Oggetti e fenomeni

Direttore G. Paolo Quattrini

Istituto Gestalt Firenze

di G. Paolo  Quattrini

Direttore Istituto Gestalt Firenze – sede di Firenze

INformazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia”, n°4 novembre – dicembre 2004, pagg. 24-30, Roma

 

Il contenitore di qualsiasi operazione relazionale con il mondo è il conoscere: in primo luogo conosciamo, poi si fa tutto il resto

Cos’è conoscere?

Veniamo in genere dall’esperienza scolastica, e qui conoscere ha una connotazione ben precisa: di solito le persone sono convinte di sapere cosa è conoscere, riferendosi all’andare bene o male  a scuola.

Conoscere in realtà è qualcosa di molto diverso e molto più complicato.

Sulle modalità del conoscere, due fondamentali scuole di pensiero hanno attraversato i secoli, il Razionalismo e l’Empirismo.

Il razionalismo affonda le proprie radici in Platone, l’empirismo in Aristotele.

Il modo di conoscere razionalista ha avuto prevalenza nel mondo moderno, e ciò che noi intendiamo comunemente per conoscere coincide con le modalità della scuola razionalista: si costruisce una teoria e poi si confronta il mondo con questa teoria, e questo è il conoscere.

Il conoscere razionalista è il conoscere attraverso idee, concetti.

L’altro modo è quello della scuola empirica. Il termine empirismo viene da em-peira, (peira = esperienza): la conoscenza empirica è la conoscenza esperenziale.

Non si tratta, in effetti, di due modi di conoscere la stessa cosa, ma di due forme di conoscenza rivolte a due realtà completamente diverse. Attraverso un approccio razionalista si conoscono gli oggetti, ma non i fenomeni: è solo attraverso un approccio empirico che si conoscono i fenomeni[1] .

Il problema è la differenza tra oggetto e fenomeno: oggetti e fenomeni si sovrappongono indebitamente nel pensiero comune, tanto da tendere alla riduzione dei fenomeni ad oggetti di altro tipo.

La tendenza generale è, dunque, a conoscere razionalmente: ma razionalmente si conoscono solo gli oggetti mentre i fenomeni non c’è modo di conoscerli in questa maniera

Il conoscere razionale è un conoscere attraverso la misura, e corrisponde a una forma linguistica molto precisa: “questo è quello”.

E’ la forma dell’ equazione: “a+b=c”.

Il conoscere logico è un conoscere attraverso equivalenze “a+b=c” “a+b non uguale a c. La griglia di verifica è: l’affermazione è giusta o sbagliata.

In un linguaggio algebrico non c’è nessun interesse per l’oggetto della conoscenza: cosa c’è nel contenitore A, cosa c’è nel contenitore B, cosa c’è nel contenitore C, per l’operazione algebrica è indifferente. LA logica misura le relazioni a+b=c, mentre non dice niente di che cosa è A, di che cosa è B, di che cosa è C…

Da qui appare chiaro come la conoscenza logica sia una conoscenza quantitativa: la logica misura le quantità, non misura l’essenza delle cose.

La quantità è un’ area di conoscenza fondamentale: avere un chilo d’oro o tre chili d’oro fa una certa differenza. Ma se  si analizza, per esempio, IL mondo musicale, una certa quantità di suoni e un’altra uguale non rende le due esperienze  uguali, poiché una quantità di suoni nel traffico e la stessa quantità di suoni in un concerto è completamente differente.

Ma se dal punto di vista quantitativo è uguale allora  in cosa consiste la differenza?

Evidentemente in questo ambito la misura della quantità non porta da nessuna parte. La misurazione adatta al mondo dell’arte è una misurazione qualitativa.

Ciò che differenzia i rumori dalla musica è la qualità, non è la quantità. E la qualità, e questo è il fatto importante, non può in nessun modo essere ridotta al piano quantitativo.

Abbiamo dunque due realtà che non possono essere ridotte una all’altra. Sono, come si dice in matematica, entità incommensurabili. L’incommensurabilità è un interessantissimo problema, ormai passato di moda, ma che ha percorso tutto il medioevo: si tratta della mitica ”quadratura del cerchio”.

Si sa che la relazione tra il diametro e la circonferenza di un cerchio non è un numero preciso, ma è definito da “π”, che è un numero periodico, quindi infinito. Questo significa che non esiste una quantità abbastanza piccola da poter misurare contemporaneamente il diametro e la circonferenza del cerchio.

E’ difficile capire una cosa del genere: si può immaginare una quantità x, si divide in due, e poi in due, poi in due…, via via all’infinito e si può arrivare all’infinitamente piccolo. Eppure, per quanto infinitamente piccola, non esiste una quantità  che possa misurare l’una e l’altra cosa.

Questo significa una cosa fondamentale: ci sono delle realtà che sono strutturalmente differenti, e questa differenza e’ senza speranza, cioè   non possono esser ridotte una all’altra e quindi vanno assunte con la loro diversita’..

Nella nostra cultura, di tradizione monoteistica, tutto cio’ è molto difficile da accettare. La nostra cultura aspira naturalmente a costruire un sistema di conoscenza unico, un sistema di conoscenza valido per tutto il resto.

Come nessuno è mai riuscito a quadrare il cerchio, nessuno è mai riuscito a  integrare empirismo e razionalismo: in altre parole nessuno ha mai costruito un sistema di conoscenza che possa misurare sia l’oggetto che il fenomeno. L’oggetto viene misurato quantitativamente, il fenomeno viene misurato qualitativamente: quantità e qualità sono incommensurabili.

Si può misurare quantitativamente un pezzo di musica, ma questo non dirà nulla sulla sua qualità: la qualità riguarda il fenomeno che questo pezzo di musica è.

Oggetto e  fenomeno non sono dunque la stessa cosa: un quadro, come oggetto, è un pezzo di tela e un po’ di polveri colorate, mentre come fenomeno è qualcosa di completamente diverso. Può essere qualcosa di straordinario, o di nessuna importanza, o addirittura offensivo per il gusto: può avere qualunque tipo di valore, e il valore si manifesta appunto sul piano del fenomeno, che si misura appunto con la qualità.

Qualità e quantità sono due metri di misura che sarebbe necessario usare contemporaneamente: avere una conoscenza oggettuale della realtà non dice niente sul piano della realtà fenomenica. Una casa per esempio può essere arredata in modo estremamente funzionale ed essere un orrore, e cio’ capita di frequente.

Cosa differenzia il bello o il brutto? E’ difficile dirlo, chi non vede il fenomeno non si rende conto che c’è, quindi non soffre neanche della sua mancanza.

Eppure la vita umana persegue vari obiettivi: la sopravvivenza, la comodità, la ricchezza, eccetera. Ma una volta che una persona è diventata ricca, capita per esempio che compri quadri, che non sono indispensabili alla sopravvivenza: se una necessità indiscutibile è di certo quella della sopravvivenza, sembra che un’altra sia quella del valore (la bellezza, la bontà……….  ).

La creatività si trova davanti l’infinito: si può creare all’infinito, ed è attraverso la bussola della qualità che si riconosce una creazione interessante da una  creazione di nessun interesse.

Qualunque prodotto artistico solleva il problema se valeva la pena o no, se tutto il tempo impiegato lì è servito a qualcosa, o se era meglio che la persona avesse speso meglio il suo tempo.

Questo discorso riguarda anche la vita quotidiana e la relazione tra le persone: la creatività non riguarda solo l’arte canonica, musica pittura, ecc. ma riguarda tantissimo anche la vita quotidiana.

Si tende a perdere creatività nella vita quotidiana, e a ripetere rituali che hanno perso qualunque contenuto, con conseguenze di vario tipo: una  di queste   è il decadere qualitativo della vita . Una volta che la qualità è decaduta la cosa più facile è compensarla con la quantità. Le persone che hanno una qualità di vita scadente, spesso si buttano sul consumismo, cercando di compensare così questa mancanza di qualità.

Per orientarsi verso la qualità della vita bisogna riuscire a destreggiarsi tra oggetti e fenomeni: ora, mentre tutti sono capaci di riconoscere gli oggetti, serve una vera e propria educazione per riconoscere i fenomeni, che non sono gli oggetti, ma che dagli oggetti emanano.

Un bel quadro non è la somma dei colori e della tela, è qualcosa che emana dal quadro, qualcosa che non è descrivibile quantitativamente: la persona può essere aiutata a vederla attraverso quella critica cosiddetta  esegetica, cioè attraverso un intervento che “porta fuori” dall’opera le intenzioni, il cammino che l’artista ha fatto. Questo aiuta piano piano a riconoscere il fenomeno che l’opera è.

La visione dei fenomeni è qualcosa che richiede un’educazione, o forse una rieducazione: la conoscenza degli oggetti attraverso la misurazione  quantitativa non è infatti un fatto naturale. La conoscenza degli oggetti attraverso questa misurazione richiede un apparato concettuale: un gatto non ha un apparato concettuale, non misura quantitativamente gli oggetti che vede, ma li incontra come fenomeni. E’  possibile dunque che non si tratti di un’educazione, ma una rieducazione al fenomeno, avendo gli esseri umani perduto per ragioni culturali la visione del fenomeno,  educati nella scuola alla visione dell’oggetto.

Non ha grande importanza agli effetti pratici che si tratti di educazione o rieducazione, però di fatto è utile un’esegesi per riuscire a vedere i fenomeni. Per esempio siamo così poco abituati a guardare le persone come fenomeni che le vediamo in genere attraverso misure antropometriche: quello è alto così, largo, così, ha gli occhi di questo colore, il naso fatto così, ecc. Misurata una persona che si sa di questa persona? Per conoscere una persona, come per conoscere qualunque oggetto d’arte, e in questo senso si può dire che una persona è un oggetto d’arte, bisogna sentire che effetto fa.

Sentire che effetto fa richiede un cambio di linguaggio: se il linguaggio logico si sviluppa intorno all’espressione “questo è quello”, il linguaggio che esprime CIO’ che sentiamo,  cioè il linguaggio analogico, è strutturato su una formulazione diversa: questo è come se fosse quello

Alle innamorate si dice: “I tuoi occhi sono come stelle del cielo”. Cos’è, una misura antropometrica? No di certo! Volendo si può dire che è una scemenza, ma in realtà è un’analogia. E’ come se si dicesse “quando guardo i tuoi occhi non vedo che hanno una misura tre centimetri per quattro, ma ho un’esperienza che è simile a quando guardo le stelle del cielo”.

Questa formulazione non spiega, questa formulazione evoca: qui è la differenza fondamentale. Il fenomeno non può essere spiegato, il fenomeno può essere solo evocato. Solo l’oggetto può essere spiegato, cioè può essere descritto con un linguaggio quantitativo. L’evocazione è il linguaggio che permette di chiamare in causa la qualità.

Questo è il problema: la qualità può essere solo chiamata, allusa, ma non può essere descritta. Non c’è nessuna maniera di descrivere la qualità. Appena si descrive la qualità  essa stessa diventa una quantità e smette di essere appunto una qualità. Il linguaggio evocativo ha questa caratteristica rispetto al linguaggio descrittivo: fa un effetto.

Il  fenomeno è l’effetto: fainomai in greco vuol dire apparire, apparire  nel senso di entrare nello spettro visivo dell’altro, nella sua esperienza. fare un effetto significa non tanto fare qualcosa di determinato, di preciso, qualcosa diab-stractum, qualcosa al di fuori del contesto, no! Fare qualcosa che esiste qui e ora nel contesto del rapporto, io faccio un effetto all’altro.

Questo fare un effetto non ha dimensioni di universalità come la conoscenza quantitativa. Se dico questo è un etto di piombo, è un etto di piombo e resta un etto di piombo per l’eternità finché non evapora. Ma se io dico “i tuoi occhi sono come le stelle del cielo” io sto dicendo qualcosa che è vero qui e ora, in questa relazione fra me e l’altra persona, punto e basta.

Quindi, in un senso generale è una conoscenza di scarsissima importanza; è però una conoscenza di grandissima importanza dal punto di vista esistenziale, per la vita della persona.

Che questo sia un etto o due di piombo esistenzialmente ha una importanza relativa, mentre che “i tuoi occhi siano come le stelle del cielo” rende la vita essenzialmente differente.

Ecco come la differenza tra oggetto e fenomeno non riguarda solo l’arte.

E’ evidentemente fondamentale per l’arte, perché una statua non si misura con il metro: perché qualcuno dovrebbe pagare milioni un pezzo di marmo!? Ma, nella vita quotidiana è ugualmente importante, perché se si passa la vita a misurare quello che c’è intorno, è facile arrivare alla conclusione che non vale la pena di vivere.

Le depressioni che dilagano oggi nella popolazioni europee sono strettamente legate a questo modo di vivere digitale, a questo modo di vivere misurando quantitativamente: la quantità, per quanto possa essere grande, non sostituisce maila qualità. A che serve una barca meravigliosa se non si è capaci di vedere il fenomeno del mare? E se si è capaci di vedere il fenomeno del mare, una barca meravigliosa non è tanto più importante di una barchetta da quattro soldi, o di nessuna barca.

Se una persona non sente, che beva acqua sporca o champagne fa poca differenza. Se la persona sente, l’acqua può essere anche più interessante del vino.

La qualità sta nel fenomeno, in quello che appare e  rivelandosi ai nostri occhi  fa senso. La grande differenza è che gli oggetti fanno segno, mentre i fenomeni fanno senso: fare senso è il contrario di provare depressione. La depressione è quando la vita smette di avere senso.

Per avvicinarsi all’arte, o semplicemente alla creazione, bisogna esser capaci di riconoscere i fenomeni, perché se non si è capaci di riconoscerli si vedono solo oggetti accanto ad altri oggetti, e tra una sedia e un quadro di Picasso che differenza c’è? Sono due oggetti, uno sarà più pesante e uno più leggero.  Cio’ che non  è paragonabile e’ l’effetto.

Perché  possiamo stare un giorno intero a guardare una sedia di Otto Wagner, e  avere fastidio agli occhi guardando una sedia della standa? Dal punto di vista oggettivo, ossia del sedersi, la sedia di plastica della Standa è magari più comoda della sedia di Otto Wagner.

Ora, come vedere i fenomeni non si può spiegare agli altri, e noi conosciamo ormai da molto tempo questa unica forma di insegnamento che è la spiegazione. Se torniamo invece alle origini del pensiero occidentale, vediamo che Aristotele aveva già differenziato due tipi di insegnamento: rivolto alla cerchia esterna degli allievi, cioè le opere scritte, e rivoltO alla cerchia interna, cioè le opere tramandate oralmente.

Le opere tramandate oralmente fanno capo ad un tipo di insegnamento particolare, che si chiama iniziazione. Non c’è per esempio nessuna maniera di spiegare ad una persona che non lo conosce il sapore di una mela, ma la si può accompagnare nell’esperienza di mangiare una mela.

Lui morde una mela e dice “Com’è acida!” “Si, il primo morso è acido, ma vai avanti e ascolta…” E la persona ascolta e trova tutta una gamma di sapori. L’iniziazione non è l’insegnamento di una conoscenza che viene travasata da una persona all’altra, ma è un accompagnamento dell’altra persona alla scoperta di qualcosa che solo lui può scoprire, perché l’esperienza appunto non si travasa. La mia esperienza non diventerà mai l’esperienza di qualcun altro, ma posso accompagnare qualcun altro, con la mia esperienza, a fare la sua esperienza.

Questo tipo di conoscenza, la conoscenza esperenziale, che si insegna attraverso l’iniziazione, non ha una buona fama nel mondo scientifico, perché non è possibile fissarla in qualcosa che è uguale per tutti. La conoscenza esperenziale a differenza di quella concettuale, è differente per ognuno.

E qui è il problema della qualità: la qualità è differente per tutti, ciononostante è qualità o non è qualità. Quindi non si può spiegare il fenomeno, non si può mettere  nella testa di un allievo qual è il fenomeno che si chiama, per esempio, La Gioconda! Ogni persona che va a vedere la Gioconda vive esperienze diverse.

Il discorso sulla qualità è infinitamente più difficile del discorso sulla quantità e non passa attraverso spiegazioni, ma passa attraverso processi di iniziazione: le persone vengono iniziate alla qualità di un’opera, o di un’interazione umana, o di qualsiasi altra cosa che abbia valore.

In questa linea andrebbe sviluppato il discorso sulla creatività perché ovviamente non ci si può orientare in questo se non attraverso un senso della qualità, cioè attraverso la capacità dà riconoscere il bello e il buono.

 

 

 

 

 

[1] Per oggetti si intende qui i fenomeni primari, e per fenomeni i fenomeni secondari, secondo l’accezione di Brentano

Please cite this article as: G. Paolo Quattrini (2004) Oggetti e fenomeni. Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia. https://rivista.igf-gestalt.it/gestaltblog/oggetti-e-fenomeni/

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