Filosofia antica e mito
Andrea Duranti – Gestalt Counselor e Counselor filosofico
Pubblicato sul numero 45 di Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia
“Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre” Salustio, Degli dèi e del mondo
La filosofia antica trae ispirazione e attinge le proprie radici nel mito. Entrambi, filosofia e mito nascono dal sentimento complesso dello stupore e della meraviglia: “La meraviglia è essenzialmente domanda di una spiegazione, di una ragione: essa nasce dall’esperienza, dall’osservazione di un oggetto, di un evento, o di un’azione di cui si vuole conoscere il perché, ossia la causa” ( Berti, In principio era la meraviglia, Laterza, p.8). La filosofia essendo, oltre che amore della sapienza, istanza del logos sul senso delle cose incontra nel suo procedere, attraverso l’uso della ragione e l’argomentazione razionale, i propri limiti. L’uomo per narrare e spiegare fenomeni del cosmo, di se stesso, della religione o dell’essere indicibili all’argomentale logico – discorsivo, trova una strada più percorribile rispetto a quella del logos ovvero quella mitica religiosa: “Il mito è il primo gradino nel processo di comprensione dei sentimenti religiosi più profondi dell’uomo; è il prototipo della teologia” (L.Gilkey, Il destino della religione nell’èra tecnologica, Roma, 1972, p. 163). Il mito riesce attraverso l’uso di metafore, narrazioni, allegorie ed immagini a descrivere aspetti dell’essere, della cosmogonia, altrimenti non descrivibili attraverso l’uso del linguaggio logico – verbale che ha una natura discreta. La metafora e il simbolo nel mito infatti, con il loro potere evocativo riescono a narrare un’interpretazione e una spiegazione dei fenomeni della natura e della vita e dell’anima, che il logoscon la ferrea legge del principio di’identità e di non contraddizione, non riesce a cogliere. A tal proposito Platone nel “Fedro” dirà: “Dell’anima, propriamente può parlarne solo un Dio. L’uomo può solo accennarne per simboli ed immagini” (Fedro, 246a)“.
La dicotomia presente nell’animo dell’uomo tra ragione – logica e immaginazione – poesia, per dirla con il linguaggio di Pascal – esprit de geometrie ed esprit de finesse– è stata avvalorata nel Novecento con gli studi della Scuola di Palo Alto (Bateson, Watzlawich ed altri) e dai neurochirurghi Sperry e Gazzinga, attraverso gli studi neurologici degli emisferi celebrali. L’emisfero sinistro è stato visto è deputato al “capire” ovvero alle funzioni della razionalità, della logica, dell’aritmetica, mentre l’emisfero destro è deputato a funzioni del “sentire” quale l’intuizione, le emozioni, l’empatia e l’immediatezza. A partire da queste istanze strutturali presenti nell’animo umano e nella sua fisiologia, non meraviglia trovare fin dalla nascita della filosofia greca la presenza del linguaggio mitico e il suo presentarsi sistematico anche nel Novecento.
La lettura della nascita della filosofia greca come rottura, cesura, iato, rispetto al mito è una lettura riduzionista che non restituisce la complessità culturale del fenomeno della nascita della filosofia. Il mito, la mitologia dei poeti è presente dall’età arcaica, tuttavia le storie dei poeti che raccontavano delle lotte tra gli dei e delle vicende che avevano portato alla generazione di tutta la realtà, erano favolose e meravigliose, cioè non soddisfacevano pienamente all’esigenza di una spiegazione chiara e conseguente del mondo. Stupivano ancora più che convincere. Sotto il velo del fantastico era già presente una ricerca delle “cause prime” del mondo che percorreranno i primi fisici naturalisti (Talete, Anassimandro, Anassimene). Il primo filosofo naturalista, Talete sarà colui che per avvalorare la tesi dell’ilozoismo e del panteismo, dirà: “Tutto è pieno di dei”. La visione mitico – religiosa è presente già nel proto filosofo.
I vari filosofi, presocratici sono immersi nell’humus della religione ufficiale greca “apollinea” – olimpica e nelle religioni periferiche di origine agreste – “dionisiaca”, quali l’orfismo, i misteri dionisiaci, ad esempio quelli di Demetra e Core ad Eleusi.
I riti misterici sono la via per la salvezza oltremondana dell’anima, la quale è legata al corpo come in una tomba (sòma=séma). L’anima può liberarsi, purificandosi da questa caduta e dai peccati solo attraverso molteplici trasmigrazioni (metempsicosi e metemsomatosi) che così la ricongiungono al dio spezzando la catena delle nascite. Tale visione religiosa ed escatologica la ritroviamo in Pitagora ed in Platone –il mito di Er narrato nel decimo libro della “Repubblica”-, ove la filosofia sarà la strada per liberare l’anima dal corpo. Occorre precisare con Berti che: “I Greci avevano una religione, ma alla base di essa non vi era alcuna Rivelazione: non vi era alcun libro “sacro” che conteneva verità che dovevano essere credute in modo assoluto. Non ritenevano che i miti sugli dei fossero opera degli dei stessi, bensì di poeti, cui si poteva credere “se la propria città lo esigeva, o anche non credere” (Berti, cit., p. V.).
Parmenide di Elea, nel proemio del suo poema “Sulla Natura”, immagina di essere trasportato su un carro trainato da focose cavalle e in compagnia delle figlie del sole, al cospetto di una Dea, la quale gli rivela “il solido cuore della ben rotonda Verità”, questo dimostra l’utilizzo di un’immagine metaforica che lo agevola nell’introdurre la sua dottrina dell’essere.
Platone, a differenza di Aristotele filosofo della logica e del sillogismo, utilizza la mitopoiesi ai fini di enucleare la propria filosofia in piena integrazione e senza discapito del logos argomentativo – dialettico. Il mito diviene in Platone funzionale alla sua filosofia. Vediamo brevemente, i momenti maggiori in cui Platone utilizza i miti –immagini nella sua opera. L’uso di immagini quali la biga alata nel “Fedro”, per spiegare la dottrina della reminescenza, ove “conoscere è ricordare”; l’immagine della caverna propria del settimo libro della “Repubblica”, con alto valore metaforico della gnoseologia platonica, che spiega la figura del filosofo – politico (il filosofo dopo aver visto il Sole – idea somma del Bene- torna nella caverna dagli uomini incatenati per narrare loro l’esperienza vissuta); il mito di Er nel decimo libro della “Repubblica”, tematizza l’escatologia delle anime sulla vita futura; il mito di Eros nel “Simposio” ove introduce la natura di Eros, figlio di Pòros e Penìa, ingegno e povertà e la figura del filosofo come perfetto “amante” intermedio come Eros tra il sapiente (Dio) e l’ignorante; la figura del demiurgo nel “Timeo”, divino artefice che plasma il mondo a somiglianza delle idee. Il mito in Platone era un modo, un linguaggio lecito di esprimere la verità delle cose. La visione del mito come favola è stata convalidata nel medioevo dai padri della Chiesa e da molti filosofi moderni.
Nel’età moderna sarà Gian Battista Vico il filosofo italiano con cui nasce la scienza del mito. Dopo il periodo rinascimentale, con Pico della Mirandola e Giordano Bruno che al mito applicarono una lettura esoterico – magica, Vico nella “Scienza Nuova” afferma l’autonomia del mito. Il mito non ha sapienze celate da rivelare, non è un prodotto inferiore dell’intelletto, bensì esprime la genuina concezione del mondo propria dell’umanità primitiva. I miti sono dunque una forma di pensiero pre- logica, fantastica di dire la verità, sono la metafisica dei popoli antichi.
A partire dal novecento vari studiosi di storia delle religioni (Eliade), di psicologia (Freud), di filosofia (Heidegger), di antropologia (Lévi – Strauss), di teologia (Bultmann) hanno suffragato l’interpretazione del mito come espressione della verità.
Heidegger dopo la Kehre, in cui l’uomo viene pensato in rapporto all’essere e non più come in “Essere e tempo”, l’essere in rapporto all’uomo, da notevole importanza al linguaggio. Il linguaggio è la “casa dell’essere” (Lettera sull’umanismo, p. 267), il luogo in cui si manifesta l’evento dell’essere. L’uomo di questa casa è l’ospite, in cui è il linguaggio che possiede l’uomo e non viceversa. Il linguaggio che meglio rivela l’essere del linguaggio è il linguaggio poetico. E’ qui nel linguaggio poetico che avviene il manifestarsi dell’essere: “La poesia è l’istituzione in parola dell’essere” (Holderlin e l’essenza della poesia trad. it. ne La Poesia di Holderlin, Adelphi, Milano, 1988, p. 46).
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