Osservazioni sull’attenzione

Direttore G. Paolo Quattrini

Istituto Gestalt Firenze

G. Paolo Quattrini – Psicoterapeuta Direttore Responsabile IGF

Pubblicato sul numero 44 di Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia

 

Un problema dibattuto è se l’attenzione può essere libera, dato che molti automatismi legati alla sopravvivenza ne obbligano la direzione: ma se non fosse libera l’attenzione non potrebbe esserlo nemmeno la volontà. A questo proposito c’è la vecchia storia dell’asino di Buridano, che racconta di un asino messo di fronte a due sacchi di biada identici, e che, non sapendo quale scegliere, muore di fame. Anche un bambino ride ascoltandola, tanto è evidente l’assurdità della cosa. Ora, però, in che senso è così assurda1? Salta agli occhi che nessuno, nemmeno un asino, per quanto stupido sia, può morire di fame semplicemente per una indecisione, ovvero che ovviamente l’organismo è capace di totale arbitrarietà di attenzione e di scelta quando i suoi interessi di sopravvivenza sono implicati.

Questo è facilmente comprensibile: quello che è meno evidente se non si guarda in un’ottica animalistica, è se siamo di fronte a una capacità naturale o culturale, fisiologica o spirituale. Ora, l’arbitrarietà è una necessità intrinseca alla sopravvivenza, che può rimanere arbitraria perché ha origine, ma non causa in senso lineare: se è vero che il conflitto interno lo si può anche leggere come causa, è però una causa che non determina uno specifico effetto, causa cioè la necessità di scegliere ma non la specifica scelta, la quale resta arbitraria e libera, intendendo per libertà non un arco infinito di possibilità, ma lo scegliere almeno fra due opzioni. Siccome scegliere si relaziona necessariamente alla molteplicità delle necessità dell’organismo, in realtà più che scegliere qualcosa si rinuncia a tutto il resto, operazione che probabilmente non necessita di grossi spostamenti energetici per essere condotta: la scelta si opera spostando l’attenzione sulla cosa scelta e separandola dal resto, in modo che l’intensità diventi più forte. Scegliere cioè è facile, ed è un processo responsabile: se attenzione e scelta abitano l’area della responsabilità, diventano sinonimo di libertà.

Negli animali, dove i processi mentali non sono digitali e non permettono astrazioni e quindi lungimiranza (un gatto ha presumibilmente un’attività mentale di tipo analogico, “pensa” cioè per immagini), l’azione è probabilmente coincidente con le emozioni più travolgenti: detto in altri termini, quello che sente fa, come succede anche a quelle persone che dicono di essere appunto “istintive”2. L’attività cognitiva concettuale porta invece un quadro ben più largo del mondo, e produce quell’architettura di pensiero che anticipa gli effetti e facilita le scelte. La volontà, arbitraria, e la verità3,determinata nella sua funzione di epistemologia fondante, si configurano come i poli dialettici fondamentali: non è infatti la verità del mondo interno opposta alla verità del mondo esterno, ambedue irriducibili e separate, che produce la dinamica intrapsichica, ma la volontà della persona che si contrappone dialetticamente alla verità del mondo. La verità, esterna e interna, è qualcosa di rigoroso per definizione, ma non per questo assoluto: tutte le verità si appoggiano su premesse epistemologiche, e cambiando le premesse cambiano le verità. È vera per esempio la geometria euclidea, e si può calcolare tranquillamente i muri di un edificio senza rischiarne il crollo, ma questo si basa sulla premessa indimostrabile che da un punto a una retta passa una sola parallela: se si parte dalla premessa che invece passino più parallele si danno altre geometrie.

A questo punto la domanda è cosa vuole la persona, è la sua volontà che contrapponendosi alla verità la modifica, nella misura in cui questa può essere concretamente modificata, scegliendo vie di interazione adeguate: un pezzo di piombo può diventare oro, posto che lo si bombardi adeguatamente in un beta sincrotrone, o che si sviluppi un qualsiasi altro metodo capace di farlo, fusione a freddo, pietra filosofale o quello che sia, ma che concretamente riesca a operare la trasformazione. La volontà inciampa necessariamente nella verità, che è concretamente ineludibile: ineludibile non significa destinata, perché con il riconoscimento delle strutture dissipative4, la termodinamica dimostra come ci siano fessure nel tessuto del mondo materiale che permettono alle particelle di scegliere direzioni diverse, ed è questo che fonda la possibilità che la volontà eserciti poi il suo libero arbitrio su un livello macro. La volontà cavalca le forze dell’organismo, e come un cavaliere quando ha sufficiente esperienza e responsabilità, manda il cavallo dove vuole.

Nel caso dell’asino suddetto, l’intenzione è la fame, che non si preoccupa di valutare astrattamente la differenza fra i due sacchi di biada. L’asino del resto non ha la corteccia, e non può fare quindi astrazioni: si muove in via analogica verso quello che gli sembra semplicemente appetibile. Ben diverso è il caso di chi sceglie al ristorante, e si orienta verso ciò che è più appetibile, che può essere una scelta analogica se si tratta solo magari dell’intensità di profumo, ma sembra qualcos’altro nel caso di una scelta d’altro tipo. La cucina complessa richiede di immaginarla con la fantasia per poterla scegliere coscientemente.

Così le scelte o si fanno a casaccio, come l’asino di cui sopra, oppure con un’attenzione responsabile che sceglie in base a quello che immagina sia il risultato della scelta. Questo è il cosiddetto libero arbitrio, libero in quanto limitato solo alle capacità immaginative della persona, arbitrio perché niente garantisce il risultato della scelta. E quanto è libera la fantasia della persona? Da quanto è temuta deve essere piuttosto libera5, di sicuro non lo è totalmente, e a questo alludono quelli che negano il libero arbitrio. Avere comunque anche due sole scelte possibili comporta poter andare in due direzioni differenti, che implicano due mete differenti: considerando che la scelta si ripresenta continuamente, si può immaginare la ricchezza di alternative nel cammino.

Nelle sedute di Gestalt, l’attenzione non si muove nella logica deterministica della relazione obbligata fra causa ed effetto: fermo restando che ogni effetto ha le sue cause, niente vieta che sia determinato da altre diverse, o che quelle cause avrebbero potuto determinare altri effetti. Qui non importa capire ripercorrendo al contrario le relazioni di causa ed effetto, da dove nella vita passata della persona proviene una scelta, l’importante è immaginare come le connessioni potrebbero essere realizzabili in una maniera differente, in modo che la persona possa trovare un modo di andare dove gli pare.

L’attenzione va indirizzata, come va orientata una pila elettrica, con l’intenzione della persona: dove non arriva la luce non si vede, e la larghezza del fascio della luce e dell’attenzione è limitato. I bambini sono notoriamente dis-tratti, e solo dopo anni di disciplina scolastica sono capaci di tenere ferma l’attenzione su qualcosa di complesso tanto da riuscire a elaborarlo in modo soddisfacente, come richiede qualunque professione. Ma il problema è come orientare l’attenzione per una scelta sensata, nel senso della semplice funzionalità e soprattutto del valore: sembra ovvio, ma molte persone non ci riescono.

Intanto bisogna ricordarsi che ci sono tre piani di realtà molto diversi, quella concreto, che si percepisce con i cinque sensi, quello astratto, che si raggiunge col pensiero, e quello esperienziale che, tanto per fare un esempio, come l’amore è invisibile e intangibile ma si sente ugualmente con chiarezza. Sono tre piani diversi e non sovrapponibili, e bisogna avere abbastanza dimestichezza con la gestione consapevole dell’attenzione per poterlo fare a volontà: bisogna cioè conoscere la differenza e volere qualcosa di concreto, qualcosa di astratto o un’esperienza. Per capirlo è essenziale immaginarel’effetto di quello che si vuole, perché anche se è vero che si può rapidamente cambiare obbiettivo, nessun oggetto e nessuna riflessione possono stare al posto di un’esperienza.

Immaginare è dunque uno strumento base dell’attenzione, perché permette di verificarne il senso, a che scopo sto attento a questo o quest’altro: cioè la verifica sta nel futuro e il futuro si raggiunge solo con l’immaginazione, dato che la deduzione è troppo lenta e spesso ipotetica, cioè ugualmente immaginata. In altre parole, l’attenzione deve essere preceduta dall’intenzione per essere gestita funzionalmente: non si può guardare dove cade l’occhio e ritenere che questo abbia un senso in sé per la nostra esistenza. Il mondo è molto più grande di quello con cui possiamo avere a che fare nell’esperienza personale.

L’attenzione dunque è libera quando è dotata di intenzione, e va immaginando possibilità e potenzialità che poi la persona concretizza in oggetti: un esempio elementare di questo è lo sviluppo tecnico delle culture umane, un altro è l’inventività degli artisti, e via dicendo. Liberata, l’attenzione va dove vuole, in posti plausibili e anche dove non dovrebbe andare: qui c’è una differenza fra la visione etica e quella morale, la morale vieta anche le fantasie mentre l’etica no. Il valore etico si sente, e le cose di cattiva qualità si evitano per la loro sgradevolezza, non perché siano proibite: l’omicidio è una delle esperienze peggiori che si possano fare, ma i romanzi gialli possono essere piacevoli da leggere, dato che lì in realtà non muore nessuno.

Se sul piano digitale l’attenzione addestrata si sposta lungo i canali deduttivi, dove le operazioni sottendono l’uguaglianza come strumento conoscitivo (cioè le equazioni), al livello dell’immaginazione, che si muove sul piano analogico, si procede sulle vie della somiglianza (questo mi ricorda quest’altro), senza bisogno di indicazioni più certe e dimostrabili. E’ importantissima l’attenzione nella fenomenologia, perché i fenomeni si manifestano per somiglianza e a vari livelli di intensità, i quali non coincidono con la loro importanza: a volte fenomeni molto rilevanti hanno livelli di intensità bassissima, come le gran parte di quelli che si presentano nella meditazione, dove per accorgersene bisogna metterci un’attenzione molto addestrata.

C’è una differenza concettuale importante a questo proposito, se si intende un’attenzione di tipo deterministico o una di genere non deterministico: nel determinismo non ci sono alternative, la relazione causa – effetto fra due elementi dell’universo è biunivoca e obbligata, in una visione non deterministica c’è una causa per quell’effetto, ma non è necessariamente quella che si vede6, e la relazione tra causa ed effetto non è biunivoca. Questo implica che non si vede quello che c’è ma quello che si cerca, e se l’attenzione non lo trova nel mondo concreto, lo può cercare nella fantasia: siccome la fantasia è infinita, questo implica una ricerca illimitata fra infinite possibilità, fra cui ci si può orientare solo arbitrariamente. Si può non significa che succeda, ma solo che potrebbe: che succeda dipende dalla volontà della persona, che attraverso un’attenzione consapevole si orienta dove vuole.

La volontà è libera e arbitraria: bisogna chiarire però questi due attributi, che abitano comunque un orizzonte determinato. Una parte dell’infinito può essere ancora infinita, e la libertà umana sta nei limiti della sua situazione: per quando sia interessato a qualcosa, prima o poi deve smettere e occuparsi di mangiare, non può prestare attenzione a oggetti troppo lontani, non percepisce ultrasuoni, eccetera eccetera. Fra i limiti ci sono anche i gusti culturali: è noto che Freud trovava assurda l’arte moderna, la musica moderna è appannaggio dei giovani, il valzer non lo balla più nessuno, eccetera eccetera.

La libertà insomma è infinita ma non senza limiti personali, e c’è chi ne ha più e chi ne ha meno. Lo stesso succede per la capacità di arbitrio, che in genere richiede almeno una somiglianza del nuovo al vecchio: così l’espansione è moderata, ma si allarga ugualmente perché ciò che somiglia a quello che somiglia all’immagine di partenza, a questa può non somigliargli proprio più. Lo strumento fondamentale del libero arbitrio è l’attenzione educata alla responsabilità delle proprie intenzioni, e queste sono indissolubilmente legate al sentire della persona: altrimenti si tratta di un approccio ideologico alla realtà, che non è più plausibile neanche neurologicamente da quando si è appurato come i due emisferi del cervello parlino due lingue differenti, il digitale e l’analogico, non sovrapponibili ma solo dialettizzabili.

1 Per Leibnitz l’assurdità consisteva nel fatto che non esiste al mondo niente di assolutamente identico, e quindi per lui il caso non si dava: al suo tempo evidentemente le considerazioni sugli organismi non erano di interesse primario.

2 Se vogliono qualcosa lo prendono, senza evocare nella fantasia possibili conseguenze e senza mettere in moto e quindi in contrapposizione le relative emozioni, che costringerebbero a complicate operazioni di sintesi dialettiche: senza insomma entrare nella “posizione depressiva” in senso kleiniano.

3 Per verità si intende qui uno dei tre aspetti del valore, etica estetica e verità: le verità sono molteplici, come sono molteplici i luoghi a cui conducono: Wittgenstein diceva che il pensiero è una scala per arrivare da qualche parte, dopodichè lo si può anche buttare.

4 Dice esplicitamente Prigogine: “uno degli aspetti più interessanti del fenomeno è l’instaurarsi di una sorta di sintonia in cui il sistema si comporta come un tutto, in cui il processo locale sembra essere informato della totalità; un aspetto altrettanto interessante è la presenza, nella dinamica del sistema, di “punti di biforcazione”, punti in cui l’evoluzione del sistema diviene indeterminata: il sistema ha, per cosi dire, libertà di scelta fra due cammini alternativi.”

5 Una associazione di madri italiane negli anni scorsi istituì una commissione di controllo sui fumetti, segnalando sulla copertina se erano più o meno pericolosi per fare venire “idee in testa” ai bambini.

6 Non è indispensabile riferirsi nella lettura del mondo a una causalità lineare, come quella poggiata sulla logica aristotelica, ma si può utilizzare una accezione non-aristotelica della causalità, una causalità che non sia basata sul postulato di non contraddizione (se A è uguale a B, B è uguale ad A), una causalità, diciamo, sistemica, dove entrano in gioco componenti interconnesse in modo circolare, di cui difficilmente si può dire cosa causa cosa, come mostra chiaramente la teoria del Caos. Una causalità insomma che si potrebbe chiamare rete causale, e direzione della maggioranza dei processi. Pur continuando a risultare una caratteristica della mente umana piuttosto che del mondo osservato, questa ottica è certamente più articolata e più funzionale per una conoscenza più efficace, ma soprattutto si avvicina, con la sua multifattorialità degli eventi, al luogo del libero arbitrio.

Please cite this article as: G. Paolo Quattrini (2022) Osservazioni sull’attenzione. Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia. https://rivista.igf-gestalt.it/rivista/numero-44/osservazioni-sullattenzione/

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