Un paradigma che guarda alla totalità

Leonardo Pereira Liberati

Leonardo Liberati – Psicologo

Pubblicato sul numero 43 di Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia

È il 22 Aprile del 1978, le strade di Kingston (capitale della Jamaica) sono affollate di gente che aspetta di assistere ad un evento storico.

Il clima nel paese non è dei più rosei, giacché è in atto una vera e propria guerra civile tra il Jamaican Labour party di estrema sinistra e il People National party, ancora legato agli interessi britannici. I toni del dibattito politico si sono fatti così aspri che i leader dei due partiti isolani, Michael Manley (PNP) ed Edward Seaga (JLP), sono perfino arrivati ad ingaggiare bande di criminali di strada al fine di minacciare la controparte. Così, vi fu un susseguirsi di attacchi terroristici e rappresaglie che minò la tranquillità dell’isola caraibica.

Ma questo 22 agosto sta per accadere qualcosa che nessuno si aspetta. In Jamaica il confine tra arte, spiritualità e politica non è così ben definito. Per questo alcuni gruppi pacifisti ebbero l’idea di organizzare un grandissimo concerto, chiamato One love Peace concert e di invitare i leader di entrambi gli schieramenti.

Come avveniva già negli Stati Uniti, negli spettacoli di Elvis Presley, un ragazzo bianco che faceva musica nera. Spettacoli in cui gli ingressi erano differenti per bianchi e neri, ma in cui la musica riusciva dove la politica falliva e durante le performance il pubblico si mischiava, abolendo le differenze.

Anche in questo caso, le diverse idee politiche e sociali, non potevano nulla contro l’amore di questo popolo per la sua musica, la sua vita.

Chi poteva immaginare che potesse essere l’inizio della fine dei conflitti? Chi in questo modo? Il tutto accadde in un preciso momento, quello in cui un giovane cantante mezzo jamaicano e mezzo inglese, di nome Bob Marley, esibendosi in un brano intitolato jammin “uniamoci”, condusse i due leader politici a stringersi la mano in pubblico per la prima volta dopo tanto tempo. Un’unione che va al di là delle differenze di principio e di ideali, un’unione finalizzata ad un bene superiore.

La psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) sembra chiedere proprio questo: unione, unione tra esperti e professionisti di vari settori per un fine superiore: la cura della persona.

La cultura occidentale è tradizionalmente da sempre fortemente permeata dal dualismo cartesiano, in cui da un lato abbiamo la materia estesa, cioè che occupa uno spazio e con cui possiamo avere a che fare in una relazione analogica e fisica, mentre dall’altra abbiamo la materia pensante e pensata, che può palesarsi soltanto tramite i nostri atti.

Della prima si occupa la radice “neuro” di questo approccio, mentre per quanto riguarda la seconda, la “psiche” si presenta come oggetto di studio sempre molto discusso e mai chiarito del tutto.

Ma come possiamo fare a mettere insieme queste due realtà completamente diverse ai nostri occhi e concepite così distanti tra loro?

Due linee di pensiero che hanno le loro fondamenta agli antipodi, agli estremi di una retta. Un arcano: chi è nato prima l’uovo o la gallina? È la mente ad essere un prodotto del cervello e siamo solo un insieme di reazioni chimiche? Oppure c’è qualcosa di più, oppure siamo più della somma delle nostre sinapsi?

Lo stesso Cartesio ipotizzò un punto in cui la res cogitans e la res extensa giungessero a toccarsi, un punto in comune. Questo punto, la ghiandola pineale, oggi i neurologi lo chiamano anche epifisi.

L’epifisi è una ghiandola endocrina appartenente all’epitalamo e per questo motivo è estremamente importante sia per quanto riguarda il sistema endocrino che per quello nervoso. Il suo coinvolgimento è preponderante per quello che concerne la regolazione dei ritmi di sonno-veglia, i ritmi circadiani, tramite la produzione di un ormone particolare, la melatonina.

Nella prospettiva della PNEI, la ghiandola pineale gioca un ruolo essenziale, in quanto modula l’attività dei tre sistemi fondamentali della vita biologica: il sistema nervoso, quello endocrino e quello immunitario.

E se fossimo noi quella ghiandola pineale, quella “jammin” e quella Jamaica “bene superiore” ed unificatore di una destra legata ai suoi beni materiali (res extensa), biologismo e una sinistra idealista e troppo eterea per non guardare dall’alto la troppo poco degna materia?

Sembra essere questa l’intenzione di questo articolo intitolato “Un nuovo paradigma per le scienze e le professioni psicologiche e psichiatriche” elaborato dalla Commissione nazionale Discipline Mentali della Società Italiana Psiconeuroendocrinoimmunologia (Dis.Men Sipnei). Un articolo che propone l’evoluzione delle scienze e delle pratiche psicologiche e psichiatriche.

Nell’incipit si afferma che a quasi cento anni dalla dipartita del fondatore della psicanalisi, si possono osservare due tendenze in quelle che gli autori definiscono come “discipline Psi”.

Da un lato vi è in atto una emancipazione vera e propria dalla medicina ed un affrancamento sempre maggiore dalla psichiatria biologica o come sarebbe meglio dire biologista/riduzionista.

Dall’altro lato si palesa sempre più un’altra crisi da non sottovalutare, ovvero quella delle varie ortodossie delle diverse scuole di pensiero della psicologia.

Questi due geni mutanti all’interno dell’organismo di questo corpus di teorie e pratiche che sono le discipline psicologiche e psichiatriche, secondo gli autori ha il pregio di favorire l’interazione e la cooperazione tra le diverse discipline ma allo stesso tempo di appiattire il confronto sui numerosi nodi teorici. Per questo motivo risulta determinante analizzare l’evoluzione dei vari ambiti al fine di coglierne le potenzialità ed i punti deboli, ma anche le possibilità di sintonizzazione e dialogo.

Per facilitare il lettore nell’approcciarsi alle tematiche trattate dall’articolo, divideremo il percorso in tre tappe:

  1. Neuro
  2. Psiche
  3. Pnei

La prima tappa riguarda la relazione tra i disturbi psichiatrici, la biologia e i trattamenti farmaceutici. Nello specifico si addentra nelle recenti osservazioni in merito all’utilizzo degli psicofarmaci e alla loro efficacia.

La seconda invece si impegna a ripercorrere le tappe delle due principali ortodossie nell’ambito dello studio della psiche, ovvero il cognitivismo e la psicoanalisi.

Nella terza tappa ci addentreremo nel cuore di quella che è la grande novità che la PNEI propone in quest’articolo.

 

Neuro

Il tutto è più della somma delle singole parti

Caleb Gardner e Arthur Kleinman, del Dipartimento di Psichiatria e di Antropologia della Harvard Medical School, in un articolo pubblicato dal New England Journal of Medicin trattano la tematica del fallimento della psichiatria biologica. A detta loro, questa non sarebbe riuscita a fornire un modello teorico adeguato a fungere da base per il trattamento delle principali patologie psichiatriche. In particolare pongono l’attenzione sull’inefficacia ed addirittura le reazioni avverse presentate da alcuni pazienti nell’uso di alcuni psicofarmaci negli ultimi 50 anni.

Il peccato originale contro cui gli autori si scagliano è rappresentato dal paradigma riduzionista delle neuroscienze, il quale ridurrebbe la mente umana a mero epifenomeno delle strutture celebrali.

In pratica l’organismo è governato dal cervello, che rispondendo in modo adattivo agli stimoli esterni ed evolvendo via via le sue risposte ha permesso la sopravvivenza della specie e permette tutt’oggi l’adattamento del singolo individuo.

Questo ruolo centrale e funzionale del cervello ha rafforzato in una filosofia meccanicistica e materialista l’idea di una corrispondenza tra lo stesso e la mente come soluzione al parallelismo cartesiano.

Tre sono i contributi che vengono approfonditi per analizzare i progressi compiuti in questo campo : le posizioni espresse da Antonio Damasio in L’Errore di Cartesio del 1994, quelle di Joseph Le Doux in Cervello Emotivo due anni dopo e quelle di Eric Kandel Psichiatria, Psicoanalisi e Nuova Biologia della Mente del 2007.

Damasio

Il pensiero di Antonio Damasio in merito al rapporto tra cervello e mente non è stato sempre uguale ed ha subito dei cambiamenti e delle correzioni nel tempo. Il primo Damasio infatti, era fermamente convinto della centralità e della gerarchia dei moduli del cervello, tanto da vedere le emozioni come dei meri schemi reattivi alle stimolazioni esterne. Da questo punto di vista le sue tesi andavano nella direzione di una ferma conferma del paradigma riduzionista delle neuroscienze.

Il Damasio de Lo Strano Ordine Delle Cose (2006) invece è molto critico sullo schema e la teoria modulare del cervello. In particolare cambia idea sulle emozioni, non considerandole più come eventi isolati ma notando la capacità delle stesse di influenzare e modificare il corpo e viceversa. L’influenza e la comunicazione tra il corpo e la mente non è solo di tipo nervoso ma anche umorale. A Damasio si riconosce il merito di aver riscoperto il ruolo delle emozioni e ruolo centrale del corpo.

Le Doux

Joseph Le Doux contribuì enormemente al progresso delle neuroscienze e all’indebolimento del paradigma riduzionista, criticando fortemente alcuni dei suoi più grandi pilastri. La critica di Le Doux si concentra soprattutto sulla tradizione che ubica le emozioni in strutture sottocorticali mentre le cognizioni in strutture corticali. Questa distinzione non è soltanto una distinzione topografica, ma anche una distinzione gerarchica e di valore.

Le Doux riformula la visione dell’esperienza emozionale, definendola un’esperienza influenzata da un’emozione costruita a partire da una registrazione ed interpretazione di una pregnante significatività per il soggetto che la sta vivendo.

Kandel

Erich Kandel delinea la nuova biologia che pur restando fermamente centrata sulla genetica, non trascura altri fattori. Non a caso infatti, questa nuova biologia deve interagire e trarre giovamento dai contributi di altre discipline a lei vicine. Ad esempio non può esimersi dal prendere in considerazione le molte voci della filosofia della mente. I contributi provenienti dalla psicologia, non possono essere ignorati. I dati forniti dall’antropologia, sono di fondamentale importanza.

Questa interazione multidisciplinare deriva dal fatto che secondo l’autore i geni non agiscono nel vuoto ma in un ambiente interazione con tutto ciò che li circonda. Per questo motivo un fattore che ad esempio Kandel riconosce come molto influente sui geni, è lo stress. L’importanza dello stress lo porta a considerare notevolmente il ruolo della psicoterapia e dell’attività fisica. Le sue considerazioni scoraggiano una ricerca genetica riduzionista e aprono le porte a un nuovo umanesimo della scienza.

Conclusione

Per sintetizzare questa prima tappa, ci si potrebbe appellare al motto della psicologia della forma, ovvero “il tutto è più della somma delle singole parti”.

La psicologia della forma è una psicologia fenomenologico -esistenziale che potrebbe anche essere definita come “psicologia eidetica” ovvero una psicologia delle essenze, da eidos,“forme” appunto. Una psicologia che sembra rispondere all’esigenza del filosofo tedesco Edmund Husserl di una psicologia descrittiva dell’esperienza umana. Heidegger definiva la fenomenologia come il “palesare ciò che si palesa in sé” e nel farlo non ci si può esimere dall’interfacciarsi con le forme a priori della nostra percezione. In questo modo, riprendendo l’invenzione kantiana delle categorie dell’intelletto, Von Ehrenfels elaborò la teoria delle qualità formali (Gestalt), le quali appunto sono irriducibili alla somma delle singole qualità sensibili che in realtà esprimono rapporti caratteristici tra i vari dati sensoriali.

 

Psiche

Insight

Prima di addentrarci nello sviluppo e nell’evoluzione delle teorie e delle pratiche psicologiche, proviamo a chiarire cosa si intende per psiche e i punti di differenza rispetto ad una visione biologista.

L’etimologia greca del termine psiche, ci delinea un quadro in cui questo termine indica l’idea di “soffio”. La psiche quindi sarebbe “il soffio vitale”. La prossimità di questo concetto con quello di anima è lapalissiana.

Allo stesso modo, il termine si presenta come un termine di natura metafisica e quindi di per sé non trattabile tramite gli strumenti della scienza.

Dall’altra parte però, non si può non notare, quanto quel soffio, quel respiro abbia a che fare non solo con una vita trascendentale e metafisica ma anche con un corpo fisico e contingente.

Basti pensare ad esempio a come Ippocrate, il primo medico della storia, si riferisca ai principali liquidi del corpo chiamando gli “umori”.

La medicina stessa infatti, ai suoi albori era preponderantemente mistica e legata a credenze religiose.

Con lo sviluppo del pensiero scientifico, la situazione si è ribaltata e quella medicina metafisica e spirituale si è via via trasformata in una medicina fisica e materialista.

Il tutto ricorda la storia politica dei primi anni che seguirono all’unità d’Italia.

Fin dal 1861, il governo italiano fu retto da quella che fu poi definita come “destra storica”. Questa era formata dalla borghesia settentrionale e dall’aristocrazia meridionale. L’ideologia vigente era legata ad una visione dogmatica del liberalismo.

A partire dal 1876, ci fu un cambio di paradigma e salì al potere la “sinistra storica”. A differenza della sua controparte, la sinistra storica era formata dalla medio borghesia, con un’alta partecipazione soprattutto da parte della categoria degli avvocati. Non era fiduciosa nel liberalismo come la destra storica, ma lo applicò in maniera più razionale e pragmatica.

La medicina, esattamente come la politica italiana è passata da una totale mistificazione ad una razionalizzazione, che comunque ha mantenuto il suo impianto determinista, solo che in una direzione differente.

Proprio in psicologia esiste un concetto chiamato “locus of control”. Il locus of control indica a chi o a che cosa il soggetto attribuisca la paternità di ciò che accade nella sua vita.

Heidegger parlava della vita come una possibilità e del vivere come un progetto, in cui gli altri enti con cui entriamo in contatto sono enti di cui avere cura.

Nell’aver cura degli altri esistono due modi: il primo è quello che definisce come cura inautentica, ovvero la cura che non permette all’altro di prendersi la responsabilità di aver cura di sé. Al contrario la cura autentica è quella di chi riesce a incoraggiare l’altro a prendersi questa responsabilità.

Una cura che proietta la salute su una qualche idea esterna, mistica o solamente su un errore biologico nel funzionamento, pone il locus of control del paziente sempre al suo esterno, lasciandolo in balia degli eventi.

Tutto ciò riguarda la pratica, cioè la terapia, alla cui base però vi è una teoria, fondata su una logica.

Logos, da cui “logica” nella sua accezione greca, indica il parlare, cioè il rendere visibile, palese ciò di cui si sta parlando.

La psicologia quindi, dovrebbe essere la disciplina che rende visibile via via la psiche.

Vedere la psiche, tramite quella che Husserl definiva “visione eidetica”, ovvero l’intuizione, significa avere una visione interna (insight) della stessa.

La psicologia della gestalt pertanto, mira a far prendere al paziente la responsabilità del suo sentire.

Psicoanalisi

La pratica psicologica moderna è senza dubbio debitrice al filosofo svizzero Franz Brentano. La sua prospettiva filosofica fu chiamata psicognosia, ovvero scienza che studia i fenomeni psichici. Ma fu in particolare uno dei suoi allievi a dare vita alla psicoanalisi, Sigmund Freud. Brentano mirava ad una psicologia puramente descrittiva dei fenomeni psichici, al contrario Freud elaborò una psicologia che Husserl definì come costruttiva.

La psicanalisi freudiana è caratterizzata da un determinismo psichico, figlio del positivismo, ma nonostante ciò anch’essa non si esime dal segnalare a più riprese l’interrelazione tra il corpo e la psiche.

Per Freud il corpo sostanzia l’istanza psichica dell’es, in latino “esso”. L’es rappresenta la spinta pulsionale, la spinta del corpo verso il piacere. Non a caso il bambino nelle sue prime fasi è detto perverso polimorfo, in quanto concentra le sue attenzioni via via sulle sue zone erogene in maniera diversa, sviluppando la sua psiche. Per Freud la libido è sostanzialmente una spinta sessuale.

La psicoanalisi però non si è fermata alle idee del suo fondatore, per questo non può essere considerata come un unico organismo ma presenta una pluralità di approcci e di visioni.

Così questa prima fase freudiana della psicoanalisi è definita come psicologia dell’io e viene seguita da una seconda fase chiamata psicologia delle relazioni oggettuali che si concentra di più sulle relazioni significative delle prime fasi evolutive del bambino.

Alcune tra le voci più autorevoli in questa fase sono Melanie Klein, Winnicott e Bion.

Seguono la psicologia del sé che si concentra su come gli individui costruiscono quella totalità che è il sé, a partire dall’io e la teoria dell’attaccamento di Bowlby.

Si è passati così da una psicanalisi concentrata sull’emergere dell’io dal conflitto tra es e super-io a una psicoanalisi che analizza da punti di vista diversi le relazioni significanti per la psiche dei pazienti.

Questa rivoluzione copernicana però parte della scuola delle relazioni oggettuali e comporta anche un cambiamento sensibile nella pratica terapeutica.

Klein, Winnicott e Bion formulano dei concetti essenziali nelle relazioni significanti e significative che formano la psiche e le sue dinamiche.

Melanie Klein parla di una prima fase nella vita del bambino in cui questo e schizoparanoide, ovvero vede il seno materno (e di conseguenza il mondo) diviso in due estremi: o completamente buono o completamente cattivo, questo lo getta in uno stato d’inquietudine e paranoia.

Winnicott si focalizza sulla possibilità che il bambino ha di fare esperienza autentica di sé, vivendo la sua frustrazione ma anche la capacità di porvi rimedio, ricevendo le cure materne.

Bion parla di un’alfabetizzazione delle componenti esperienziali, che quando grezze e di difficile digestione acquisiscono il nome di elementi beta, mentre una volta assimilate, tramite una funzione svolta dalla madre, la funzione di reverie, si convertono in elementi Alfa.

Mulholland drive è una pellicola del regista americano David Lynch, uscita nel 2001. Come gran parte delle opere di questo regista dell’assurdo Mulholland Drive si presenta un film di difficile interpretazione.

La protagonista di questo film è una giovane ragazza, proveniente dal Canada ed arrivata a Los Angeles per rincorrere il suo sogno di diventare attrice.

In città alloggia nella casa di una zia, dove un giorno incontra una donna misteriosa che ha perso la memoria e a stento parla.

La ragazza si dimostra arguta e riesce ad aiutare la donna ad indagare sul suo passato, facendola innamorare di lei ed iniziando una storia d’amore con la stessa.

Anche sul piano lavorativo la ragazza ottiene successo e riconoscimenti. Ad un provino, infatti viene subito presa per una parte.

Quando la ragazza e la donna sono molto vicine a scoprire la verità su cos’è accaduto alla donna, si ritrovano in un club privato, chiamato il club del silenzio. In questo club assistono ad uno spettacolo, che termina con un monologo sul silenzio in un secondo il film cambia.

La ragazza non ha avuto successo a Los Angeles come attrice e si trova ad essere assistente della donna che invece è un’attrice di successo e la tratta malissimo, non ricordando neanche il suo nome.

La seconda parte del film è decisamente angosciante e termina con una inquadratura del club del silenzio e l’attore che aveva svolto il monologo che fa segno di fare silenzio.

Questo film non fa che percorrere il seno buono prima e il seno cattivo poi ipotizzato da Melanie Klein.

Pertanto la pratica terapeutica svolta a partire dalla psicologia delle relazioni oggettuali è una pratica in cui il terapeuta, con le sue competenze relazionali svolge un ruolo simile a quello dell’attore che svolge il monologo nel film,”silenziando le proiezioni” che non gli permettono di fluire.

Per Winnicott il terapeuta svolge il ruolo di oggetto transizionale tra il mondo interno del paziente e quello esterno.

Per Bion il terapeuta svolge il ruolo di reverie, quel ruolo che originariamente svolgeva la madre per aiutarlo ad alfabetizzarsi.

In questo modo ci si è via via allontanati dal terapeuta “schermo bianco” della psicanalisi freudiana.

A partire dalla prospettiva bioniana e con l’influenza della teoria del campo di Kurt Lewin, gli italiani Antonino Ferro e Civitarese nel 2020 hanno pubblicato un libro intitolato Vitalità e gioco in psicoanalisi in cui illustrano gli ultimi sviluppi della psicoanalisi contemporanea, nella teoria del campo analitico.

In questo nuovo approccio il terapeuta e il paziente generano un campo bipersonale in cui è possibile favorire lo sviluppo dell’ insight da parte del secondo.

Tutta la psicoanalisi contemporanea si basa sul concetto di enactment, la messa in atto dello schema che affligge il paziente durante la terapia, al fine di poterlo affrontare.

 

Cognitivo-comportamentale

Per quanto riguarda l’ambito della psicologia cognitivo comportamentale, l’articolo fa un excursus di quella che è la storia e delle evoluzioni di questo approccio, partendo dalla prima fase ovvero quella comportamentale, in cui l’obiettivo era quello di controllare il comportamento umano, alla seconda fase, quella cognitiva, in cui si cercava di approfondire, sempre al fine di controllarlo, ogni schema interno dell’individuo. In tutta la psicologia cognitivo comportamentale aleggia lo spettro della “sindromizzazione” della sofferenza umana e la spasmodica ricerca di una “causalità cognitiva” in grado di spiegare ogni manifestazione della psiche.

La terza ondata della psicologia cognitivo-comportamentale è caratterizzata da un pensiero che considera fortemente anche il ruolo delle emozioni e che integra in sé anche molti contributi provenienti dalle culture orientali.

L’influenza di queste tradizioni porta a riconsiderare il ruolo del corpo all’interno di un panorama filosofico che storicamente ha sempre posto l’accento solo sulle cognizioni e la razionalità.

Difatti, anche qui, come nella psicanalisi, il processo terapeutico si è spostato sull’attualizzazione delle dinamiche dolorose per poterle elaborare.

Conclusioni

L’enactment a cui sembrano essere giunti sia la psicoanalisi, sia la psicologia cognitivo comportamentale è qualcosa che è già presente nella psicologia della Gestalt fin dai suoi albori.

La tecnica della sedia vuota ne è un esempio calzante.

La “situazione sofferta” o elemento beta, seguendo la dicitura di Bion, può essere definita come una “Gestalt aperta”, una forma incompleta che possiamo lasciar andare solo tramite il superamento del l’impasse e mediante la presa di coscienza rappresentata dall’insight.

Il filosofo e psichiatra tedesco Karl Jaspers, ha centrato la sua ontologia sull’analisi di quelle situazioni che sperimentiamo come “situazioni limite” dell’esistenza.

La “liminalità” è il carattere che l’antropologo britannico Victor Turner assegnava ai rituali delle società tradizionali. Liminalità riproposta, nelle società industriali, in quelli che lo stesso autore definí “generi liminoidi”, ovvero con l’eidos (la forma) della liminalità. Queste attività non erano altro che le attività artistiche, tra cui Turner, figlio di un’attrice, prediligeva il teatro.

L’enactment del film di Lynch è un esempio perfettamente calzante in cui l’insight giunge alla fine della pellicola. Il silenzio che deve avvolgere i timori per le potenziali possibilità, per il topdog (il persecutore) e l’underdog (la vittima), proiettando il paziente nella sua situazione attuale (qui ed ora).

 

 

Pnei

Presa nota di questi due enormi cambiamenti, ovvero il superamento del riduzionismo biologico da un lato e di quello cognitivo dall’altro.

Il secondo si palesa prendendo in considerazione la teoria di Dilthey secondo cui un’esperienza non è mai del tutto completa se non la si esprime tramite il corpo.

Alla luce di questa teoria, si può considerare come l’enactment, sia ben oltre le semplici intellettualizzazioni e si configuri come un’esperienza totalizzante ed olistica, rimarcando, ancora una volta, l’interrelazione tra mente e corpo.

Nel perorare la causa della natura antiriduzionista della psicologia, l’articolo pone l’accento sulle teorizzazioni del primo contributo scientifico sulla psicologia, quelle espresse da William James in Principi di psicologia del 1890. James già agli albori riconosce due tipi di psicologia.

La prima è la psicologia spiritualista e quindi metafisica e mistica.

La seconda è quella associazionista, che tende ad un riduzionismo biologico.

Inoltre afferma l’impossibilità di un’analisi scientifica dei vissuti della coscienza, non negando però, che la mente sia un prodotto del cervello, ma sottolineandone allo stesso tempo l’influenza sullo stesso.

Dopo questo spunto iniziale, gli autori fanno leva nuovamente sui contributi e le migliorie che le neuroscienze hanno apportato alla pratica e teoria psicologica. Questo però senza fagocitarla, giacché molti studi hanno dimostrato la non identità tra mente e cervello e le influenze della terapia psicologica sul secondo.

A questo proposito, se indagini neuroscientifiche hanno confermato l’efficacia della psicoterapia, allo stesso modo gli approcci cognitivi e psicodinamici si sono evoluti nella direzione della centralità della relazione paziente-terapeuta, come precedentemente affrontato.

Questa rinnovata fiducia nella relazione come farmaco e terapia fa da contraltare al ridimensionamento delle aspettative nelle terapie chimiche e biologiche nel trattamento della sofferenza psicologica.

Ad ogni modo però, non va demonizzata o ignorata la biologia in campo psicologico e urge una maggiore conoscenza del funzionamento del corpo in generale per poter affrontare e superare i diversi nodi teorici.

Proprio di questi nodi tratta l’ultima parte dell’articolo.

La natura umana, vista dalla “psicologia senza corpo” e dalla “psicologia senz’anima”, è comunque insufficiente. Sebbene le varie interpretazioni del concetto di “libido”, risultino come tentativi di conciliare corpo e mente.

Dalla libido si passa ad un’altra tematica spinosa, ovvero l’inconscio. La psicologia cognitiva sostiene il suo ateismo nei confronti di questo “Deus ex machina” della psicologia dinamica, mentre la ricerca neuroscientifica concorda sul fatto che le attività razionali e consapevoli siano solo una piccola parte di tutta l’attività psicologica dell’individuo. Nonostante questo, non conferma l’idea di Freud di Es, come bacino d’istinti fuori dal nostro controllo, ma riconosce che non tutti gli schemi possano diventare memoria procedurale e dichiarativa.

Questo funge da base per l’introduzione di un altro spunto fondamentale, ovvero l’impatto delle relazioni precoci nell’acquisizione di quelli che sono gli schemi automatici del soggetto.

Qui la psicologia non lesina a produrre teorie e chiavi di lettura: da Bruner, a Fromm, a Vygotskij con la sua zona di sviluppo prossimale, all’inconscio collettivo di Jung, all’infant research con Beebe e Tronik e l’approfondimento dello sviluppo della regolazione emotiva e soprattutto alla tradizione psicoanalitica.

Una teoria comunemente condivisa sia da psicoanalisti che da cognitivisti, ma anche dalle neuroscienze è quella dell’Attaccamento di Bowlby.

La natura umana, l’inconscio e le prime interazioni, sono solo alcuni tra i nodi affrontati. Altri di fondamentale importanza sono: le emozioni, il corpo e la sessualità.

Questi approfondimenti mostrano quanto ci sia in gioco nella cura della persona e quanto nulla debba essere preso sottogamba.

Per questo motivo non ci si deve dimenticare ne dello “Psico” trascendente il corpo, ne del “Neuro” contingente nello stesso, né dell'”endocrino” e degli ormoni che regolano istinti come quello sessuale e nemmeno dell’immunologia”, sia fisiologica che psicologica e rafforzare il sistema immunitario dei pazienti contro il contagio di famiglie disfunzionali, di modelli sociali frustranti, di psicosi collettive, di contesti sociali patologici come possono essere periferie abbandonate a sé o ambienti borghesi in cui vige l’invasione della competizione esistenziale.

 

Please cite this article as: Leonardo Pereira Liberati (2021) Un paradigma che guarda alla totalità. Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia. https://rivista.igf-gestalt.it/rivista/un-paradigma-che-guarda-alla-totalita/

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