Corpo che fa anima*: psicoterapia della gestalt e danza

Shobha Arturi

di SHOBHA ARTURI medico, psicoterapeuta, danzatrice per vocazione

Pubblicato sul numero 21 di Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia

* “Soul Movement: Il corpo che fa anima” è il nome che ho dato a una metodologia che fa incontrare danza meditazione e psicoterapia della Gestalt..

Abstract: danzare è un modo di ampliare la sensitività e tutte le funzioni collegate ai sensi, incluse la possibilità di contatto e di conoscenza che attraverso i sensi possiamo avere, nonché la consapevolezza del nostro spazio interiore e del modo di comunicare fra mondo interno e mondo esterno. Introducendo con la danza semplici esperienze possiamo incontrare molteplici tematiche e polarità esistenziali, dando spazio a ciascuna istanza e invitando a fluire in ciascuna.

Abstract: dancing is a way of expanding sensitivity and all the functions connected to the senses, including the possibility of contact and knowledge that we can have through the senses, as well as the awareness of our inner space and the way we communicate between the internal world and the external world. By introducing simple experiences with dance, we can encounter multiple existential themes and polarities, giving space to each instance and inviting them to flow into each other.

keywords: corpo, anima, danza, terapia, integrazione

 

La mia vita e la danza

Dacchè io ricordi ho sempre amato danzare; a tre anni, affascinata da una rappresentazione della “morte del cigno” di Tschaikowsky, morivo e danzavo a ogni angolo dell’appartamento in cui vivevo con la mia famiglia. Se il background culturale da cui provenivamo non me lo avesse impedito (la danza è qualcosa di futile e/o per ricchi) avrei voluto fare la ballerina … e ho continuato a danzare e a voler danzare nel corso di tutta la mia vita, per divertimento e anche seguendo qualcosa che non sapevo ma che mi piaceva e che mi faceva stare e mi fa stare bene, e che ritrovo come un filo conduttore in molti momenti che hanno caratterizzato il mio cammino di ricerca e di cura fino ad ora: nelle tecniche di meditazione di Osho che spesso affiancano danza e consapevolezza; negli esercizi quasi danzati del metodo Feldenkrais, strumenti preziosi verso una migliore conoscenza di se’ e delle proprie possibilità inesplorate; nell’estasi delle danze ruotanti dei dervisci e dei canti sufi; nell’inspiegabile meraviglia delle danze sacre di Gurdjeff; nelle mie radici mediorientali risvegliate dalla danza del ventre o dalle delicate o selvatiche intese della pizzica d’amore del nostro sud; nell’incontro con i 5 ritmi di Gabrielle Roth; nelle reminiscenze di rituali dionisiaci che ritrovo oggi nelle danze dei rave con la techno incalzante e le sostanze inebrianti … La danza mi accompagna tutt’ora. E costituisce ormai da tempo uno degli ingredienti che propongo nei percorsi terapeutici che ora poggiano sulle basi teoriche della psicoterapia della Gestalt, così come l’ho appresa all’ IGF.

L’altra faccia del dolore

Siamo spinti in terapia da un dolore e da conflitto che a volte nostro malgrado contribuiamo a creare e in questo caso la terapia è un invito a trovare altri modi e altri comportamenti, è un’istigazione a inventare creativamente qualcosa di diverso che superi la ripetizione abituale di un agire che porta sofferenza.

Oppure arriviamo a chiedere aiuto spinti da un dolore o una crisi, da un momento di passaggio che non riusciamo ad affrontare, da una separazione o una morte, dalla nostra esistenziale fragilità.

Sono momenti in cui è più forte e più destabilizzante l’esperienza e la consapevolezza di quella che i buddisti chiamano “impermanenza”. Siamo mortali, e siamo destinati a lasciare prima o poi ogni cosa, ogni affetto.

L’arte di vivere potrebbe essere chiamata l’arte di separarsi. Con l’atto stesso di nascere siamo esposti alla prima separazione amorosa e poi continuiamo a lasciarci alle spalle persone ed esperienze, per incontrane di nuove. La nostra vita è mistero: a cominciare dal fatto che l’altra faccia del dolore della separazione che ci porta a individuarci è un ponte teso verso l’altro, un’apertura che si chiama amore. Non possiamo amare se non siamo in grado di sentire la distanza che ci separa dall’altro e di sopportarla. E così di pari passo al dolore della separazione si accompagna un anelito, un desiderio che ci porta a varcare i nostri confini e ci spinge verso l’altro e verso altro.

Ma per farne arte di vivere, arte di separarsi e di amare, quello che conta è il “come”, come ci separiamo e come amiamo. Così in terapia e nella vita non si tratta di non sentire più il dolore, o la rabbia, ma piuttosto di fare qualcosa con l’inevitabilità del dolore che lo renda tollerabile, forse addirittura eticamente“nobile”, esteticamente bello. Farne qualcosa con i gesti, con le parole, con un sorriso, con un silenzio.

La ricerca della grazia

Aldous Huxley, secondo Bateson, sosteneva che il problema fondamentale dell’umanità è la ricerca della “Grazia”. Qualcosa che ci sembra naturale negli animali,che pure soffrono e muoiono, e da riconquistare per noi umani, che siamo complicati dalla possibilità di mentire e dalla coscienza di noi stessi. Certo, questo anelito verso la grazia ci scalda il cuore e ci rende tutti eroi a fronte di un possibile annichilamento e alla perdita di senso a cui il dolore può portare. E’ un anelito che non ci lascia stare che ci spinge a cercare e a incontrare. E’ un percorso e un processo in cui le cadute sono inevitabili, ma sono accompagnate dall’incoraggiamento dei saggi di tutti i tempi e dall’esperienza dei momenti di grazia. Nella tradizione zen vengono chiamati “Satori”: momenti in cui la percezione è chiara e sembra di essere tutt’uno col fluire stesso dell’esistenza. Nelle tradizioni orientali ci arrivano attraverso pratiche meditative, nella tradizione sufi attraverso il canto, la danza e il poetare mistico. Sono molti i modi di perseguire quell’anelito che ci contraddistingue in quanto umani.

Secondo Bateson “L’arte è un aspetto della ricerca della grazia da parte dell’uomo; la sua estasi, a volte, quando in parte riesce; la sua rabbia e agonia, quando a volte fallisce”1

Come allora diventare un po’ “artisti” e scoprire quella vena creativa che è sinonimo di coltivare la qualità nella vita, quello che dà un senso, il senso del valore per cui davvero vale la pena vivere.

Come si fa a risvegliare la propria vena creativa, quando ci si sente pesantemente e seriamente afflitti dai vari pesi della vita? Non è scontato riuscirci. Questo è uno dei compiti fondamentali della psicoterapia: aiutare la persona diventare creativa, a trasformare quello che sente: dolore, rabbia, tristezza che sia. Un processo alchemico e artistico.

Creatività, gioco e danza

La danza in questo ci può essere di grande aiuto. Lo è nella mia esperienza. Non intendo qui la danza/performance. Non occorre essere grandi danzatori per danzare, occorre solo avere un minimo di disponibilità a muoversi seguendo un ritmo. E non occorre cambiare quello che si sente. E’ possibile cominciare a muoversi e danzare stando a contatto e in presenza di qualsiasi emozione. Rabbia, dolore, gioia, tristezza, paura, persino indifferenza, possono trovare modi di dirsi in un movimento di danza.

Quando in un workshop invito le persone a danzare è per puro spirito esplorativo, per aprirsi con curiosità al proprio sentire e al movimento e al ritmo. E’ un modo per visitare il proprio mondo interno, per rappresentarlo ed esprimerlo attraverso un gesto. Spesso invito semplicemente a segnare il ritmo o i diversi ritmi e con diversi tipi di movimenti, ritrovando la curiosità di muoversi semplicemente e di sentire l’effetto che fa. Coltivare un “campo” in cui sia possibile giocare, essere curiosi, contattare se stessi ed esprimersi e nel rispetto di sé e degli altri, è già un evento di valore in sé.

Secondo Lorenz “il gioco non è nettamente distinguibile dal comportamento esplorativo”2 entrambi “possono avvenire in un ‘campo di distensione’, usando la terminologia della teoria dei campi di Kurt Lewin. Questo vuol dire che sia il movimento esplorativo che il gioco spariscono immediatamente non appena si abbia una motivazione in grado di attivare ‘seriamente’ i moduli motori interessati”3. Nei campi profughi si cerca di ridare speranza ai bambini sottoposti al clima di minaccia continua che vivono, aiutandoli a continuare a giocare, dando loro la possibilità e il luogo per farlo. Come dire in guerra non si gioca e se si gioca si possono costruire progetti di pace.

Anche un conflitto interno, di cui ci occupiamo come psicoterapeuti, è una specie di guerra, in cui l’energia spesa per mantenere le posizioni antagoniste non è libera di accedere alla dimensione del gioco e all’esplorazione che potrebbero magari farci scoprire nuove possibilità.

L’atmosfera di distensione (la “base sicura” di cui parla Bowlby) che è necessaria a favorire il comportamento esplorativo, è quella che dobbiamo come psicoterapeuti essere in grado di generare ed è un presupposto indispensabile perché una persona si conceda comportamenti nuovi che altrimenti potrebbero essere giudicati fatui se non pericolosi.

Ed è proprio con leggerezza, con delicatezza, rischiando poco, che invito a danzare e a fare così nuove e diverse esperienze di sé, mettendo di nuovo in gioco una capacità di sentire e di apprezzare che è un risveglio alla vita, o meglio alla sua molteplice complessità.

La vita è Lyla, cioè gioco, secondo la tradizione induista. Il gioco, la danza implicano un alleggerimento, una diversione, un guardare altrove e un distogliere la fissità dello sguardo per percepire così altri possibili orizzonti, oltre a quello che ci tiene legati al groviglio del dolore.

Divertimento e apprendimento

La psicoterapia è un processo di apprendimento di nuove vie, forse la vita stessa è un processo di apprendimento che non ha fine, e apprendere e creare, accanto all’interesse, alla curiosità, all’impegno, hanno una dimensione ludica.

Senza divertimento non c’è apprendimento: tutti i cuccioli giocano e si divertono e ci fanno divertire ed esplorano così il mondo intorno e se stessi, imparando caparbiamente tutto ciò che occorre loro imparare. Impedire a un cucciolo di uomo di giocare è un’azione che suona malvagia a chiunque abbia cuore. Ma sostenere che giocare è indispensabile ad apprendere, è qualcosa che pochi insegnanti mettono davvero in pratica, facendo della scuola quella istituzione pesante e odiosa che spesso è.

Il gioco per i bambini implica sempre il corpo in movimento. La danza è una specie di gioco che i bambini fanno ancora prima di camminare. E se la musica e la danza fossero parte indispensabile del nostro curriculum formativo?4

Divertirsi e trovare modi interessanti di farlo, è una cosa “seria”, indispensabile alla vita. La parola divertimento, ricorda già di per sé un passo di danza, girare intorno, lasciare la posizione o il sentiero noto per improvvisare un passo nuovo, verso un ignoto possibile. È anche curioso che un’altra parola per divertirsi sia ricrearsi: crearsi di nuovo.

Al contrario il restringimento del comportamento a campi conosciuti, la limitazione dei movimenti a modalità già acquisite, sono altri modi di dire e di manifestarsi dei comportamenti nevrotici che affliggono l’uomo costringendolo in gabbie invisibili quanto coercitive.

Come nella metafora figura/sfondo, che nella psicologia della Gestalt spiega il meccanismo selettivo e attivo della percezione, danzare lascia emergere dallo sfondo la possibilità di altre risorse vitali: la stanza delle cianfrusaglie in cui curiosare e trovare, quasi senza cercare. Cerchiamo invece soluzioni dove non ci sono e non le troviamo. “L’oca è fuori!” cita un famoso Koan Zen che corrisponde al momento della percezione chiara e illuminata della realtà vista da un altro punto … occorre un salto, una piroetta, un guardare altrove ….

Il piacere della funzione

La danza e’ simile ad alcuni comportamenti animali che sono a tutti gli effetti “danze rituali”, modi di rappresentare funzioni vitali come il corteggiamento o la lotta per il territorio. Ma nei cuccioli, e anche negli adulti di molti animali compaiono comportamenti che somigliano di più al gioco, in quanto non finalizzati a un concreto risultato, neanche quello di spaventare un avversario.

I giochi più “raffinati” fra gli animali, apparentemente servono solo ad affinare il più possibile moduli motori in sé, cioè non finalizzati ad alcuna azione particolare. Tranne quello di godere del piacere della funzione motoria.

In questo caso i giochi sono tanto più sfrenati e artistici, quanto minore è l’energia impiegata per produrli, fidando in questo sull’energia fornita dall’ambiente: per esempio i voli dei corvi che si appoggiano alle correnti d’aria per evoluzioni artistiche, o le acrobazie sorridenti dei delfini che giocano usando la spinta dell’onda mossa dai natanti. Più il gioco si allontana da una funzione chiaramente finalizzata e più i movimenti si fanno fluidi ed armonici, più appare evidente il piacere provato nel farli e più ci ricordano una danza, “perché – riportando le parole di Lorenz – qui sono all’opera dei processi che con tutta probabilità sono alla base di tutta la creazione artistica umana, e sicuramente della più primitiva fra le arti umane:la danza”5.

La danza sana

La danza è un affinamento di capacità motorie ma, se è accompagnata dall’attenzione e dall’intenzione, anche della sensibilità dalla propriocettiva e cinestetica, alla uditiva e anche a quella visiva. Le percezioni sensoriali sono di fatto delle integrazioni, cioè ogni senso integra delle informazioni provenienti da altri canali sensoriali. In altre parole, quel che vediamo non è indipendente dalle esperienze cinestetiche e propriocettive che facciamo: è un’esperienza comune che ci sembra di vedere più chiaro dopo un adeguato esercizio fisico. Il respiro è coinvolto, la pelle in ogni suo centimetro…6

Danzare è un modo di ampliare la sensitività e tutte le funzioni collegate ai vari sensi e la possibilità di contatto e di conoscenza che attraverso i sensi possiamo avere, e la consapevolezza del nostro spazio interiore e del modo di comunicare fra mondo interno e mondo esterno.

Introducendo con la danza semplici esperienze possiamo incontrare tematiche e polarità esistenziali come la vergogna e l’orgoglio, la paura e il coraggio, la rabbia e la determinazione, il dolore e la compassione, l’amore e la solitudine,la ripetizione e la curiosità, il caos e la quiete … dando spazio a ciascuna istanza e invitando a fluire in ciascuna. Tutto può trovare forma espressiva nella danza, niente è rigettato o rifiutato: il dolore e la gioia, la tristezza e l’allegria, l’indifferenza o la depressione, il desiderio o l’amorevolezza . Portando attenzione e dando dignità al proprio sentire e dandogli forma ed espressione, fino a un culmine e fino a che inevitabilmente la fluidità porta a qualcosa di nuovo. Questo porta e a vivere Gestalt aperte fino a che la loro carica emotiva si esaurisce e una nuova si forma compare all’orizzonte della consapevolezza. La danza può così continuare all’infinito…

Nella mia esperienza la possibilità nella danza di questo fluire porta a “risanare”: non a togliere parti malate, ma a farci sentire sani, interi insiemi di molteplici parti … a una sensazione di spaziosità e di quiete analoga a quella a cui portano alcune pratiche meditative: di fatto nella mia vita queste due strade si sono incontrate e la danza è per me un modo di fare meditazione in movimento, di coltivare la consapevolezza e l’attenzione all’incessante alternarsi di paesaggi interni/esterni.

Andare oltre

La danza, come possibilità di contatto e di espressione, usa strutture di movimento note, per fare un passo verso l’ignoto. E’ un processo creativo che fa diversi, rigenera, fa incontrare e varcare i propri limiti, o quelli che crediamo tali: danze rituali hanno fatto parte dei processi di risanamento e guarigione degli umani in tutte le culture.

Gli sciamani7 che fanno da ponte con i loro rituali fra il mondo “altro”, celeste o infero, e gli umani, hanno sempre usato la musica e la danza. Una delle loro funzioni, in questo far da ponte, è di guarigione, del corpo, della mente o dell’anima. E nel nostro sud sono ancora vive nel ricordo e nelle testimonianze raccolte da Ernesto De Martino8, le esperienze di trance e di guarigione delle “tarantolate” salentine nell’incalzare della musica e con la partecipazione di tutta la popolazione.

E ancora l’ebbrezza estatica raggiunta e trasmessa dai dervisci rotanti o dalle preghiere cantate e danzate negli Zikhr dei Sufi… la danza ha sempre curato e innalzato gli animi.

Ancora più vicino a noi nel tempo , negli anni ’70, mentre nasceva la psicoterapia della Gestalt, e mentre molti di noi cercavano fra occidente e oriente nuovi orizzonti esistenziali, a Esalen in California, Gabrielle Roth9 ha dato forma a una metodologia, la Danza dei 5 Ritmi, che aiuta le persone a fluire con quello che sentono, ad ampliare le proprie possibilità percettive e motorie e quindi la consapevolezza di sé e del proprio stare al mondo. Gabrielle si descrive come una “sciamana urbana”.

La forza “risanante” della danza poggia, riprendendo la metafora di Nietzsche, su un terreno in cui Dioniso e Apollo, si incontrano: Dioniso, l’oscuro e la sua forza sensuale irridente e dirompente e Apollo, il luminoso, con la sua discriminante e armoniosa chiarezza. Un incontro vitale, generativo. Il ritmo e la musica ci connettono alle capacità analogiche, mentre la gravità ci costringe a tener conto dell’inevitabile e preciso peso che ci tiene agganciati alla terra. Anzi è proprio con questo peso che danziamo e a volte ci sembra di volare … La grazia esiste manipolando la gravità. Danzare, come poetare implica una sintesi fra la qualità analogica associativa e quella discriminante digitale: è come fare poesia col corpo, in questo il corpo “fa anima”, la manifesta, le dà forma.

Quando questo accade è la danza a prenderci per mano fino a che “il danzatore sparisce e solo la danza rimane”: la sensazione è insieme di perdere il controllo e che tutto avvenga da sé … E’ un’esperienza estatica, di uscita dal piccolo io, è un perdersi per ritrovarsi, che è parte del viaggio di trasformazione che chiamiamo guarigione. E’ anche un’esperienza spirituale, un modo per sentire l’ineffabile e avvicinarci con rispetto e devozione al senso di mistero di cui siamo parte.

Danzando e seguendo il filo del nostro sentire possiamo sorprenderci a fare come il corvo con le correnti d’aria o come il delfino con la spinta dell’onda: abbiamo smesso di lottare con noi stessi e siamo parte del fluire stesso dell’esistenza.

 

 

Bibliografia

Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi 1976

De Martino E., La terra del rimorso, Il Saggiatore 1961

De Martino E., Morte e pianto rituale, Universale Scientifica Boringhieri 2000

De Martino E., Il mondo Magico, Universale Scientifica Boringhieri 1973

De Martino E., Furore Simbolo Valore, Feltrinelli 2002

Mircea E., Lo Sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, Ed. Mediterranee 1974

Feldenkrais M., Il metodo Feldenkrais, Red 1991

Feldenkrais M., Conoscersi attraverso il movimento, Celuc Libri 1978

Hillmann J., Il sogno e il mondo infero, Adelphi 2003

Hillmann J., Il codice dell’anima, Adelphi 1997

Huxley A., Le porte della percezioneParadiso e Inferno, Mondadori 2006

Lorenz K., L’Etologia, Bollati Boringhieri 2004

Nietzsche F.W., La Nascita della tragedia, Adelphi 1997

Osho, The Orange Book, RajneeshFoundation International 1983

Roth G., I ritmi dell’anima, Sperling & Kupfer 1998

Roth G., John London, Le mappe dell’estasi, Jackson 1979

NOTE:

1 G. Bateson – “Verso un’ ecologia della mente” p. 161

2 Ib. p. 33

3 Ib p. 337

4 Purtroppo oggi in Italia, terra di musica, di canto e di danza da sempre, la musica è stata esclusa dall’ordinamento scolastico! (le leggi fatte dall’uomo sono fallibili e soprattutto modificabili…. Speriamo!)

5 K. Lorenz – “L’Etologia” p. 338

6 Secondo la diagnostica della Medicina Tradizionale Cinese, che si basa una visione organismica dell’esistenza, occhi, visione e muscoli, fanno parte di un sistema unico, quello dell’elemento legno, che pertiene al movimento, alla postura, alla direzione, all’assertività, all’aggressività, alla visione,alla progettualità. Mentre la pelle e i suoi sensori fa parte di un altro sistema, quello del metallo, a cui appartengono anche i polmoni e il colon, che hanno funzione di scambio intimo e profondo con l’esterno, di un dare e una avere in continuo fluire ma anche di separazione e individuazione…

7 Mircea Eliade parla dello sciamanesimo come di una via per l’estasi legata ai popoli dell’area centro-asiatica con influenze provenienti dall’area indù. Ma fenomeni analoghi sono riscontrabili in tutte le culture del mondo indipendentemente dal tipo di religione seguita. Gli sciamani sono iniziati, depositari di tecniche estatiche che conoscono e possono trasmettere; costituiscono una élite mistica della religione a cui appartengono; sono specialisti dell’anima umana e si occupano di malattia in quanto “perdita dell’anima”, ma anche dei grandi momenti della vita umana. Una morte, un dolore terribile, una sventura sono occasioni che richiedono una certa esperienza estatica, un viaggio mistico fuori da sé (ex-stare), un viaggio che trascende questo momento e facendo questo ritrova un senso più vasto, ricucendo squarci, gettando ponti. Lo sciamano conosce la strada di andata e di ritorno dal mondo “altro”. Ha fatto lui stesso questo viaggio per sé in un percorso iniziatico che spesso comincia con la sua guarigione da una malattia. Lo sciamano è uno che è andato come Orfeo nel mondo infero. Sono viaggi che implicano rischi, che lo sciamano, in quanto iniziato, ha imparato ad affrontare: comunica con gli spiriti e con i demoni, ma non ne diventa loro strumento, non diventa un “ossesso” o un “posseduto”. Lo sciamano usa il ritmo di un tamburo, la magia musicale, il canto, la danza per indurre stati alterati di coscienza, che portano a una riorganizzazione delle risorse del malato. Può usare sostanze e droghe, e in questo caso sono meramente un tramite per l’esperienza estatica, non sempre e non per tutti gli sciamani le sostanze sono indispensabili. Sembra che i più forti sciamani sono quelli che sanno indurre lo stato estatico senza sostanze, con la musica, la danza, i suoni. Gli sciamani sono anche cantori, musici, poeti oltre che indovini e medici. Accompagnano gli uomini nei riti di passaggio, di cui il più misterioso e terribile e quello della morte. Le tecniche dell’estasi in ogni cultura sciamanica, prevedono lunghi anni di apprendimento teorico e pratico. A partire da una “vocazione”, spesso segnata da una malattia e da una sua guarigione, le vie dell’estasi sono percorribili solo grazie a un lungo percorso formativo iniziatico, di cui musica e danza sono parte.

8 Ernesto De Martino, antropologo, ha svolto una ricerca ricca di testimonianze anche di audiovisivi degli ultimi rituali della “Taranta” in Puglia, prima che questa tradizione sparisse nelle sue manifestazioni più corali e popolari.

9 G. Roth ha sviluppato la metodologia della danza dei 5 Ritmi mentre insegnava all’Esalen Institute nei tardi anni ’60. Il suo metodo si Basa su 5 ritmi: il Fluire, lo Staccato,il Caos, il Lirico e la Quiete ed è un metodo per diventare consapevoli attraverso il movimento.

Please cite this article as: Shobha Arturi (2013) Corpo che fa anima*: psicoterapia della gestalt e danza. Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia. https://rivista.igf-gestalt.it/rivista/numero-21/corpo-che-fa-anima-psicoterapia-della-gestalt-e-danza/

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