomè indica “come amare e creare siano alla radice identici”; come creatività intellettuale e artistica e eros siano di natura molto simile, vivendo delle stesse intermittenze tra pienezza e svogliatezza improduttiva e spenta. Così come l’altro non ci apparterrà mai e rimane una stella luminosa, così l’opera vive di vita propria. È proprio questa impossibilità di possedere l’altro e l’amore, che rende potentemente creativi, in una ricerca di unità perduta. Salomè insiste che se è attraverso il contatto, tra incontro e opposizione, che possiamo diventare fertili fino a diventare creativi, è importante comunque rimanere due, affondando saldi nelle proprie radici.

La proposta di Salomè indica la creatività come sintesi che trascende gli opposti e che ci permette di fare i conti con i nostri limiti narcisistici: “Sono sempre i nostri muri quelli contro cui urtiamo e su cui proiettiamo la nostra immagine del mondo, sia che cerchiamo di amplificare il nostro spazio, sia che vi accatastiamo i nostri beni”.

COLTIVARE. Incontrare una donna vuol dire che ci è stato assegnato un pezzo di cielo. Amare non è volere qualcosa da qualcuno, non è aspettare il desiderio degli altri, ma coltivare un pezzo di cielo qui sulla terra.

Franco Arminio-La cura dello sguardo.

Dalle macerie alla bellezza nascosta

Nella Gestalt a orientamento fenomenologico-esistenziale, ciò che ci preme esplorare, vivere, far fiorire, è una cultura di una visione della vita che ci restituisca il mistero, il miracolo della vita stessa nella sua imprevedibilità, nella sua infinità, che può essere raggiunta solo trascendendo con l’immaginazione e l’intenzione ciò che la nostra mente può intravedere con la sua razionalità.

Nel “quadro invisibile” di Romano Gasparotti si parla di un’opera d’arte che non va interpretata, capita, cercandone il significato negli oggetti rappresentati, ma di un’opera da cui lasciarsi coinvolgere, assorbire e che proprio entrando in questo assorbimento si ri-crea, continuamente, nell’incontro con l’altro. L’opera ha un ritmo che è dato dal potere fluttuante delle immagini che sorgono e decadono per nascere nuovamente.

La nostra esperienza del mondo non si riduce alla visibilità, per cui, in un’opera, parole e segni non sono i significati, ma è l’esperienza che se ne fa come insieme a rivelare qualcosa del quadro.

L’arte non è il prodotto di un pensiero secondo causa-effetto, ma è un evento spiazzante.

Un artista che crea un’installazione ha bisogno di prevedere nelle macerie di un luogo abbandonato la bellezza potenziale e può solo immaginare l’effetto composizione che scaturirà dalle modifiche di forme e dalle aggiunte di tocchi di colore.

È l’arte di fare piccoli spostamenti, e cambiamenti che facciano possibilmente un grande effetto, come risultato nella percezione di chi partecipa della nuova configurazione.

Possiamo dire metaforicamente che questo intervento artistico sia analogo alla ricerca e allo sguardo curioso e creativo che le situazioni problematiche dell’esistenza ci richiedono se non vogliamo trasformare la nostra vita in una discarica abbandonata.

FARMACI DEL PAESAGGIO. (…) Esiste un voyeurismo buono, quello del paesaggio. Spiare come stanno, dove stanno le cose: quel cancello, quel vaso di gerani, il vecchio sulla panchina, la macchina parcheggiata, la ragazza col telefonino, la cattedrale e l’albero solitario. È la meraviglia del mondo, e noi siamo animali che abbiamo bisogno d’aria per vivere, dovremmo fare solo due cose ogni volta che è possibile, camminare e guardare. (…) C’è una clamorosa infermità che ci accomuna, è la schiavitù di noi stessi, (…) Non è facile uscire da questa schiavitù, ma intanto è bene svegliarsi presto la mattina e guardare il cielo e poi guardarlo ancora molte volte durante il giorno.”

Franco Arminio-La cura dello sguardo.

Immergerci nel processo creativo, seguendo le parole di Lou Salomè, ci risveglia facendoci accorgere che spesso guardiamo ma non vediamo, ascoltiamo ma non sentiamo, tocchiamo ma non percepiamo. Questa mutilazione dei nostri sensi, come canale di conoscenza del mondo, chiude le porte dell’arte e del dialogo con l’altro da noi. Se Io si mette continuamente nel mezzo a qualunque processo di avvicinamento all’altro, l’incontro non avviene. Se siamo sempre nel mezzo a voler dire la nostra, non abbiamo spazio per accogliere qualcosa di diverso, né abbiamo il ritmo interno per accorgerci di quando la creazione è pronta e ha bisogno di essere lasciata andare fuori nel mondo, da sola, senza che ci appartenga più.

Niente, è che a me piacciono da sempre

le cose mute,

quando l’io zittisce

e si alza il volume della voce

non degli uccelli

ma anche del silenzio dell’armadio

e del tavolo

della lampada e del letto.

Allora niente,

vivo in una nuvola di luce

dove tutto rabbrividisce

e fa parola, allora bevo

all’orlo del mondo

alla sua fontana.

Chandra Livia Candiani da La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore

Bibliografia

Arendt Hanna (1996) Sulla violenza. Guanda Editore

Arendt Hanna (1970) Disobbedienza civile. Chiarelettere

Arminio Franco (2020) La cura dello sguardo. Bompiani.

Ballerini Alessandra e Terranera Lorenzo (2017) Fifa nera-Fifa blu. Donzelli editore

Buber Martin (2014) I and Thou- Il principio dialogico e altri saggi. San Paolo Edizioni.

Buber Martin (1987) Confessioni estatiche. Adelphi edizioni

Chandra Livia Candiani (2007) Bevendo il tè con i morti. Interlinea

Chandra Livia Candiani (2014) La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore. Einaudi.

Chandra Livia Candiani (2017) Fatti vivo. Einaudi

Gasparotti Romano (2015) Il quadro invisibile. Cronocopio

Lorenzoni Franco (2021) Conferimento Laurea Honoris Causa www.youtube.com/watch?v=hYXqlEHexYQ

Quattrini G.Paolo (2011) Per una psicoterapia fenomenologico-esistenziale. Giunti, Firenze.

Quattrini G. Paolo (2007) Fenomenologia dell’esperienza. Zephyro Edizioni.

Quattrini G. Paolo (2021) L’effetto che fa. Armando Editore.

Salomé Lou Andreas (1985) L’erotismo. La tartaruga, Milano.

Salomé Lou Andreas (2012) Sull’amore. Fiabesca Benedetti Maledetti

Stein Edith (2002) L’empatia. Franco Angeli

Weil Simone (2017) L’ombra e la grazia. Bompiani

Zerocalcare (2016) Kobane Calling. Bao Publishing

Please cite this article as: Valentina Barlacchi (2020) L’Io e lo spirito: democrazia e empatia, vie per la trascendenza. Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia. https://rivista.igf-gestalt.it/rivista/lio-e-lo-spirito-democrazia-e-empatia-vie-per-la-trascendenza/

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