Il carattere e il lutto. L’integrazione della perdita nello stile del carattere
Istituto Gestalt Firenze
di G. Paolo Quattrini
Direttore Scientifico Istituto Gestalt Firenze
Pubblicato sul Numero 38-39 di Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia
Alla nascita, il bambino è dotato di organi, fisici e psichici: organi psichici si possono considerare le funzioni relazionali. Ciò che nella tradizione Soufi dell’enneagramma si chiama i “caratteri”, in quella cristiana è conosciuto come i ”peccati capitali”, con riferimento più diretto al fatto che il carattere è esistenzialmente un errore, nella sua esagerazione di qualcosa di per sé fondamentale: l’esagerazione di una funzione mette infatti la persona al servizio della funzione, invece del contrario, come dovrebbe essere.
Le esagerazioni interne si riscontrano nel comportamento delle persone: il tentativo di superare le difficoltà della vita le radicalizza e tinge l’agire di uno stile “caratteriale”. Il carattere di per sé sarebbe solo uno stile, ma più che è rigido più diventa problematico: quando arriva a non riconoscere il principio di realtà diventa un inciampo serio.
Anche nell’incontro con la morte il carattere lascia il suo segno, e pesa sul lutto, che è la maniera fisiologica di confrontarsi con la perdita: lutto è raccoglimento e rassegnazione, ma senza la devastazione che questa spesso comporta. La morte è senza rimedio, mentre le funzioni psichiche attraverso il carattere cercano una via d’uscita anche se impossibile: se non si sta attenti diventa una lotta contro l’inevitabile, fatta attraverso il sacrificio di parte di sé, per esempio del bisogno di pace, per il quale la rassegnazione è basilare. Il carattere lotta contro le avversità, mentre c’è un limite anche a questo: il lutto, con l’accettazione del dolore, è lo strumento naturale per non farsi annientare dalle sconfitte. Come ostacola il resto della vita, con la sua esagerazione il carattere rende tendenzialmente difficile il lutto: il rimedio è accettarlo semplicemente come uno stile, che colora il lutto senza forzarlo.
Le esagerazioni sono quelle delle nove funzioni fondamentali: organizzativa, autostima, autorappresentazione, separazione, autoalleanza, autoprotezione, evitamento, territorialità, equilibrio;
– nell’esagerazione organizzativa (peccato dell’Ira) il lutto potrebbe essere accompagnato da una gestione precisa della situazione che non impedisca però di sentire il dolore della perdita e l’insensatezza della fine della vita, che con il suo limite temporale annulla l’importanza delle cose concrete, ma apre anche la percezione all’invisibile, al profumo che queste emanano;
– nell’esagerazione della funzione autostima (peccato dell’Orgoglio) il lutto richiede che non si esageri nella pena per se stessi a scapito della pena per la persona morta, che nel momento che non c’è più è ormai una presenza senza attriti per l’egoismo di chi resta: che almeno ora la si ossequi con benevolenza;
– nell’esagerazione dell’autorappresentazione (peccato della Vanità) non bisogna cedere alla tendenza di farsi prendere la mano dallo spettacolo del proprio dolore, e bisogna ricordarsi la perdita con quello che implica davvero, cioè una riorganizzazione di varia grandezza della propria esistenza;
– nell’esagerazione dell’autoalleanza (peccato dell’Invidia) la tendenza sarebbe quella di coprire il dolore con la rabbia per l’ingiustizia della scomparsa, ma con questo si perde la consapevolezza che la vita ha un limite, e che questo limite va accettato e anche apprezzato nel senso che tutto quello che si fa nella vita deve avere senso anche tenendo presente che un giorno moriremo.
– nell’esagerazione della separazione (peccato dell’Avarizia) la persona tendenzialmente tiene tutto dentro, mentre il lutto funziona con l’espressione del dolore: senza questo dura all’infinito. Aiutano i riti intorno alla morte, e parlare della persona morta, raccontando cosa si ricorda di lei;
– nell’esagerazione dell’autoprotezione (peccato della Codardia) il lutto viene coperto da preoccupazioni che riguardano la difesa propria e delle persone coinvolte: il lutto diviene allora periferico e poi cronico. Le persone dovrebbero ricordarsi di mettere attenzione sul sentire invece che solo sul pensare, in modo da poter esprimere il proprio dolore e così lasciar cicatrizzare la ferita dell’anima.
– nell’esagerazione dell’evitamento (peccato della Gola) il lutto è veicolo di dolore, cioè della cosa da evitare per eccellenza: diventa in genere un’ombra che si aggira sul fondo dell’anima e che viene sistematicamente scansata, scansando così anche le tematiche affettive relative. Il rischio è di perdita della capacità di amare, e richiede una disciplina antievitamento.
– nell’esagerazione della territorialità (peccato della Lussuria) il lutto diventa vendetta e il dolore viene dimenticato: il dolore qui equivale a sconfitta, ma bisogna arrendersi alle sconfitte per potersi godere la vita.
– nell’esagerazione dell’equilibrio (peccato dell’Accidia) il lutto è parte del dolore del mondo, e non c’è modo di dimenticarlo: le persone con questo carattere trascinano nel fondo dell’anima una tristezza che non passa mai, come un cielo sempre nuvoloso. Anche qui è necessaria una disciplina dell’attenzione, che spostandosi sul futuro lasci svanire le tristezze del passato.
Come si vede, sette caratteri corrispondono ai sette peccati capitali della tradizione cristiana, e due sono sovrapposti a quello vicino, la vanità all’orgoglio e la codardia all’avarizia: non ci sono indicazioni di come storicamente si è prodotto l’evento, di come questa tradizione dell’epoca babilonese – sembra -, è entrata in contatto col cristianesimo, ma anche così si vede bene che si tratta della stessa visione di caratteristiche inevitabili della psiche.
Inevitabili naturalmente, ma evitabili culturalmente, e a questo serve lo studio dei caratteri: sono esagerazioni, ma nel mondo moderno si chiamano specializzazioni, e sono apprezzate come abilità professionali. Per questo si capisce come siano difficili da individuare, sarebbe come accorgersi che il peccato è la professione per cui si è studiato tanto e che permette di sopravvivere: ma se essere ingegnere o medico o avvocato o altro non è di per sé un peccato, comportarsi come tale con i propri familiari lo diventa facilmente, e per fare una vita decente bisogna allora resistere alla tentazione di cedere al proprio carattere, che è la cosa che ognuno sa fare meglio.
Un buon punto di partenza per comprendere meglio il lutto.