TESTIMONIANZE: IL CAMMINO DI SANTIAGO
Abstract
di Pierangela Vallese
Psicologa – Psicoterapeuta
Pubblicato sul numero 25 di Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia.
Abstract: Una testimonianza di un viaggio particolare: il cammino di Santiago, in un’ottica non strettamente religiosa. L’autrice parla dei ‘doni’ interiori che ha ricevuto durante quest’esperienza.
Abstract: A testimony of a particular journey: the journey of Santiago, in a not strictly religious perspective. The author speaks of the inner ‘gifts’ she received during this experience.
Keywords: Santiago, cammino, viaggio, esperienza, testimonianza.
Sono tornata da pochi giorni dal cammino di Santiago e voglio condividere i doni di questa esperienza con voi, per quanto senta in questo momento limitante usare le parole nel raccontarvi questa esperienza.
Ogni giorno, nel camminare e nell’incontrare pellegrini come me, ho pensato più volte a ognuno di voi e a me in cammino.
Lungo questo cammino ho incontrato tanti maestri e maestre, pellegrini come me, che sono stati “doni” del cammino, quando è caduta la mia maschera, quando mi sono aperta all’accettare l’aiuto che mi veniva offerto e l’accettare la mia vulnerabilità, le mie paure e i miei limiti di essere umano. La mia maschera è caduta quando non ho preteso più di “capire” e ho sentito ciò che stava accadendo in quel momento fuori e dentro di me, quando mi sono aperta con fiducia alla condivisione e all’incontro con l’estraneo.
La mia maschera è caduta, grazie al dolore fisico. Dal ginocchio si è esteso per tutta la gamba e non mi ha dato tregua per giorni, fino a farmi piangere continuando a camminare e farmi rallentare il passo…tanto lento da potermi godere tutta la meraviglia e la generosità della natura e degli esseri umani che incontravo in quei momenti.
Il dolore mi ha spezzato la maschera della razionalità, mi fatto cantare parole inventate lì, senza significato e tanto senso per me in quel momento.
Nei Pirenei tra salite e discese interminabili,come il dolore fisico, la mia anima gioiva e cantavo e non mi importava del giudizio degli altri, tanta era la libertà che sentivo dentro di me. E nel dolore, il corpo,la mente e mie emozioni che chiamo spirito,mi facevano sentire viva e presente. E ogni giorno, ad ogni passo dolente scopro la presenza a me stessa che mi permette di scegliere con consapevolezza di fermarmi lungo il cammino a riposare o continuare ancora un po’.
La presenza a me stessa mi lascia libera di camminare con il mio passo lento e godere la meraviglia della solitudine nei mari smeraldo, oro e rubino delle mesetas. Nel silenzio, sento uno spazio interiore ampio e vuoto in cui voglio riposarmi, sento la mia casa. Quel silenzio vuoto e pieno di meraviglia.
Attraverso il dolore fisico, mi sembra di connettermi alla natura, al primo incontro della giornata, il “bruco-pelo!”, quel bruco tutto peloso,mai visto, che sta camminando anche lui lo stesso mio sentiero,ed è un’esperienza meravigliosa. Nella presenza a me stessa, sto con gli altri, quel “buenos dias, come stai ?” che non sono convenevoli e che ci si scambia per abitudine, ma hanno un senso nella giornata di cammino. A volte, la voce dell’altro pellegrino è la” sveglia” ad essere presente a me stessa nel cammino e non perdermi in nuvole di pensieri e astrazioni. E sto un po’ con il pellegrino che incontro quanto basta, poi saluto quando sento di voler proseguire da sola.
Inizio a ricevere doni inaspettati durante il cammino, carezze, baci, coccole in teneri momenti che terminano nel lungo tramonto dell’ovest e che godo pienamente e consapevolmente. Attraverso le mie paure e scopro di averle chiuse da bambina in un baule della mia memoria. Mi accorgo che sono giochi di ombre queste paure con cui la mia mente costruisce racconti e che con la luce si dissolvono…e mi accorgo di incontrare lungo il cammino tanti” bambini” come me, che sui letti a castello hanno il sonno leggero, leggero come il tremolio che sentono nel petto che li accompagna per gran parte del sonno veglia a cui si sono abituati negli anni, nonostante storielle, preghierine e vari stratagemmi che si raccontano infinite volte nel buio fino a cadere stanchi addormentati.
E nella notte degli ostelli mi accorgo dei numerosi diari sui letti a castello. E si inizia scrivendo a sé stessi, e poi condividendo con gli altri poesie, racconti, canzoni,disegni di giorno incubati nelle menti dei pellegrini e finalmente liberati nel lento imbrunire.
Condividere. “Compartir”.
Quando la maschera si spezza, , inizio a condividere con i pellegrini che incontro le esperienze quotidiane, le essenziali.
Niente di “extra-ordinario”, in quanto non c’è alcun bisogno.
Andrea lava i piatti e io li asciugo, ci sentiamo vicini, ridiamo e ci scambiamo poche parole ma vere e nel salutarci, ci auguriamo un buon cammino.
Mi accorgo che il dolore spezza una delle mie tante maschere.Vedo bene e riconosco i miei demoni,che sono ancora altre maschere e ne sento attaccarsi un’altra, molto dura. Voglio “capire” cosa succede in questo cammino, il perché tutti sono aperti alla condivisione delle proprie esperienze personali e intime, in modo così naturale, con tanta fiducia nell’altro e mi chiedo come mai, nella nostra quotidianità siamo così diffidenti, chiusi , combattenti, orgogliosi?? o forse è solo una mia proiezione?! Risposte logiche le trovo, ma alla fine, mi accorgo che non sono così interessanti e mi allontanano dall’ascolto di ciò che sento e delle persone che incontro.
E torno ai sensi, e guardo ciò che accade intorno a me e sono di nuovo libera .
Mi accorgo che ognuno ha il proprio zaino, i propri dolori più o meno evidenti nel volto e nel passo e, nonostante la fatica e le difficoltà personali, ognuno continua a camminare con il proprio peso sulle spalle e ciò che accade di semplice ed essenziale è che è possibile camminare per un po’ insieme all’altro pellegrino, è possibile prestare il proprio bastone, è possibile scambiare esperienze di vita che sembrano alleggerire le fatiche quotidiane, accorciare le distanze chilometriche e trovare un motivo per scherzare senza sminuire i propri e altrui vissuti.
Non è fisicamente possibile per nessun pellegrino, portare lo zaino dell’altro pellegrino, oltre al proprio sulle spalle.
E’ quest’insegnamento è prezioso per me che,nel momento in cui i miei dolori fisici passano e mi sento “rinata e libera”, mia sorella che cammina con me, ha una forte sciatalgia. Io le resto vicino, lasciandole il suo zaino. E sto male psicologicamente, in conflitto, non posso cambiare la sua condizione e sento il desiderio di tornare sulla strada a camminare, non voglio fermarmi! Ferma in città mi sento di nuovo nei sensi ”addormentata”. Comprendo il suo dolore fisico e i suoi momenti di disperazione e, questa volta non per dovere di sorella maggiore e perché sento amore, che decido di fermarmi e godermi ciò che mi offre la caleidoscopica città di Pamplona. Io non posso fare alcuna previsione, forse il mio cammino è terminato e la decisione migliore è tornare in Italia, perché gli antidolorifici e la pioggia e il freddo non stanno aiutando mia sorella. E’necessario caldo e riposo. Decisione condivisa di ripartire, sono serena perché sento già di aver ricevuto tanto da questo cammino. Poi nell’ostello incontriamo Claudio. Fa il medico e offre a mia sorella la sua arte, l’agopuntura.
È un’ esperienza di fiducia, mia sorella non conosce Claudio e non ha mai fatto l’agopuntura e ha paura degli aghi. Io non dico nulla, lei è libera di scegliere. Claudio le dice chiaramente che è possibile anche dire di no a ciò che non si conosce, l’agopuntura è un’esperienza” invasiva”con effetti su mente e corpo. Lei dice si all’aiuto di Claudio. Mia sorella inizia a stare meglio con l’agopuntura, cammina di nuovo. Claudio, lungo il suo cammino offre il suo aiuto a diversi pellegrini, oltre mia sorella. Io sento riconoscenza per Claudio e sento di offrire quello che ho, in quel momento, delle olive e un abbraccio. Mi capita di incontrare di nuovo Claudio e scambiamo consapevolezze e visioni personali che ci avvicinano come calamite, e nel desiderio di conoscerci ancora più in profondità, entrambi percepiamo chiaramente la forma e i limiti da non oltrepassare nel nostro stare insieme, nel qui e ora. Tanti incontri durante il cammino e tanti “scambi”. Scambi, scambi, scambi,connessioni su vari livelli di consapevolezza. Continuando il cammino, vivendo di scambi, mi tornano in mente le parole di Paolo Quattrini riguardo l’importanza degli scambi per gli esseri umani e l’economia dello scambio tra se stessi e gli altri, che ora sperimento e che sono nutrimento quotidiano nel cammino, per me,non sono più solo parole.
E più vado avanti in questo cammino, cambiano i compagni e le compagne, i paesaggi fuori di me e cambio io.
Più mi dò la possibilità di incontro con le persone, più riconosco le mie maschere e nel riconoscerle mi sento libera di scegliere una nuova alternativa, accettando la mia nudità e vulnerabilità di sperimentare una nuova forma di essere sconosciuta e in sintonia con il momento che vivo. Incontro persone come Maurizio e Nia. Maurizio,esistenza da eremita,solitario e felice,tante porte chiuse e tante porte aperte. Nia restauratrice affermata della capitale spagnola. Camminando, si sono incontrati sei anni fa e lungo questo cammino, costruiscono l’Hospital de l’Alma, che è semplicemente una vecchia casetta ristrutturata, con la porta sempre aperta all’estraneo,lo sconosciuto. Entrambi si fidano del bello, del buono e del sacro che è nelle radici dell’umanità. Dentro questa casa,non fanno i terapeuti, ma è come se lo fossero un po’ diventati con la loro esperienza. Hanno questa casa in cui coltivano il giardino, restaurano mobili,a volte scolpiscono legno e pietra,leggono libri, meditano e vivendo coerenti con ciò che sentono e credono,al contempo nutrono il loro corpo,la mente e lo spirito e dei pellegrini che arrivano stanchi in un paesino della meseta. Questo nutrimento nel pellegrino avviene stando lì,seduti in una stanza di quella piccola , graziosa e al contempo umile casa, riposando e tessendo insieme a Maurizio e Nia la conversazione, mai banale e ripetitiva, con fili di esperienze di vita propria e che si incontrano con i fili di esperienze di chi sente di essere libero di entrare ed uscire da quella casa.
Lungo il cammino ho ascoltato i racconti di diversi pellegrini che, come me, per curiosità. si sono affacciati a quella porta e quando sono usciti si sono sentiti diversi,a contatto con le emozioni e sensazioni degli abitanti di quella casa.
E vi racconto anche di Rosita che ha un negozio di pietre e di musica, che fa la psicoterapeuta gestalt e che conosco “casualmente” perché entro nel suo negozio attratta dalle sue “mercanzie” e dalla scritta “toque,toccare” su tutti i ripiani del negozio. Nel retro del negozio entro in un bellissimo salone e poi un giardino che Rosita ha realizzato con l’aiuto di familiari e amici. Con altri colleghi, lavora principalmente con le costellazioni familiari e l’arteterapia per adulti e per bambini. E ascolto la sua esperienza che non è stata semplice, e che nasce dal cercare e dare un senso al proprio lavoro in un piccolo paese lungo il cammino che vive principalmente di turismo. E lei vuole offrire uno spazio di benessere alle persone, in cui le belle “mercanzie”che attraggono i turisti e i pellegrini e salute e arte si incontrano con naturalezza,senza conflitti. E il “negozio” di Rosita è una realtà ordinaria di quel paese, non extra-ordinaria!Questo incontro mi fa pensare a come mi muovo nel mio lavoro, mi crea uno stato di crisi..accorgendomi di come sono una specialista a “complicarmi”la vita quotidiana, a volte disorganizzata nell’utilizzo degli spazi e risorse che ho già, e che nel voler far da sola e tanto, vivo ciò che ho, come una vecchia zavorra. Attraverso la crisi,ancora con dolore, accettando ciò che ho,riconoscendone il valore di questa vecchia zavorra che arriva a me dal sacrificio di tanti prima di me e piango, chiedendo scusa alle mie radici e a me stessa, perdonando e perdonandomi e poi ringraziando dentro di me. Sono finalmente in pace, ora tocca a me l’ impegno e costanza quotidiana per riprendere a lavorare su un vecchio spazio che ho abbandonato con l’accordo con me stessa che ho bisogno di mani pratiche e chiederò aiuto ad amici e familiari.
Sento crescere la convinzione dentro di me che questi semplici ed essenziali, ordinari e al contempo anticonvenzionali, “spazi dell’anima “ che incontro casualmente nel mio cammino, siano un modo possibile per sostenere le persone ad attraversare crisi esistenziali e attraversare la crisi mondiale che sta soffocando ed inquinando di merda gli spazi esistenziali.
Sento tanta gioia e gratitudine in quest’incontri e scambi di esperienze e sono felice che la mia curiosità mi porti ad entrare in luoghi in cui sento odori e sapori familiari.
Arrivo nella città di Leon, in questa città termina il mio cammino a piedi .I km percorsi sono tanti ma non importanti, sento importante come ho camminato e gli incontri che ho vissuto durante queste settimane. A Santiago vado per riprendere l’aereo e entro nella cattedrale. Il prete dice che nel cammino si impara a vivere il vangelo nella sua essenza, nell’amore fraterno e nell’umiltà ed il cammino più difficile per il pellegrino è quello che farà al suo ritorno a casa, nella sua quotidianità, nel mettere in pratica ogni giorno la gioia del condividere con gli altri le proprie esperienze. Le parole del prete mi fanno commuovere perchè ripercorro la mia esperienza fatta essenzialmente di inaspettato dolore e di inaspettato amore in tante forme.
Non ho fatto questo cammino per rinnovare e ritrovare la mia fede cristiana, come convenzionalmente è ciò che in molti pensano di questo pellegrinaggio. Sono partita semplicemente con entusiasmo e curiosità di chi vuole viaggiare e con lo spirito di esplorare di persona ciò di cui avevo sentito parlare e che suscitava da alcuni anni il mio interesse. In tutta onestà, non mi aspettavo di sentire il dolore fisico che ho provato, che mi ha svegliato tanto da essere presente ai cambiamenti dentro me stessa e di nuovo aperta a sentire fiducia nell’altro. E questa esperienza come altre esperienze vissute in queste settimane, le voglio riportare nel mio lavoro quotidiano, nel non aver paura di accompagnare nel dolore l’altro e quando a volte è necessario far sperimentare il dolore all’altro per poterlo “svegliare” dal mondo di illusioni in cui vive, facendolo con benevolenza e senza sentirsi in colpa. E alla memoria mi ritornano le esperienze vissute con voi e con i maestri incontrati in questo cammino di quattro anni, quelle “carezze” e quelle benevoli, benefiche, necessarie ”bastonate” .
Ho ricevuto tanti “ doni” in questo cammino, e ho imparato che quando si ricevono doni, il bello è proprio nel condividerli con le persone aperte allo scambio. E per questa ragione che vi scrivo del mio cammino.
Con la rinnovata consapevolezza che ogni essere umano che incontro è un dono nel mio cammino di vita, oggi vi sento doni del mio cammino e vi ringrazio.
E…come capita in tutti i cammini….mi auguro di incontrarvi ancora.
Buon cammino!
Pierangela
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