CORPO IN MOVIMENTO, CORPO IN RELAZIONE

Abstract

ascoltare il proprio corpo e decidere che direzione dare al proprio movimento, è un modo per danzare basato sull’improvvisazione. Il movimento in questo caso nasce da un bisogno, da un’intenzione profonda, e danzare diventa una pratica di presenza a se stessi che apre uno spazio per accorgersi, riconoscere e dare una forma a questa intenzione. Alcune pratiche di danza contemporanea, come la Danza Sensibile , hanno sviluppato un percorso di educazione all’ascolto di grande efficacia, che facilita l’incontro con se stessi e gli altri. Il tempo e lo spazio diventano tempo e spazio vissuto, ed è possibile sentire chiaramente la nascita del movimento che sale dalle profondità dell’essere verso il mondo, in relazione al mondo. Attraverso questa pratica è possibile imparare ad accogliere quello che emerge da se stessi senza giudicarlo esattamente come nel lavoro della Gestalt. Abstract: listening to your body and deciding which direction to give to your movement is a way to dance based on improvisation. The movement in this case arises from a need, from a deep intention, and dancing becomes a practice of presence to oneself that opens a space to realize, recognize and give shape to this intention. Some contemporary dance practices, such as the Sensitive Dance, have developed a highly effective listening education pathway that facilitates an encounter with oneself and others. Time and space become time and lived space, and it is possible to clearly feel the birth of the movement that rises from the depths of being towards the world, in relation to the world. Through this practice it is possible to learn to accept what emerges from oneself without judging it exactly as in Gestalt work. Keywords: danza, corpo, movimento, Danza Sensibile, espressione.

Valentina Longhi

di Valentina Longhi
Psicologa – Psicoterapeuta

Abstract: ascoltare il proprio corpo e decidere che direzione dare al proprio movimento, è un modo per danzare basato sull’improvvisazione. Il movimento in questo caso nasce da un bisogno, da un’intenzione profonda, e danzare diventa una pratica di presenza a se stessi che apre uno spazio per accorgersi, riconoscere e dare una forma a questa intenzione. Alcune pratiche di danza contemporanea, come la Danza Sensibile , hanno sviluppato un percorso di educazione all’ascolto di grande efficacia, che facilita l’incontro con se stessi e gli altri. Il tempo e lo spazio diventano tempo e spazio vissuto, ed è possibile sentire chiaramente la nascita del movimento che sale dalle profondità dell’essere verso il mondo, in relazione al mondo. Attraverso questa pratica è possibile imparare ad accogliere quello che emerge da se stessi senza giudicarlo esattamente come nel lavoro della Gestalt.

Abstract: listening to your body and deciding which direction to give to your movement is a way to dance based on improvisation. The movement in this case arises from a need, from a deep intention, and dancing becomes a practice of presence to oneself that opens a space to realize, recognize and give shape to this intention. Some contemporary dance practices, such as the Sensitive Dance, have developed a highly effective listening education pathway that facilitates an encounter with oneself and others. Time and space become time and lived space, and it is possible to clearly feel the birth of the movement that rises from the depths of being towards the world, in relation to the world. Through this practice it is possible to learn to accept what emerges from oneself without judging it exactly as in Gestalt work.

Keywords: danza, corpo, movimento, Danza Sensibile, espressione.

Il corpo è la forma apparente dell’anima e l’anima è il significato dell’apparire dal corpo.
Ludwing Klages

…danziamo, danziamo, altrimenti siamo perduti!
Pina Bausch

 

Quando penso agli anni passati a scuola, ferma e seduta a un banco, sento ancora viva la sofferenza provocata dalla scomodità della sedia e dall’immobilità prolungata; ricordo salire un miscuglio di emozioni incomprensibili, che alla fine diventavano disagio e inquietudine. Era come avere una grande quantità di energia che facevo fatica a contenere, una bomba che implode, che mi lasciava alla fine con un senso di noia, di vuoto e di solitudine. Ho provato ad allontanarmi da questa esperienza di malessere, senza trovare una via che mi portasse abbastanza lontano; il corpo continuava a farsi sentire forte e chiaro.
La strada che poi ho trovato, va nella direzione opposta a quella in cui cercavo. La psicoterapia della Gestalt mi ha accompagnata dentro l’esperienza, insegnandomi a riconoscerne i dettagli, le sfumature, gli odori, aiutandomi a trovare le parole per narrarla e infine a immaginare dei modi per utilizzarla attivamente per andare nella direzione che volevo.
L’attenzione all’esperienza è una parte essenziale del lavoro in Gestalt, la vita stessa è l’esperienza che viviamo nell’interazione con il mondo. Per questo, nel lavoro di psicoterapia, non si guarda tanto al perché, quanto al come questa viene vissuta.
Ognuno percepisce in modo diverso e attraverso la percezione costruisce una propria teoria del mondo, con la quale poi gestisce l’esistenza. La conoscenza del mondo, che avviene attraverso la percezione, è quindi soggettiva e limitata al nostro essere organismi di questo mondo, nel tempo e nello spazio. Ne risulta che l’esperienza non è valutabile secondo il metro giusto o sbagliato, ma fondamentalmente per l’effetto che produce sulla persona che la vive, per esempio il piacere o il dispiacere.
Il corpo è luogo, e nello stesso tempo, lo strumento della percezione, e si manifesta attraverso sensazioni ed emozioni. Le emozioni gestiscono quel processo, che Perls1 chiamò, autoregolazione organismica, con il quale l’organismo organizza il proprio comportamento in base all’emergenza dei bisogni, che è frutto dell’evoluzione e quindi in funzione della sopravvivenza e della qualità della vita.
Questa prospettiva conferisce all’organismo una saggezza e una competenza che provengono dall’esperienza maturata dalla vita nel corso dell’evoluzione sulla terra, che porta, chi lavora nella Gestalt, a fidarsi più della natura che del pensiero razionale.
Attraverso questo punto di vista, ho potuto scorgere un senso anche al disagio vissuto a scuola; era come se le emozioni provocassero un movimento interno, che non trovando una forma accettabile per manifestarsi, mi sforzavo di trattenere. Il malessere era, non tanto nell’emozione in sé, quanto nella fatica di trattenerla. Il corpo diventava allora un campo di battaglia, dove l’eventuale vittoria, era pagata con sintomi organici e somatizzazioni più o meno intense.
Entrare nell’esperienza mi ha permesso di dare un valore alle emozioni, poiché come una bussola, indicano quello che accade all’organismo nel qui e ora. Ho iniziato a guardare al corpo in modo diverso, non più diviso da una mente che cercava di tenerlo a bada, ma come la manifestazione viva e piena di senso dell’essere nel mondo, come la forma apparente dell’anima.
La fenomenologia parla di corpo vissuto come la coscienza di essere al mondo, che è un’esperienza densa e viva, come dice Callieri2, una sorgente continua di donazione di senso della vita. Il corpo vissuto si apre al mondo e a sua volta è un corpo che apre un mondo, lo costruisce, lo plasma, e attraverso una rete di intenzioni, orienta la propria esistenza verso un progetto, fino a trascendere i suoi propri confini.
Il corpo allora si può immaginare come espressione incarnata della nostra intenzione profonda, parla della nostra esistenza e di come stiamo in relazione al mondo, e questa relazione emerge nei gesti, nei movimenti, nelle parole e nei toni della voce.
A differenza del corpo anatomico, che è un oggetto tra altri oggetti, il corpo vissuto, il corpo che sono, costituisce la nostra presenza nel mondo e si pone come intermediario nell’incontro con l’altro; è infatti un corpo che vive in continua relazione con il mondo che lo circonda, nello spazio e nel tempo.
Dare una forma al movimento interno generato da un’emozione o da una sensazione, diventa allora una scelta, che si appoggia su una base organica, e che si manifesta nel decidere quale direzione dare al proprio comportamento.
Questa per me è stata una piccola rivoluzione, perché il pensiero razionale da solo può portare il comportamento in qualsiasi direzione, orientandosi con i concetti di giusto o sbagliato, che danno indicazioni normative e morali, legate dunque alla cultura di appartenenza. Se invece il comportamento si appoggia su un bisogno dell’organismo, l’interessante sarà il sapore, il gusto dell’esperienza, e se questo è piacevole o spiacevole.
Ascoltare il proprio corpo e decidere che direzione dare al proprio movimento, è anche un modo per danzare. Mi riferisco qui a quelle pratiche che non si basano una sequenza standard di movimenti, ma sull’improvvisazione.
Il movimento in questo caso nasce da un bisogno, da un’intenzione profonda, e danzare diventa una pratica di presenza a se stessi che apre uno spazio per accorgersi, riconoscere e dare una forma a questa intenzione. Per un artista, essa diventa un cammino per trasformare questa intenzione in una forma che sia di effetto, che tocchi l’anima di chi la guarda. Per chi pratica a livello amatoriale, è comunque un allenamento a portare la propria intenzione nel mondo e a questo mostrarsi, per come si è.
Alcune pratiche di danza contemporanea, come la Danza Sensibile3, hanno sviluppato un percorso di educazione all’ascolto di grande efficacia, che facilita l’incontro con se stessi e gli altri. Praticando la Danza Sensibile si ha l’impressione di entrare nel proprio corpo e di abitarlo completamente, fino agli angoli più remoti, e di muoversi con una profonda consapevolezza di sé, portando il corpo nel mondo, e riuscendo a toccare con mano quell’esperienza viva e piena di senso di essere nel mondo, descritta dalla fenomenologia.
Il tempo e lo spazio diventano tempo e spazio vissuto, ed è possibile sentire chiaramente la nascita del movimento, che sale dalle profondità dell’essere verso il mondo, in relazione al mondo. Attraverso questa pratica è possibile imparare ad accogliere quello che emerge da se stessi senza giudicarlo esattamente come nel lavoro della Gestalt.
Ho trovato diversi punti in comune tra la pratica della relazione di aiuto in Gestalt e il lavoro di ricerca che la danza offre, tanto da iniziare immaginare come questi due mondi possano incrociarsi, sia nella formazione alla relazione di aiuto, che nella pratica della psicoterapia.
La presenza nella relazione, per esempio, fa parte della formazione dello psicoterapeuta Gestalt, una presenza incarnata e attiva nell’interazione con l’altro, perché non si è nel mondo come spettatori, ma come presenze attive in relazione al mondo.
Poiché la Gestalt non ricerca una realtà concettuale, ma la realtà della persona, ciò che appare alla sua percezione, il terapeuta si interessa di cosa l’altro sente, piuttosto che di quello pensa. L’incontro sarà sempre tra due soggetti, ognuno portatore della sua realtà e del suo modo di percepire, e andrà a costituire una realtà intersoggettiva, che comprenda e rispetti le differenze di entrambi. Questo esclude l’interpretazione dagli strumenti di lavoro dello psicoterapeuta Gestalt.
Per incontrare l’altro è necessario poter vedere con i suoi occhi, per questo il terapeuta non rimane fuori dal mondo dell’altro, ma si cala nel suo paesaggio e ne diventa attore consapevole, pur mantenendo la propria individualità.
Il terapeuta inoltre, per entrare in contatto con il mondo dell’altro, deve essere capace di ascoltare, riconoscere e accogliere l’orizzonte degli eventi entro il quale la persona si muove, e per fare questo è necessario stare a una certa distanza, perché se non c’è abbastanza spazio dall’altro o se ce n’è troppo, non accade niente. Questo spazio diventa vivo e abitato quando entrambi i partners possono esistere nella relazione come individui separati e nello stesso tempo scambiare qualcosa, dando vita a un movimento. La distanza abitata è il luogo dove le cose possono avvenire, essa ha un riflesso emozionale su chi la sperimenta, e va costruita continuamente, momento per momento, proprio come quando si danza insieme.
Chi si occupa di relazione di aiuto ha la responsabilità di creare questo spazio, di nutrirlo in modo che possa diventare abitato, e le competenze necessarie somigliano a quelle di un ballerino esperto.
Nel tango argentino per esempio, uno dei partners, tradizionalmente l’uomo, comunica con il corpo un’intenzione di movimento, come la direzione di un passo, e l’altro seguendo questa intenzione risponde, modificandola a sua volta, per ipotesi con un adornos. Così si avvia una comunicazione alla quale l’altro risponde nuovamente, modificando la propria intenzione, fino a generare una spirale tra ascoltare e rispondere, che permette di co-costruire una storia, a partire da un terreno comune, la musica.
La storia potrà essere giocosa, commovente, appassionata e altro ancora, quello che è interessante è che se c’è stato contatto tra i due mondi, questo restituirà ai due partners un’esperienza di senso, che prende forma da un sentire insieme.
Per realizzare questo progetto, è essenziale sviluppare la propria capacità di ascolto e l’abilità nel rispondere con presenza, essere radicati nel proprio mondo e nello stesso tempo essere disponibili a incontrare il mondo dell’altro senza confondersi con l’altro, e quando si fa un passo, essere chiari nelle proprie intenzioni, esattamente come il terapeuta, che aiuta il paziente a muoversi insieme in una relazione che sia soddisfacente per entrambi.
Sembra quanto mai evidente il motivo per cui, per alludere a relazioni di qualità, spesso, si usano metafore che richiamano al danzare insieme, che richiede appunto, la capacità di stare nella propria esperienza in maniera consapevole, di ascoltare l’altro, riconoscendolo come diverso da sé e di muoversi di conseguenza.
Tutte le pratiche corporee che lavorano sull’ascolto e sulla consapevolezza, possono essere di aiuto per sviluppare competenze utilissime anche per terapeuti, ma danzare è anche qualcosa di più. Non avendo una forma stabilita, consente di scegliere una direzione per creare qualcosa che abbia senso per la persona, seguendo il proprio piacere. Richiede di affinare l’ascolto dell’altro e di imparare a muoversi con l’altro, per creare uno spazio abitabile che consenta di muoversi insieme, che è sempre un muoversi in relazione a qualcosa, allo spazio, al tempo, alla musica, o alla forza di gravità, come accade nella Contact Improvvisation4.
La danza può essere un nutrimento per chi lavora nella relazione di aiuto anche perché, come tutte le forme di arte, permette di trascendere i propri confini e di incontrare la propria spiritualità. Come diceva Kandinsky5, la forma è l’espressione esterna del contenuto interiore, il cui motore è la necessità interiore, che nasce a sua volta dal sentimento e dalla sensibilità personale: la forma dunque riflette lo spirito di chi l’ha creata.
Creare vuol dire avviare un processo trasformativo in un movimento che va da dentro a fuori, e la bellezza della forma sarà in relazione all’effetto che produce su chi la osserva; quello che parte da una necessità interiore sarà sempre di valore, e sarà efficace nel far vibrare l’anima di chi la osserva.
La bellezza non è un valore assoluto, ma esiste all’interno di un preciso contesto, che ne definisce le relazioni e i limiti: in un quadro di arte astratta, per esempio «importano le relazioni che hanno fra loro le forme che lo compongono e, al limite, il rapporto che hanno con la cornice. Importa insomma l’insieme, la Gestalt, la quale trascende la somma delle parti e vive di vita autonoma, e in ogni caso limitata6».
Non tutti possono essere artisti, ognuno, però, può rendere la propria vita un’opera d’arte, muovendosi da quello che ha a disposizione, scomponendo e ricomponendo nelle molteplici possibilità che la vita offre.
Forse alla fine dovrò ringraziare gli odiati banchi di scuola, che mi hanno regalato l’inquietudine sufficiente a mettermi in movimento, che mi ha permesso di trovare nella danza un’esperienza viva di senso, che negli ultimi anni sto portando nella pratica della psicoterapia.
In questo lavoro, guardo al movimento e al danzare come una metafora del personale modo di ognuno di muoversi nella propria esistenza, come una narrazione del corpo vissuto. Il movimento richiama sensazioni ed emozioni, che a loro volta diventano altri movimenti, che spostano dal qui e ora verso altre direzioni nello spazio e nel tempo.
Come molte persone, intenta a inseguire la mia giornata, mi accade di non riconoscere molte sensazioni ed emozioni non particolarmente intense, che restano sotto la soglia di consapevolezza. La mia impressione è che queste con il tempo queste si accumulino, fino a quando il malessere non diventa abbastanza intenso da arrivare oltre la soglia, e a quel punto mi rendo conto, per esempio, che la respirazione è faticosa.
Nell’esperienza con la danza, mi sono accorta, che nel tentativo di allineare il movimento con il tempo interno, sperimento quei piccoli malesseri accumulati che non avevo notato prima. Percepisco chiaramente l’emozione che sale dal bacino fino alla testa e spesso mi ricordo anche cosa l’ha provocata. È come se il movimento agisse come uno shaker e quello che si è depositato, si staccasse dal fondo per tornare a circolare, dandomi la possibilità di viverlo, esprimerlo e lasciarlo passare.
Tutto nel corpo si muove, il cuore, i fluidi, l’elettricità. Le emozioni creano un movimento che spinge il corpo verso una direzione. Danzare è un modo per accordare questi movimenti a un tempo vissuto, in accordo con la propria natura. Chiunque ne ha esperienza, sa che danzare fa bene, quando si danza ci ricordiamo quanto si può essere felici nella vita.
La strada per portare questa esperienza nella vita di tutti giorni, per sperimentare nuovi vissuti e diverse modalità di conoscenza e di comportamento, non è sempre così diretta. Per fare questo mi sembra utile legare al movimento e al danzare, le parole; parole che evocano e che raccontano del corpo vissuto.
Il movimento allude, evoca immagini, fantasie e storie; a partire da queste, si può iniziare un viaggio con l’intenzione di trasformarle in paesaggi più vivibili, una trasformazione che inevitabilmente modifica anche il movimento.
Parole e movimento si intrecciano, come in una danza, e si parte per un viaggio senza sapere dove porterà, ma nel frattempo si danza, e questo già è un cambiamento.

NOTE:

1 Perls F., Hefferline R.F., Goodman P., Teoria e pratica della Gestalt. Vitalità e accrescimento nella personalità umana. Astrolabio, 1971, Roma
2 Callieri B., Corpo, esistenze, mondi, 2007, edizioni Universitarie Romane, Roma
3 La Danza Sensibile è stata ideata da Claude Coldy con l’aiuto di due osteopati francesi
4 Una tecnica di danza contemporanea basata sull’improvvisazione e sul trasferimento di peso da un corpo all’altro, attraverso un dialogo fisico in cui sono coinvolti tutti i sensi
5 Kandidinsky W., Lo spirituale nell’arte, ed. SE, 1989, Milano
6 Quattrini G. P., “La pratica filosofica. Lungimiranza e valore: al di là dei confini dell’io, l’esperienza della qualità”, INformazione n.23, 2013, Roma
Please cite this article as: Valentina Longhi (2014) CORPO IN MOVIMENTO, CORPO IN RELAZIONE. Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia. https://rivista.igf-gestalt.it/rivista/corpo-in-movimento-corpo-in-relazione/

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