L’ottica costruttivista come matrice dell’incontro psicoterapeutico
di Anna Rita Ravenna
Didatta-supervisore, Fondatrice – Istituto Gestalt Firenze
“INformazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia”, n°5 settembre – ottobre 2005, pagg. 10-15, Roma
L’interpretazione dell’ottica costruttivista nel modello gestaltico
La relazione organismo/ambiente, l’approccio olistico e la creatività sono i principi su cui Fritz Perls fonda la Psicoterapia della Gestalt. Il lavoro gestaltico, mirato al benessere degli esseri umani in quanto viventi, prende come punto di partenza l’attività sensoriale. E’ l’apparato sensoriale, infatti, il primo ad essere sensibilizzato dall’incessante e insopprimibile rapporto con l’ambiente esterno o interno che sia (sentire freddo, sentire sete, ecc.).
Già a questo livello si esprime l’unicità dell’essere umano, la sua soggettività che si evolve e si lega a livello emozionale con un’ulteriore lettura personalizzata. Su entrambe queste letture trovano fondamento prima, quella “pre-azione” che è il pensiero, poi, l’azione.
L’affermazione dell’unicità di ogni essere umano richiede che il concetto di benessere sia altrettanto unico e Perls, infatti, lo fonda sull’ “autoregolazione organismica” che in quanto tale non può che essere specifica per ciascun individuo.
Quello che chiamiamo vita è il continuum di micro e macro risposte dell’organismo alle diverse situazioni nelle quali si trova ad esistere e delle quali è esso stesso componente attiva. Si tratta di risposte complesse che si attivano attraverso il portato sensoriale e le reazioni emotive ad esso correlate, risposte attualizzanti la tendenza di base di ogni organismo che cerca di raggiungere un proprio equilibrio. In ogni momento quest’equilibrio è messo in dicussione e simultaneamente “emerge una controtendenza con lo scopo di riguadagnarlo” [1]. Quanto più è fluida la dinamica figura-sfondo, quanto più il qui ed ora è vissuto in armonia con la persona e la sua storia, tanto più l’autoregolazione organismica è funzionale al benessere dell’individuo.
Già in questo passaggio possono apparire evidenti i collegamenti con i concetti di organizzazione autopoietica, di struttura e di pertubazione della teoria costruttivista di Maturana e Varela.
Come ogni psicoterapia, nell’occuparsi del benessere degli individui anche la Gestalt utilizza, implicitamente o esplicitamente, teorie che si evidenziano nei comportamenti e dalle deduzioni che si intrecciano nel lavoro. Ma una teoria ha bisogno di un’epistemologia, di una rete di teorie che, partendo da postulati ed embricandosi tra loro, si sostengano a vicenda e vengono verificate da esperimenti che ripetono e confermano l’esperienza.
Le teorie appartengono al mondo del “digitale”, al mondo, cioè, degli eventi discreti, delle quantità, del misurabile, del ripetibile, del verificabile e utilizzano, quindi, un linguaggio concettuale descrittivo e la Psicoterapia della Gestalt ha bisogno di un’epistemologia che ne organizzi la parte concettuale, anche se fondamentalmente è un approccio esperienziale.
Questo rende insufficiente una teoria della conoscenza basata su teorie. Come nel corpo umano, dove i due emisferi cerebrali possono essere considerati due polarità in connessione dinamica così, nel lavoro gestaltico, le due polarità sono l’Epistemologia, teoria della conoscenza attraverso teorie (quantità: pensiero-linguaggio digitale,) e la Fenomenologia, teoria della conoscenza attraverso esperienze (qualità: sentire-linguaggio analogico).
Ma cosa vogliono dire le espressioni “esperienziale”, “si lavora fenomenologicamente”?
In Gestalt il contenuto del lavoro psicoterapeutico è dato dai vissuti del cliente e del terapeuta ed in particolare dai vissuti emozionalmente connotati. La parola vissuto può essere considerata un’abbreviazione dell’espressione “esperienza così come vissuta dalla persona” contrapposta alla obbiettività dei fatti. Il termine è stato introdotto dal Dilthey[2] nella sua psicologia descrittiva in opposizione alla psicologia sperimentale per significare un nuovo approccio agli eventi psichici in cui la conoscenza può essere data solo attraverso un atto vitale di un vivente che in questo atto a sua volta si esprime.
Il vissuto, che per i gestaltisti si fonda su sensazioni e percezioni, si realizza attraverso l’esperire. Avvicinare la vita con la vita è, secondo me, un’espressione adeguata ad evocare questo concetto. Un’onda del mare, in quanto mare essa stessa, non può che sentire, sperimentare la sua specificità nell’appartenenza. Se si volesse interrogare sul mare, pur rimanendo se stessa, non potrebbe che darsi una risposta poetica, evocativa. Per darsi una risposta astratta, basata su concetti, dovrebbe staccarsi dal mare, uscirne fuori, non essere più “sotto lo stesso orizzonte degli eventi”,[3] non essere più accomunata con il mare in un’unica esperienza; dovrebbe, insomma, non essere più se stessa.
Quello che interessa lo psicoterapeuta della Gestalt è la persona che esiste, proprio lei nell’unicità della sua relazione con il mondo, non i sintomi astratti dal contesto personale: la patologia è considerata solo una caratteristica con cui la persona sta al mondo, in modo sofferente e con una qualità di vita per lei insoddisfacente rivelata dal fatto che ha sentito il bisogno di consultare uno psicoterapeuta.
La relazione psicoterapeutica è un modo per mettere mano alla qualità di vita e la qualità della vita della persona è data dal piacere che le suscita quello che lei fa in un continuo, dinamico equilibrio fra contenuto e forma. Esistere è fare, l’esistenzialismo non guarda all’essere della persona (categoria la più elevata, ma anche la più indifferenziata) [4] ma al suo essere nel tempo, al suo fare nel mondo, alle sue potenzialità e alla realtà in atto. La psicoterapia è un modo per aiutare la persona ad aprire opzioni altre che per lei siano di miglior qualità. Dal punto di vista fenomenologico ed esperienziale, aprire opzioni altre significa, innanzitutto, aiutare la persona a vivere, nel qui ed ora della relazione psicoterapeutica, un’esperienza trasformativa, sperimentando un diverso rapporto con se stessa e con l’altro; diverso in quanto fondato sull’essere in contatto e sulla successione formale del ciclo “sentire sensoriale ed emozionale, pensare, volere, attuare, sentire” e, quindi, su una sempre più fluida dinamica figura-sfondo.
La relazione, nella sua circolarità, non è mai scevra da riflessioni di ordine concettuale e diventa una forma di esperienza se compiuta attraverso la pratica della consapevolezza e della presenza[5] ed è, quindi, radicata nel corpo. Anche le riflessioni “ab-tracte”, tuttavia, hanno la loro funzione: sono essenziali, ad esempio, per dar vita al linguaggio, al dialogo base della ricerca di interazioni soddisfacenti. Arriviamo così al nodo fondamentale del problema della conoscenza: poter vedere le nostre attività come riflessi di una struttura senza perdere di vista l’immediatezza della nostra esperienza, poter restare ancorati al nostro corpo sia come struttura esperienziale vissuta sia quale contesto o ambiente dei meccanismi cognitivi.
Se dunque la Fenomenologia, teoria del conoscere attraverso l’esperienza, è fondamento della conoscenza empirica, alla Gestalt occorre anche una teoria della conoscenza basata su teorie.
Fondamento della Psicoterapia della Gestalt, come già detto, è la funzione di autoregolazione organismica e il concetto di organismo si fonda su un discorso biologico su base evoluzionista. Occorre, quindi, anche un’epistemologia che superi l’astrazione normativa e si fondi sull’evoluzionismo.
Il costruttivismo di Maturana e Varela è sicuramente una teoria della conoscenza su base evolutiva congruente con l’impostazione fenomenologica. Gli autori, basandosi sul concetto di organizzazione circolare dei sistemi viventi e sul funzionamento non-rappresentazionale del sistema nervoso, definiscono il loro lavoro “un prospetto globale per un approccio alternativo all’intendimento delle radici biologiche del comprendere…un’interpretazione che non concepisce il conoscere come una rappresentazione del ”mondo là fuori” bensì come permanente produzione di un mondo attraverso il processo stesso del vivere” [6].
La conoscenza è dunque l’azione di colui che conosce; quest’azione trova le sue radici nell’organizzazione di colui che conosce in quanto essere vivente. Se il problema della conoscenza “si trova nel cuore stesso del problema della vita”, occorre affrontare il problema delle modalità di riconoscimento di un essere vivente che non può consistere in un elenco di proprietà o criteri anche se combinati fra loro.
Maturana e Varela chiamano organizzazione l’insieme delle relazioni che devono aver luogo perché un sistema possa esistere, essere percepito, autopercepirsi (nel caso dei viventi) come unità. Se questa definizione vale per ogni sistema, occorre aggiungere, per i sistemi viventi, la funzione che gli autori definiscono autopoietica intendendo dire che “gli unici prodotti della loro organizzazione sono essi stessi per cui non c’è separazione tra produttore e prodotto. L’essere e l’agire di un’unità autopoietica sono inseparabili, e ciò costituisce la sua modalità specifica di organizzazione”. [7]
Come nella visione di Perls, anche Maturana e Varela considerano la conoscenza come un caso particolare della insopprimibile relazione tra organismo e ambiente ma, soprattutto, pongono attenzione a mantenere salda la distinzione tra due differenti domini: il punto di vista esterno ed il punto di vista interno al sistema, quello che si può definire “dentro e fuori l’orizzonte degli eventi”. E’ la radicale reintegrazione dell’osservatore nelle sue descrizioni che trasforma i concetti di ambiente, coscienza, conoscenza.
In quest’ottica, l’ambiente non determina la struttura, l’unità e l’identità del sistema considerato ma è questo, al contrario che, fra gli stimoli che gli provengono dall’ambiente, seleziona quelli ammissibili e quelli non ammissibili, quelli non integrabili e quelli integrabili nei cicli che definiscono la sua organizzazione e, quindi, la sua identità in quanto essere vivente (saggezza organismica in Perls, autonomia e chiusura in Maturana e Varela).
Che rapporto esiste allora tra individuo e ambiente? In cosa consiste il processo conoscitivo? Se da una parte la sopravvivenza di un sistema è garantita dalla sua organizzazione autopoietica che, contemporaneamente, lo realizza e lo caratterizza in quanto entità autonoma che stabilisce le proprie leggi e le proprie specificità (dinamica interna), dall’altra il sistema è inserito in un contesto con cui il suo funzionamento lo mette in relazione dinamica.
Maturana e Varela chiamano struttura di un sistema quel particolare insieme di componenti e di relazioni attuali e concrete attraverso le quali l’organizzazione del sistema si manifesta in un’entità spazio-temporale (il qui ed ora gestaltico). Il permanere dell’organizzazione (chiusura) è garantito proprio dai continui cambiamenti (apertura) della struttura di fronte agli stimoli ambientali. Si tratta, allora, di un incontro tra due sistemi le cui influenze reciproche, definite perturbazioni, possono innescare, ma non determinare, il corso delle trasformazioni dei sistemi stessi.
E’ questa modalità relazionale che gli autori chiamano accoppiamento strutturale significando la compatibilità dinamica, o coevoluzione, fra individuo e ambiente. La direzione dei processi evolutivi è data allora dalla capacità di conservazione dell’invarianza delle organizzazioni implicate.
In quest’ottica, vita e conoscenza sono considerate come due totalità sistemiche in divenire. Vivere è conoscere, è effettuare azioni efficaci nel dominio dell’esistenza. Ma questa conoscenza non farà riferimento a un punto fisso e assoluto (oggettività, idealismo) al quale poter ancorare le sue descrizioni ed asserzioni per affermare e difendere la loro validità. “Ancora una volta dobbiamo camminare sul filo del rasoio….in questa via di mezzo troviamo la regolarità del mondo che sperimentiamo in ogni momento ma senza nessun punto di riferimento indipendente da noi che ci garantisca la stabilità assoluta che vorremmo attribuire alle nostre descrizioni”[8]. Si tratta piuttosto dell’apertura di nuovi accoppiamenti strutturali dovuti all’associazione di una grande varietà di stati interni con le diverse interazioni in cui l’organismo può entrare. Il linguaggio, il contesto sociale e l’autocoscienza nascono da queste interazioni, non come strumenti di ricerca e asserzione di verità assolute, ma come strumenti di coerenza operativa in quelle interazioni ricorrenti che costituiscono la nostra vita quotidiana in continua trasformazione, la nostra storia. La conoscenza, allora, può essere considerata una pratica di consapevolezza e presenza in un mondo senza fondamenti rigidi, un percorso circolare che, partendo dalla qualità dell’esperienza (etica), genera domande sulla conoscenza stessa lungo itinerari che attraversano la pratica dell’esistenza, dall’organizzazione autopoietica ai sistemi sociali.
La conoscenza diviene allora un’esperienza che apre ad ulteriori esperienze senza, tuttavia, acquisire un valore assoluto; secondo un’espressione oramai ben nota, la conoscenza è come “una chiave che apre una serratura” senza nulla apprendere della sua natura.
Come nota Mauro Cerruti nella presentazione del libro “L’albero della conoscenza”, una biologia antiriduzionista “rende plausibile il progetto di una storia naturale della conoscenza” dove la metafora dell’albero è la metafora di una forma (organizzazione) “in un continuo ricambio di elementi e di strutture, nello svolgersi dei cicli chimici, metaboloci ed ecologici, nella nascita e nella morte delle parti, nell’alternarsi dei climi e delle stagioni.”[9]
Agli essere umani occorrono entrambi i linguaggi: descrittivo/quantitativo (fenomeno primario di Brentano, processo secondario in Freud) ed evocativo/qualitativo (fenomeno secondario di Brentano, processo primario in Freud).
Fenomenologia e Costruttivismo sono due teorie della conoscenza diverse che hanno in comune il principio della soggettività e quindi di una conoscenza relativa; in Fenomenologia la conoscenza è relativa al conoscente mentre nel costruttivismo si parla della conoscenza, ma non dell’insieme conoscitore-conoscenza (processo del conoscere)-conosciuto. E’ per questo che la Psicoterapia della Gestalt ha il suo fondamento nella Fenomenologia anche se non può fare a meno di un’Epistemologia e quella costruttivista appare sicuramente la più congruente: come dice Merleau Ponty, non è necessario trovare un modo per integrarle, tutto è integrato in quanto esiste incarnato in uno stesso corpo.
[1] F. Perls, L’io, la fame e l’aggressività, ed. FrancoAngeli, Milano, 1995, pag. 41
[2] Dizionario di psicologia, Le Garzantine, U. Galimberti, ed. Garzanti, Torino, 1999
[3] Rovatti P.A., Abitare la distanza. Per un’etica del linguaggio, ed. Feltrinelli, Milano
4 G. P. Quattrini,Psicoterapia della Gestalt e Costruttivismo, comunicazione personale, 2004
[5] F. Perls et alii, La terapia della Gestalt. Eccittamento e accrescimento nella personalità umana, ed. Astrolabio, Roma,
1971; F. J. Varela et alii,La via di mezzo della conoscenza, ed. Feltrinelli, Milano, 1992
[6] H. Maturana, F. J. Varela, L’albero della conoscenza, ed. Garzanti, Milano, 1987, pag. 31
[7] Ibidem pag. 63
[8] Ibidem pag. 199-200
[9] Ibidem pag. 26
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