COUNSELLING A MEDIAZIONE ARTISTICA E VIDEOTERAPIA A SCUOLA

di Oliviero Rossi, Katia Botticelli, Daniela Cardamoni, Serena Rubechini

Pubblicato sulla rivista “Informazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia” n° 2, settembre – ottobre 2003, pagg. 72-79, ed. IGF. Roma

 

 

 

Il progetto è nato come applicazione delle nostre riflessioni sulle cause della dispersione scolastica.

Alla base dell’abbandono scolastico c’è un disagio dello studente che è sempre il risultato dell’interazione tra le caratteristiche dell’alunno (cognitive, affettive, comportamentali, sociali e culturali) e le caratteristiche relative all’ambiente scolastico all’interno del quale è inserito (didattiche, organizzative, sociorelazionali…).

Fra le principali variabili di tipo individuale, la mancanza di motivazione al successo scolastico, difficoltà a livello di socializzazione, incapacità di esprimere i propri bisogni e carenze emotivo-affettive nel processo di apprendimento. L’eccessiva distanza che si viene a creare tra ciò che viene insegnato e ciò che appartiene alla vita e agli interessi dello studente fa sì che il ragazzo non riesca a trovare né la giusta motivazione né la giusta collocazione all’interno della scuola.

Combinandosi tra loro, tali fattori determinano una grande varietà di situazioni problematiche che espongono l’adolescente al rischio di insuccesso e di disaffezione nei confronti della scuola, contesto all’interno del quale si incrociano esperienze ancora in fieri necessarie per la costruzione della futura identità.

La grande quantità di stimoli a cui costantemente gli adolescenti prestano attenzione, provenienti per la maggior parte dal gruppo dei pari e dagli insegnanti, impone loro una continua riorganizzazione degli schemi cognitivi e affettivi di riferimento, anche in ragione dell’aspetto “minaccioso” che alcune di queste nuove informazioni possono assumere nel loro universo emotivo.

Creare un intervento mirato su queste problematiche significa creare un contesto all’interno del quale sia possibile per i ragazzi elaborare tali vissuti.

E’ importante lavorare sia sullo sviluppo delle risorse dell’individuo sia su quelle dell’intero gruppo classe. All’interno della classe, infatti, lo studente problematico esprime non solo un disagio personale ma anche un disagio dell’intero gruppo.Utilizzare le risorse del gruppo classe significa utilizzare la pluralità dei vissuti e dei punti di vista, e favorire la loro integrazione.

“La promozione del benessere reciproco in classe è la più vantaggiosa strategia contro la dispersione scolastica e la demotivazione. Il benessere fornisce una base solida per sviluppare il bisogno di apprendere” (Spalletta, E; Quaranta,C., 2002, pag.183).

Lo scopo diventa, quindi, sia quello di recuperare l’affezione alla vita scolastica, sia la riorganizzazione dell’interazione all’interno del gruppo classe e tra gruppo classe e insegnanti.

 

Fasi del progetto

Il progetto prevede delle fasi all’interno delle quali si sviluppa il lavoro che porta alla creazione di un cortometraggio:

I Fase

Proponiamo ai ragazzi un circle time nel quale presentiamo noi stessi e il progetto “Il teatro delle emozioni”. Parliamo del lavoro che verrà svolto durante l’anno, del fatto che saranno loro a decidere l’intero percorso (storia, attori, riprese montaggio, musiche…) e che il nostro compito sarà quello di facilitare tale percorso. Discutiamo, inoltre, delle diverse aspettative su quello che si farà.

II Fase

Esempio di creazione di una storia

I ragazzi vengono suddivisi in piccoli gruppi. Ad ogni gruppo si propone di utilizzare la fantasia e di scegliere un eventuale prodotto da pubblicizzare. E’ importante questo momento perché rappresenta per i ragazzi un primo contatto con il mondo del lavoro. Parliamo con loro delle competenze necessarie per la nascita di un’operazione creativa, del ruolo svolto dai pubblicitari, dei vari passaggi necessari per la creazione di un prodotto destinato al pubblico.

III Fase

Creazione della storia

Partendo dal brainstorming, iniziamo a mostrare ai ragazzi le competenze e i passaggi di una operazione creativa tesa alla realizzazione di un audiovisivo.

Proponiamo loro di tirare fuori tutto quello che gli viene in mente, senza limiti né censure. Li invitiamo a pensare a un tema, a un’emozione, ecc. Facciamo in modo che si sentano legittimati a parlare di tutto quello che vogliono. Dopodiché si lavora insieme, raccogliendo il materiale emerso e sottoponendolo agli aggiustamenti necessari per trasformarlo in una storia. Il nostro compito, come psicologi, è principalmente quello di facilitare queste operazioni.

IV Fase

Somministrazione del questionario iniziale

Costruito a misura della situazione, il questionario fornisce utili informazioni riguardo alla motivazione dei ragazzi nei confronti della scuola in generale e del progetto in particolare.

V Fase

Creazione della sceneggiatura

Spesso la sceneggiatura nasce dall’improvvisazione, soprattutto se nei ragazzi osserviamo una scarsa disponibilità ad applicarsi alla scrittura. Per ogni ripresa la segretaria di edizione deve compilare il foglio di scena in ogni sua parte (regia, titolo, sinossi, numero di scena, attori, costumi…) mentre lo storyboarder deve disegnare le diverse inquadrature.

E’ un momento che offre importanti informazioni sui ragazzi. Consideriamo infatti carenze della sceneggiatura, ad esempio salti logici, come indicazioni di carenze nello sviluppo socioaffettivo e relazionale.

VI Fase

Compilazione dell’organigramma

I ragazzi sperimentano le loro capacità organizzative e la motivazione a lavorare in gruppo suddividendosi i diversi ruoli. Servono attori, operatori, registi, segretari di edizione, fonici, ciakkisti, truccatori, scenografi, montatori, addetti alle musiche, storyboarders. Ognuno sceglie i ruoli che trova di maggiore interesse, ma è importante che ciascuno sperimenti il maggior numero di ruoli possibile. Questo perché, tra gli obiettivi del progetto, c’è anche quello di creare un “laboratorio di ruoli”, di mostrare cioè ai ragazzi come tutti i ruoli debbano essere tenuti in considerazione, in quanto essenziali per la realizzazione dell’audiovisivo (il ciakkista, al pari del regista, scopre di avere una funzione che anche gli altri gli riconoscono).

VII Fase

Lavoro sul personaggio

Attraverso role-playing, improvvisazioni e discussioni di gruppo, si scelgono gli attori e si lavora sul profilo e le sfaccettature dei diversi personaggi. Una volta scelti gli attori, si comincia a provare alcune le scene.

Anche in questo caso, aree mancanti nella rotondità del personaggio vengono prese in considerazione come aree mancanti e problematiche nello sviluppo individuale del ragazzo.

VIII Fase

Realizzazione delle riprese

A turno, ogni ragazzo ricopre i ruoli scelti in precedenza durante la stesura dell’organigramma. Lo scopo è quello di non creare una fissità, dal momento che diventa sempre più complesso mantenere alta la soglia di attenzione dei ragazzi e soprattutto mantenere vivo il loro interesse che può essere tanto intenso e coinvolgente quanto fugace e discontinuo. Facendo sperimentare diversi ruoli è inoltre possibile far emergere diverse potenzialità di espressione, dando spazio alla possibilità di mettersi in gioco attivamente. La possibilità di agire le situazioni è stato l’elemento che ha, a nostro avviso, maggiormente emozionato gli studenti. Continuamente alla ricerca di un proprio spazio, di un contenitore dove potersi esprimere, hanno potuto dire questo l’ho fatto io, sono diventati consapevoli di quanto spettava alla propria soggettività all’interno di un gruppo di pari.

IX Fase

Ri-somministrazione del questionario sotto forma di re-test

X Fase

Montaggi

XI Fase

Visione del cortometraggio ultimato e circle-time finale con la classe

 

Laboratorio di creatività

Il laboratorio di creatività rappresenta l’asse portante del progetto e si basa su un presupposto fondamentale: essere l’autore delle proprie azioni di libertà espressiva.

Viene promosso nei ragazzi “l’utilizzo della creatività e della fantasia, generalmente sacrificate allo sviluppo del pensiero logico […] La nostra fantasia, infatti, si atrofizza molto facilmente lungo percorsi di pensiero più o meno stereotipati che, come la fantasia, hanno la capacità di allontanarci dal presente ma, al contrario di essa, non sanno fornirci alcun nuovo elemento creativo o innovativo” (Rossi, O., 2000-2001, pag. 79).

“Dare ai ragazzi la possibilità di esprimersi liberamente, creando qualcosa di completamente loro, significa permettergli di vivere e di esprimere il proprio spazio interiore, le proprie emozioni, e contemporaneamente di far affiorare alcuni nodi conflittuali senza dover necessariamente vivere conseguenze spiacevoli e poco gestibili, perciò inaccettabili. Significa suscitare negli alunni la voglia di capire e di creare, dare valore alla dimensione concreta sia della loro capacità riflessiva che della loro immaginazione. Offrirgli cioè, un’esperienza di gioco all’interno della quale poter concretamente elaborare i contraddittori vissuti emotivi ed affettivi tipici di questa età” (Coppelli, C., 2001).

“Noia, disaffezione, abbandono scolastico possono scolorire di fronte alla possibilità di introdurre nella routine scolastica un concreto addestramento alla creatività” (Rossi, O., 2000-2001, pag.81).

A tale scopo, l’intervento si svolge all’interno delle ore di lezione vere e proprie, nel suo palcoscenico naturale, ore che si trasformano presto in un laboratorio di creatività e di empatia.

Il progetto prevede anche la collaborazione di alcuni docenti allo svolgimento del laboratorio di creatività, in modo tale da favorire un positivo atteggiamento dei ragazzi nei loro confronti.

E’ indispensabile che qualunque intervento finalizzato alla ristrutturazione della vita scolastica e che voglia promuovere l’affezione alla scuola sia inserito nelle ore curriculari. Un reale cambiamento dell’atteggiamento dello studente nei confronti della scuola, infatti, può avvenire solamente se i progetti vengono vissuti come parte integrante del processo di apprendimento e non come episodi isolati, sostanzialmente estranei alla vita scolastica e alla propria. Se così non fosse, si andrebbe ad allargare ulteriormente la forbice tra didattica standard (percepita, soprattutto dai ragazzi a rischio di abbandono scolastico, come poco coinvolgente) e una didattica di sperimentazione, più dinamica e interattiva.

Il punto di partenza è la creazione, da parte dei ragazzi, di una storia.

Tale storia, nei primi mesi, viene sviluppata e trasformata nella sceneggiatura di un cortometraggio che saranno loro stessi, nell’intero arco dell’anno scolastico, a creare, filmare, montare. E’ importante che la storia ospiti i contributi di tutti i ragazzi in modo che ognuno possa riconoscerla come propria. A tal fine si utilizzano alcune tecniche di intervento che mirano a dare competenze sull’uso del brainstorming e di modalità creative di lavoro. La creatività è il passo successivo al contatto con la fantasia, da cui si distingue per il suo essere tesa a concretizzarsi in un’opera/prodotto.

In questo senso parliamo di “pedagogia professionalizzante”: elementi appartenenti al mondo professionale vengono fatti diventare elementi giocosi e, allo stesso tempo, necessari alla creazione di un prodotto. Ciò che è professionale viene cambiato di segno e diventa pedagogico. “Giochiamo a fare i professionisti!”.

Si mostra ai ragazzi come ciò che quotidianamente imparano sui banchi di scuola può diventare strumento e competenza per la realizzazione della loro storia. L’obiettivo principale è quello di promuovere un’educazione alla narrazione creativa, di stimolare cioè i ragazzi a raccontare se stessi utilizzando un linguaggio artistico espressivo e a tradurre le proprie emozioni nel linguaggio prescelto. “Il linguaggio artistico-creativo risulta particolarmente adatto alla comunicazione delle emozioni dell’adolescente impegnato nel processo di costruzione della propria identità” (Rossi, 2000). I prodotti che ne derivano, la storia e successivamente il cortometraggio, vengono utilizzati dagli psicologi come “interfaccia” che consente di lavorare indirettamente sulle dinamiche personali e interpersonali rimanendo nei limiti di una distanza mediata dal lavoro “artistico” dei ragazzi. Agiamo sul prodotto ma in realtà stiamo lavorando sui loro disagi. Per fare questo viene chiesto ai ragazzi di trasformare le loro fantasie in qualcosa di concreto. Questa operazione di trasformazione rende l’audiovisivo una metafora di ciò che essi realmente vivono tutti i giorni.

Compito degli psicologi è facilitare la comunicazione emotiva nel gruppo classe ed evitare la formazione di coalizioni emarginanti. Questo processo di facilitazione si muove attraverso diverse strategie, quali l’ascolto partecipante, l’assenza di giudizio, l’accoglienza attiva di tutto ciò che avviene nella classe che viene sempre restituito ai ragazzi sotto una valenza positiva. Ad esempio, quando è capitato, durante un lavoro sulla costruzione della storia, di notare un ragazzo taciturno, forse distratto o timido, il suo silenzio è stato proposto come possibile elemento utile per la crescita della storia. Il silenzio, da mera connotazione non partecipativa e comunque negativa, è diventato lo spunto per riflettere sull’importanza di un personaggio taciturno all’interno di una situazione narrativa troppo rumorosa. Il proposito pedagogico è quello di trasmettere ai ragazzi stessi tale processo di facilitazione, affinché ciascuno possa diventare il facilitatore dell’altro.

Questa nostra azione facilitante rappresenta il vero e proprio start (il ciack) dell’azione scenica. Si potrebbe parlare di un “interfaccia creativo dell’azione” ossia di un’interfaccia che diventa movimento relazionale in grado di accogliere e veicolare il lavoro creativo dei ragazzi.

E’ il nostro interfacciarci attraverso un mediatore artistico che promuove la relazione con i ragazzi.

Attraverso la narrazione della storia l’adolescente, impegnato nel processo di costruzione della propria identità, non solo comunica le proprie emozioni, ma “favorisce la riconciliazione di parti frammentate del sé; il nominarle e il definirle produce l’acquisizione di consapevolezza, punto iniziale per una evoluzione che coinvolge l’intero sistema sé attraverso un ri-orientamento… Attraverso l’organizzazione narrativa dell’esperienza ricaviamo l’unità di una storia e il senso coeso della nostra identità a partire da un pulviscolo di eventi ed episodi” (Cavallo, M., 2001).

E’ importante che i ragazzi possano sbagliare senza essere giudicati o criticati per questo: chi ha accettato di diventare soggettista o sceneggiatore in genere non sa da che parte iniziare. Si tratta allora di accogliere con interesse e attenzione tutto ciò che viene proposto dai ragazzi, “cambiandone il segno”, riorganizzandolo all’interno di una originale produzione creativa che ha bisogno, per essere realizzata, del contributo dei compagni di classe. Ciò che all’inizio è sbeffeggiato, osteggiato o liquidato, viene accolto invece di essere lasciato cadere (Cfr. Rossi, O., 2000- 2001).

Nel momento della produzione creativa ciò che interessa non è tanto il risultato estetico del prodotto quanto il processo, che offre la possibilità di rivedere i propri comportamenti inconsapevoli e stereotipati e di aprire, quindi, nuove relazioni con se stessi e con gli altri.

Educare alla riattivazione dell’espressione di sé all’interno del processo creativo significa educare anche a una creatività relazionale. Attraverso l’esperienza artistica il processo di socializzazione viene attivato o potenziato dalla condivisione e dal coinvolgimento del gruppo, facendo spazio ai bisogni di appartenenza e affiliazione.

La presenza di uno scopo che l’intero gruppo condivide – la creazione del cortometraggio – diventa motore di cambiamento dei rapporti sociali all’interno della classe. Il processo si muove da una fase in cui la composizione del gruppo non permette alcun tipo di attività costruttiva condivisa, ad una fase in cui ognuno trova una collocazione all’interno di una squadra che lavora in vista di obiettivi comuni.

E’ quasi impossibile che un soggetto resti del tutto fuori dalle dinamiche di gruppo se succede qualcosa di costruttivo intorno a lui. Ecco allora che, se il racconto individuale viene inteso come mezzo attraverso il quale dare forma alle proprie emozioni, la storia raccontata dai ragazzi diventa contenitore dell’essere in gruppo e delle dinamiche che intercorrono all’interno di esso.

“Aiutando i ragazzi a scrivere una sceneggiatura, li aiutiamo a capire il loro modo di relazionarsi” (Rossi, O.,2000-2001). Proprio su questo livello acquistano particolare valenza le parti mancanti nel racconto di una storia. Spesso la trama dei soggetti presentati dai ragazzi presenta vuoti carichi di significato. Le cosiddette aree mancanti cui abbiamo accennato sopra altro non sono che spazi ancora compressi o non svelati delle loro incerte individualità emergenti. Anche qui interviene il ruolo facilitatore degli psicologi per dare visibilità e valenza a questi vuoti, per restituirli ai ragazzi densi di senso.

Non appena viene abbozzata una storia, ogni ragazzo viene coinvolto in un piccolo stage di improvvisazione teatrale che ha il fine di creare la sceneggiatura e di dare spessore ai personaggi.

Questa fase, in cui si tratta di “indossare” i diversi personaggi, coinvolge l’intera classe in un gioco di drammatizzazioni e role-playing. Tramite questi giochi di ruolo si dà ai ragazzi la possibilità di sperimentarsi in panni diversi da quelli che si sono strutturati nella classe sia tra loro sia con i professori, permettendo l’avvicinamento e la conoscenza reciproca. La classe diventa, in questa fase, un vero e proprio “laboratorio di empatia”, innanzitutto nei confronti dei propri compagni, poi anche nei confronti degli insegnanti (una volta che si riesca a coinvolgerli) e persino degli psicologi (figure, agli occhi dei ragazzi, assolutamente spaventose).

Spesso i ragazzi proiettano sugli altri aspetti di sé negati; attribuiscono ai compagni, o agli insegnanti, ruoli o parti di sé che non accettano. “Attraverso il role-playing, attraverso cioè il loro coinvolgimento in azioni e situazioni che richiedono loro di comportarsi “come se”, si può agevolare l’integrazione di aspetti di sé negati o proiettati” (Giusti E., Ornelli C.,1999

“In questo modo il personaggio del diverso (spesso il compagno emarginato) entra a far parte della narrazione, diventa parte unica di una identità collettiva e viene non solo integrato ma riconosciuto come elemento indispensabile alla narrazione stessa” (Rossi, 2000).

Drammatizzazione e role-playing rappresentano, all’interno di un percorso arteterapeutico, strumenti di una strategia integrativa in grado di promuovere consapevolezza, empatia e capacità di cooperare, attraverso cui i ragazzi, ma anche gli insegnanti, possono sperimentare e ridefinire i loro rispettivi ruoli.

Anche la fase delle riprese rappresenta un momento molto importante del processo creativo. A questo punto del lavoro, infatti, i ragazzi, hanno la possibilità di attingere alle loro capacità artistiche. Nel momento della scelta delle scene migliori, gli adolescenti interagiscono con le loro immagini proiettate dal video, hanno la possibilità di rivedersi, di essere spettatori di se stessi, di criticarsi o di elogiarsi. Soprattutto di sentirsi “padroni” del messaggio che stanno inviando.

Di fronte all’obbiettivo, il modo di percepirsi dei ragazzi si amplifica: si trovano a doversi “presentare”, a provare il rischio/piacere di raccontarsi. Nello stesso tempo il video diventa mezzo per sperimentare se stessi in maniera diversa rispetto al quotidiano, per concedersi di essere altro, e comunque pienamente e visibilmente soggetti del copione condiviso.

Attraverso il montaggio i ragazzi danno forma al proprio messaggio, sottolineando gli elementi salienti del cortometraggio. Spesso è proprio a questo livello del lavoro che i ragazzi si trovano a dover fare i conti con la distanza estetica che viene a crearsi tra il personaggio e la persona. Ora hanno la possibilità di guardarsi dall’alto e di vedere da una diversa angolazione le proprie passioni; possono comprenderle o anche rielaborarle in maniera diversa.

Quanto alle reazioni dei ragazzi di fronte al prodotto finale, di frequente ci è capitato di notare il fastidio di alcuni di loro per la propria interpretazione estremizzata o esagerata, o anche, al contrario, per l’eccessiva timidezza o una visibile goffaggine. L’esperienza estetica genera una distanza che consente di comprendere e ri-vedere il proprio modo di presentarsi agli altri.

In questa strategia di intervento si lavora a più livelli contemporaneamente. Da una parte lavoriamo cognitivamente, sia fornendo gli strumenti per affrontare e superare le difficoltà che costellano il processo di realizzazione di un prodotto artistico (“pedagogia professionalizzante”), sia utilizzando tecniche che facilitano l’espressione creativa. Dall’altra interveniamo sul contenitore stesso dell’azione creativa, l’edificio scolastico, che abbiamo cura di far entrare nei racconti dei ragazzi allo scopo di cambiare la valenza del modo in cui viene vissuto. Il lavoro creativo modifica il rapporto tra lo studente e l’ambiente fisico della scuola in quanto non si svolge esclusivamente in classe, ma offre l’opportunità di sfruttare, in modo radicalmente nuovo, tutti gli spazi. La scuola diventa qualcosa di più di un semplice luogo di studio: se la scuola diventa il set del proprio film, diventa il luogo e lo strumento della propria creatività.

Lo stratagemma è semplice. L’edificio scolastico, degradato e trascurato come quello di qualsiasi scuola professionale più o meno di frontiera, viene indicato come la scenografia da utilizzare per rappresentare la storia dei ragazzi. Questo trasforma luoghi trascurati, che spesso ospitano o favoriscono comportamenti bullistici o emarginanti, in elementi scenici necessari alla realizzazione del proprio prodotto creativo. La scuola diventa il teatro all’interno del quale i ragazzi sempre più consapevolmente imparano a mettere in gioco azioni ed emozioni.

Per quanto riguarda la parte più “diagnostica”, vengono somministrati, sia a inizio che a fine anno, dei questionari in grado di fornire utili informazioni riguardo alle motivazioni dei ragazzi nei confronti della scuola in generale e del progetto in particolare, e di dare una visione complessiva di molti dei fenomeni che agiscono nel gruppo classe.

 

Bibliografia

– Cavallo, M., (2001), Identità narrativa, Artiterapie, vol. 5/6, pag. 5-6..

– Coppelli, C. (2001), Arteterapia e scuola: un rapporto da sviluppare. Artiterapie, vol.5/6, pag.26.

– Giusti, E. (1999), Videoterapia. Sovera Editore.

– Giusti, E., Ornelli, C. (1999), Role play. Sovera Editore.

– Rossi, O. (2000-2001), Il teatro delle emozioni: un intervento di counseling scolastico. Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria, vol.41-42, pag. 78-81, ed. GRIN- Roma.

– Rossi, O. (2000), Narrazione creativa e disagio scolastico. Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria, vol.40, pag.58-67, ed. GRIN- Roma.

– Rossi, O. (1997) Il teatro del sogno come flusso della condotta. Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria, Vol.31, pag. 6 – 13 ed. GRIN- Roma.

– Spalletta, E., Quaranta, C., (2002), Counseling scolastico integrato. Sovera Editore.

Please cite this article as: Redazione (2003) COUNSELLING A MEDIAZIONE ARTISTICA E VIDEOTERAPIA A SCUOLA. Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia. https://rivista.igf-gestalt.it/rivista/counselling-a-mediazione-artistica-e-videoterapia-a-scuola/

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