Il progetto Daphne: proposte di intervento nella prevenzione e nel contrasto del cyberbullismo e delle dinamiche di esclusione sociale a scuola. L’esperienza Italiana .
di Debora Del Bianco Psicologa – Psicoterapeuta
Pubblicato sul numero 24 di Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia.
Abstract: l’articolo illustra la proposta di intervento “anti-cyberbullismo” all’interno di un progetto europeo Daphne III, attuata in alcune scuole secondarie di secondo grado della Regione Emilia Romagna. Il percorso formativo si appoggia a presupposti imprescindibili, considerando le dinamiche di esclusione sociale come processi relazionali di gruppo. Ogni gruppo costituisce un sistema sociale a sè, con regole comportamentali e sociali spesso implicite che influenzano e formano le dinamiche relazionali e ciò che genera al suo interno. All’interno di questo articolo troveremo il ruolo dell’adulto e i vari obiettivi di intervento “anti-cyberbullismo”.
Abstract: the article illustrates the proposed “anti-cyberbullying” intervention within a European project Daphne III, implemented in some secondary schools of the second degree of the Emilia Romagna Region. The training course is based on essential assumptions, considering the dynamics of social exclusion as group relational processes. Each group constitutes a social system in itself, with often implicit behavioral and social rules that influence and shape the relational dynamics and what it generates within it. In this article we will find the role of the adult and the various “anti-cyberbullying” intervention goals.
Key words: progetto Daphne III, cyber-bullismo, adolescenti, adulti, scuole, sensibilizzazione, tecncologia, gruppo, dinamiche relazionali.
1.Introduzione
Il capitolo illustra la proposta di intervento “anti-cyberbullismo” che é stata ideata all’interno del progetto europeo Daphne III e attuata in alcune scuole secondarie di secondo grado della Regione Emilia Romagna. Uno dei presupposti imprescindibili su cui si appoggia lo specifico del percorso formativo descritto in queste pagine, considera le dinamiche di esclusione sociale (di cui le forme di bullismo e cyberbullismo ne sono un esempio), come processi relazionali di gruppo. Altro importante presupposto é rappresentato dal fatto che ogni gruppo costituisce un sistema sociale a sé, con regole comportamentali e sociali spesso implicite, che governano e influenzano in forma diversa le dinamiche relazionali e di potere che si generano al suo interno (Berdondini, 2001). I gruppi in sostanza hanno una tendenza spontanea ad organizzarsi istintivamente (Bion,1961), sono cioé animati da una serie di forze dinamiche istintive e, per propria natura implicite,che guidano il comportamento dei singoli, nella direzione di omologarli alla mentalità del gruppo (Quattrini, 2011) e di privarli della propria individualità, della capacità critica, empatica e del senso di responsabilità personale: si potrebbe parlare di “stato di massa”, in cui non vi é qualità relazionale tra i suoi membri.
Dire che un gruppo é un sistema, equivale a dire che é un insieme, il quale, da un punto di vista olistico é necessariamente più complesso ed articolato della semplice somma dei singoli individui.
Ogni insieme contiene, oltre ai suoi elementi,l’effetto composizione, responsabile della disposizione di quegli specifici elementi in quella specifica configurazione (Quattrini, 2011).
Questa considerazione comporta la riflessione secondo cui all’interno di gruppi diversi, nei quali sia rilevabile il fenomeno del bullismo (o del cyberbullismo), quest’ultimo sia caratterizzato da forme specifiche, riconducibili alla struttura di quel particolare gruppo e diverse da qualsiasi altro contesto. Il modello di intervento, ideato per il progetto Daphne III, tiene dunque conto degli aspetti di continuità con il bullismo tradizionale, ma anche delle specificità che caratterizzano il bullismo elettronico (descritte nelprossimo paragrafo) e si appoggia su una prospettiva sistemica, interessata al miglioramento della qualità delle relazioni (siano esse “offline” o “online”), allo scopo di contrastare le dinamiche di esclusione sociale e di fare spa zio alle differenze individuali, alla sensibilità empatica,
all’esercizio della responsabilità personale, il tutto al servizio dello sviluppo di modalità relazionali inclusive.
2. Vecchie e nuove forme di bullismo: elementi di continuità e di novità
Il cyberbullying può essere definito in molteplici modi: l’utilizzo deliberato delle nuove tecnologie elettroniche (soprattutto di internet e del cellulare), per danneggiare (insultare, umiliare, minacciare, ecc.) qualcuno;un atto aggressivo, intenzionale, condotto da un individuo o un gruppo di individui attraverso varie forme di contatto elettronico, ripetuto nel tempo contro una vittima che non può difendersi (Smith et al., 2008); una modalità di intimidazione pervasiva che può accadere ad un giovane che usa mezzi di comunicazione elettronici (Juvonen e Gross, 2008), ecc. In ogni caso, qualunque sia la definizione che scegliamo di adottare, sembra abbastanza evidente che si stia parlando di un sistema sociale all’interno del quale diverse persone assumono ruoli differenti (Berdondini, 2001), generando dinamiche relazionali di esclusione sociale, del tutto simili a quelle rintracciabili nelle forme di bullismo tradizionale, anche se “veicolate” ed espresse attraverso modalità elettroniche, ovvero attraverso l’utilizzo dei nuovi media”. In sostanza ci sono quindi alcuni elementi che le “nuove” forme di bullismo (il bullismo elettronico) condividono conquelle “vecchie” (il bullismo tradizionale):
• l ’aspetto relazionale di gruppo;
• il pregiudizio e il giudizio come elementi alla base delle dinamiche di esclusione sociale;
• l’impatto emotivo sulle vittime;
• la solitudine, l’isolamento e l’incapacità di difendersi delle vittime;
• la bassa autostima come elemento condiviso dai cyber bulli e dalle vittime.
• la sfiducia da parte dei ragazzi verso il mondo degli adulti di riferimento;
• la scarsa sensibilità empatica dei cyber bulli e degli astanti;
• l’incapacità dei cyber bulli di valutare le conseguenze delle proprie azioni;
• la responsabilità degli astanti nel reiterare o nel contrastare ilfenomeno; e altre che contraddistinguono il bullismo elettronico da quello tradizionale:
• le nuove tecnologie (uso di internet e cellulari) come veicolo delle prepotenze;
• la rete come potenziale amplificatore della dimensione sociale dell’offesa;
• la reversibilità dei ruoli;
• i luoghi e i tempi dell’interazione si ampliano; (mancanza di limiti spazio-temporali all’interazione);
• l’anonimato: garante del potere esercitato dal cyberbullo nei confronti della vittima e schermo all’esposizione da parte del bullo alle reazioni emotive della vittima.
3. Fondamenti di intervento anti-cyberbullismo
Non usare una prospettiva relazionale nell’approccio alle diverse forme di bullismo comporta quindi il rischio di etichettare le persone e di compromettere il lavoro di intervento, finalizzato al contrasto di questo fenomeno. Allo stesso modo, la possibilità di costruire percorsi e strumenti di contrasto, applicabili indistintamente a tutti i gruppi in cui si sviluppano dinamiche di esclusione sociale, sembra difficilmente immaginabile. Queste stesse considerazioni sembrano invece rimandare alla necessità di progettare misure flessibili, pensate e cucite ad hoc per ogni specifica realtà all’interno della quale ci si trova ad operare, realizzate da professionisti addestrati a gestire–facilitare, mediare e contenere–le spesso accese ed impreviste dinamiche relazionali che si vengono a creare nel “qui e ora” degli incontri di formazione e a lavorare nella direzione di restituire individualità e senso di responsabilità personale a ciascun membro del gruppo, oltre a curare ovviamente gli aspetti di contenuto relativi all’argomento in esame. La costruzione di un intervento anti-cyberbullismo, come già accennato, dovrebbe quindi appoggiarsi su una prospettiva sistemica, interessata alla qualità relazionale e non ai singoli individui. «Puntare l’attenzione su questo secondo punto vorrebbe dire ricercare un “modello ideale” di comportamento (perseguibile da ciascuno), dietro il quale scomparirebbero le singole specificità» (Berdondini,2001). Lavorare nella direzione di migliorare le relazioni all’interno del gruppo, significa promuovere, tra i partecipanti, empatia ed assertività insieme ad abilità comunicative e cooperative. «Ovviamente per ognuna di queste forme relazionali non esiste un’unica modalità comportamentale, attribuibile ad un’unica tipologia di persone: chiunque può diventare empatico o collaborativo, non dovendo rinunciare alle proprie caratteristiche personali e rispettando, al contempo, quelle altrui» (Berdondini, 2001). Nella pianificazione di interventi anti-bullismo diventa dunque molto importante valorizzare le differenze individuali, per contrastare i pregiudizi sui quali si appoggiano tutte le forme di esclusione sociale e migliorare la convivenza all’interno dei gruppi allo scopo di restituire qualità allo “stare insieme” off line ,ma anche on line.
4. Cyberbullismo: il ruolo degli adulti
Quando si pronunciano i termini bullismo e cyberbullismo sembra verificarsi una tendenza spontanea a guardare nella direzione dei ragazzi, come se si trattasse di fenomeni relazionali che coinvolgono esclusivamente loro e a non riconoscere al mondo degli adulti le sue potenziali responsabilità nel contribuire a sostenere o a contrastare questo tipo di dinamiche relazionali. In realtà anche gli adulti, nel momento in cui, ad esempio, diventano testimoni diretti o indiretti di un episodio di bullismo o di cyberbullismo hanno una responsabilità attiva nello scegliere di ignorare o di affrontare il problema. A tale proposito, la letteratura e la ricerca hanno ormai ampia mente sottolineato, a partire dagli studi di Olweus (1996), l’importanza del ruolo dei bystanders nel generare e nel mantenere le dinamiche di bullismo. Sempre evidenziando l’importanza del ruolo degli adulti nella lotta contro il cyberbullismo, alcuni esperti (Mason, 2008; Willard, 2007) suggeriscono quanto sia utile, per le scuole, adottare azioni preventive per proteggere i propri studenti dalle prevaricazioni elettroniche e allo stesso tempo rispondere alle emergenze mantenendo un clima scolastico sicuro. Altri studiosi (Mishna, Cook, Saini, Wu, Mac Fadden, 2010), hanno invece individuato come centrale la necessità, da parte di adolescenti e di bambini, di adottare comportamenti sicuri su Internet. All’interno di questa cornice appare dunque fondamentale il coinvolgimento degli adulti nel promuovere dinamiche relazionali di tipo inclusivo, nell’acquisire maggiore consapevolezza sui rischi connessi all’uso delle nuove tecnologie (Chibnall, Wallace, Leicht e Lunghofer,2006)e nel favorire un utilizzo responsabile e sicuro di Internet e del cellulare da parte degli adolescenti. La prospettiva sistemica, alla base del progetto di prevenzione e contrasto al cyberbullismo (ideato all’interno del progetto Daphne III), ha dunque evidenziato la necessità di integrare al proprio interno diversi livelli 3 di intervento, allo scopo di contrastare dinamiche di esclusione sociale, di promuovere cambiamenti nel clima generale della scuola, nelle norme e nei valori del gruppo, di rendere gli adulti di riferimento, supportivi nei confronti dei ragazzi, impegnati nella prevenzione del cyberbullismo ed informati sui rischi connessi all’uso delle nuove tecnologie e, allo stesso tempo, di supportare i giovani ad un uso consapevole e responsabile di Internet e del cellulare.
5. Gli obiettivi di un intervento anti-cyberbullismo
Per poter sviluppare azioni di prevenzione e di contrasto delle forme di esclusione sociale, anche elettroniche, é necessario puntare l’attenzione sullo sviluppo di alcuni obiettivi che un progetto di intervento dovrebbe perseguire, indipendentemente dallo specifico livello al quale si rivolge (ragazzi, genitori, personale scolastico). Un intervento anti cyberbullismo dovrebbe perciò promuovere:
1) conoscenza e consapevolezza del fenomeno;
2) responsabilità e assertività;
3) inclusione sociale.
1) Promuovere conoscenza e consapevolezza del fenomeno
Quando si parla di conoscenza ci si riferisce all’approfondimento teorico-esperienziale degli aspetti che definiscono il cyberbullismo e che lo differenziano dalle forme di bullismo tradizionale, insieme all’approfondimento delle emozioni, delle motivazioni e dei livelli di responsabilità sottesi ai diversi ruoli in gioco (cyberbullo, cybervittima e astante). Promuovere conoscenza significa anche a educare ai nuovi media, ovvero aiutare la riflessione su un utilizzo etico (e quindi anche prudente) delle nuove tecnologie, valutando diritti e responsabilità personali, oltre che approfondire gli aspetti legali e penali connessi al fenomeno.
La consapevolezza invece riguarda un tipo di conoscenza non nozionistica, quanto “soggettiva”. Sviluppare consapevolezza, in altre parole, significa lavorare nella direzione di scoprire la propria personale posizione in relazione ad un fenomeno, un argomento, un fatto, ecc…(in questo caso alle forme di bullismo elettronico), svelando, a se stessi prima di tutto, pensieri ed emozioni collegati (qual é la mia opinione in merito…?Che effetto mi fa?).
2) Responsabilità ed assertività.
Lavorare sulla consapevolezza équindi una “tappa obbligata” e propedeutica allo sviluppo di atteggiamenti e di comportamenti, a quel punto, responsabili ed assertivi nei confronti del bullismo. L’acquisizione di consapevolezza fornisce la spinta motivazionale necessaria al passaggio all’azione concreta (dato ciò che penso e ciò
che sento … che cosa voglio fare? Voglio, ad esempio, continuare ad usare indifferenza o mobilitarmi in aiuto della vittima?). La responsabilità, etimologicamente l’abilità a rispondere, rappresenta in sostanza, «la capacità di scegliere consapevolmente, chiave per uno stare insieme di valore» (Quattrini, 2011). Malgrado possa sembrare strano, responsabilità e potere sono sinonimi: responsabilizzare una persona significa aiutarla a rendersi conto di ciò che fa e di quello che sarebbe in grado di fare (ad esempio, usare indifferenza o supportare la vittima di prepotenze). Tante più capacità scoprirà di avere, maggiore sarà il suo potere (inteso nel senso di “poter fare”) e la sua autorevolezza. Lo sviluppo di responsabilità e di assertività sembra quindi essere uno degli ingredienti fondamentali non solo nella costruzione di azioni di prevenzione e di contrasto del cyberbullismo, ma anche nella costruzione dell’autostima, in un età così delicata come la preadolescenza e l’adolescenza.
3) Inclusione sociale
Contrastare le dinamiche di esclusione sociale (di cui le forme di bullismo e di cyberbullismo sono solo alcuni esempi) significa promuovere dinamiche di tipo inclusivo, all’interno delle quali le differenze individuali siano finalmente riconosciute come un valore e non come un motivo di pregiudizio. A tale proposito, l’educazione alla differenza, unita alla capacità di gestire le inevitabili ostilità del quotidiano (spesso represse o reindirizzate verso capi espiatori), attraverso una comunicazione più consapevole e responsabile (che si potrebbe definire assertiva), dovrebbe portare allo sviluppo di un’attitudine collaborativa tra individui, a quel punto sufficientemente alleati, a prescindere dalle differenze. L’espressione e non l’azione, intesa come invasione, anche verbale, dello spazio personale dell’altro, diventa perciò una pratica fondamentale nella gestione delle emozioni e nella formazione di un gruppo che si muova in modo responsabile e consapevole (e che si differenzi dalla cosiddetta “massa”). Tutto questo non senza lo sviluppo del libero arbitrio (libertà e responsabilità nello scegliere una direzione) e di una sorta di “gusto” etico (senso del valore in base al quale scegliere i comportamenti da attuare, un gusto che si appoggia necessariamente sulla capacità di empatia).
In sintesi, un intervento per poter avere delle ricadute positive nella prevenzione e nel contrasto delle dinamiche di esclusione sociale, dovrebbe mirare a favorire:
– espressione emotiva;
– capacità empatica (e quindi senso etico);
– comunicazione inclusiva;
– assertività;
– responsabilità;
– una “cultura” dell’inclusione delle differenze;
– qualità delle relazioni.
Allo stesso tempo lo sviluppo di tali attitudini e capacità dovrebbe essere trasversale al lavoro sui contenuti che si ritengono importanti per la comprensione del fenomeno in esame. In altri termini un progetto antibullismo dovrebbe tenere conto di due livelli di intervento, quello sui processi (cioé sui vissuti e sulle dinamiche relazionali dei partecipanti) e quello sui contenuti e sulle specificità, ritenuti rilevanti nella comprensione del fenomeno. Si tratta certamente di un percorso lungo che richiede tempo e molto addestramento, soprattutto per quel che riguarda lo sviluppo delle abilità comunicative, relazionali ed empatiche.
All’interno di questa cornice, insegnanti, educatori e genitori sono chiamati a svolgere il ruolo di facilitatori, rispettivamente nella gestione del gruppo classe e nello stimolare l’espressione emotiva all’interno delle dinamiche di prevaricazione sociale. I docenti, ed esempio, potrebbero inserire tra le attività disciplinari alcuni momenti dedicati alla conoscenza reciproca, alla discussione di gruppo, all’accoglienza delle emozioni in classe e alla collaborazione. E’ abbastanza evidente quindi come un progetto del genere, da un lato, richieda una forte motivazione da parte degli educatori e dall’altro non possa che avere l’ambizione di aiutare ragazzi, genitori ed insegnanti, ad innescare un circolo virtuoso che necessita di essere alimentato quotidianamente attraverso un lavoro di rete tra scuola e
famiglia.
6. Una metodologia esperienziale
Parlare di metodologia esperienziale significa rimandare ad un tipo di conoscenza prodotta attraverso l’esperienza. Lo specifico di questo approccio si appoggia sulla partecipazione attiva, sulla mobilitazione della responsabilità e delle risorse personali dei partecipanti nel processo di apprendimento. Una formazione di tipo esperienziale, finalizzata al contrasto del cyberbullismo, fa quindi leva sulle risorse e sulla creatività del gruppo nell’individuare strategie relazionali di tipo inclusivo, a partire da una conoscenza che potremmo definire “da dentro”, grazie alla quale i partecipanti hanno la possibilità di esplorare in prima persona i vissuti e le motivazioni che sostengono ciascun ruolo (ci riferiamo ai ruoli di cyberbullo, cybervittima e astante), oltre alle conseguenze e all’impatto che ogni ruolo gioca sugli altri. In questo modo é altrettanto possibile lavoraro sulla responsabilità, che ogni membro del gruppo ha, nel sostenere o nel contrastare il cyberbullismo (che é appunto un fenomeno di gruppo). Esempi di metodologie esperienziali sono, ad esempio, il role play e lo psicodramma che promuovono conoscenza grazie alla capacità di “mettersi nei panni” di qualcuno diverso da se stessi; i momenti di lavoro in piccoli gruppi che favoriscono, trasversalmente alla formazione teorica, l’acquisizione di abilità cooperative (indispensabili nel contrastare e prevenire le dinamiche di esclusione sociale), i momenti di condivisione nel gruppo allargato (per creare una “cultura” capace di includere le differenze) e i momenti di prebriefing e debriefing (finalizzati all’espressione emotiva, allo sviluppo dell’empatia e del rispetto dell’altro). I vantaggi legati all’utilizzo di una metodologia esperienziale sono dunque molteplici: produrre conoscenza, incentivare la motivazione all’apprendimento e alla partecipazione, sensibilizzare al problema, permettere l’espressione emotiva, sviluppare la capacità di mettersi “nei panni di” e di motivare al cambiamento, costruire relazioni inclusive.
7. L’intervento: l’esperienza italiana
Il percorso formativo anti-cyberbullismo ideato, secondo un modello di politica scolastica globale (Sharp, Smith,1995; Olveus, 1996), all’interno del progetto Daphne III é stato rivolto ai ragazzi, ai genitori interessati, oltre che al personale docente e non docente di due scuole del territorio di Forlì, con l’idea di formare adolescenti consapevoli e responsabili, di rinforzare il contesto degli adulti di riferimento e di renderli maggiormente supportivi verso i ragazzi (ricordiamo che anche gli adulti, siano essi insegnanti, operatori scolastici, genitori o formatori, sono parte attiva del gruppo nel quale sono inseriti, ed hanno, al pari degli adolescenti, una grande responsabilità nel promuovere dinamiche relazionali di esclusione o di inclusione sociale), oltre che “attrezzati” delle competenze necessarie alla gestione di questo fenomeno. Sono state così individuate due classi per ciascuna scuola (quattro gruppi in totale), un unico gruppo di insegnanti provenienti da entrambi gli istituti e un gruppo di genitori.
7.1 Il lavoro con le classi
Ogni classe ha ricevuto dieci ore di formazione all’interno di cinque incontri svolti, per lo più a cadenza settimanale, nel periodo compreso tra fine febbraio e aprile 2011.
7.1.1 Primo incontro
L’obiettivo principale del primo modulo formativo é stato fornire un’introduzione teorica sul fenomeno del bullismo tradizionale ed elettronico. Non sono state utilizzate lezioni “frontali” ma si é ricorso all’utilizzo della tecnica del brainstorming per due diverse ragioni:
1) creare un clima interattivo sollecitando la partecipazione del gruppo e 2) ottenere una misura delle conoscenze già presenti in ciascuna classe, allo scopo di cucire una restituzione teorica “su misura” che non fosse ridondante con le nozioni già assimilate dal gruppo. Parte dell’incontro é stata inoltre dedicata alla negoziazione delle regole del gruppo nascente. La proposta di regole da parte del conduttore e la richiesta di accordo da parte del gruppo é un aspetto molto importante, dato che fa leva sulla responsabilità di ciascuno e permette al conduttore di confrontare il gruppo o i singoli tutte le volte che l’impegno preso viene disatteso. Tra le regole proposte ricordiamo: l’astensione dal giudizio, il divieto di agiti (anche verbali), allo scopo di promuovere l’espressione di sé. Sono regole che, oltre ad aiutare ad organizzare il buon funzionamento del gruppo, allenano lo sviluppo di un registro comunicativo assertivo (vs valutativo) e sensibilizzano i partecipanti al rispetto reciproco, al processo di alfabetizzazione emotiva e all’individuazione di sé, come di persone con pensieri ed emozioni propri, non necessariamente omologabili a quelli del gruppo, ma ugualmente in diritto di esistere nella differenza. Questi aspetti nella pratica vanno sottolineati, rimandati al gruppo e gestiti con attenzione dal conduttore. In questa fase é stato inoltre possibile assistere e quindi gestire l’emersione di alcune dinamiche relazionali tra i membri del gruppo (nel caso specifico le prese in giro da parte del gruppo ai danni di uno studente per un “problema” di balbuzie), attraverso l’esplicitazione da parte del conduttore di quello che stava osservando, la richiesta di chiarimenti al gruppo, l’invito, rivolto alla vittima (il bersaglio delle prese in giro) di esprimere il proprio stato d’animo, relativo all’accaduto e le conseguenze del trattamento a lui riservato (imbarazzo e aumento della difficoltà a trovare le parole adatte ad esprimere in gruppo la propria esperienza) ed infine l’invito, rivolto al gruppo, ad esprimere l’effetto emotivo che le dichiarazioni della vittima dello “scherzo” (come é stato definito dai compagni) hanno sortito sugli studenti. Questo gioco di rimbalzi emotivi ha favorito, da un lato, una maggiore comprensione delle conseguenze diquello che, fino a quel momento era stato considerato dal gruppo «un comportamento innocuo, uno scherzo divertente» (virgolettate le parole
usate dai compagni di classe), dall’altro una sensibilizzazione empatica da parte del gruppo che, da quel momento in poi (per tutta la durata del percorso formativo) non ha più ripetuto con quello studente la stessa dinamica. La possibilità di essere testimoni, in qualità di conduttori, delle dinamiche di prepotenza emergenti nel gruppo (vedi quella appena descritta, ma anche la facilità con cui le regole prima concordate sono state poi disattese), ci permette di lavorare costantemente su un doppio livello: quello didattico (cio é relativo allo specifico tema in esame), attraverso lo svolgimento delle attività e della programmazione immaginata per quell’incontro e quello relazionale, che si concretizza ad ogni istante nel “qui e ora” dell’interazione tra i partecipanti al gruppo. Il fatto che il conduttore sappia riconoscere, esplicitare e gestire le dinamiche sociali, via via emergenti, comporta tre grandi vantaggi trasversali alla formazione:
– migliora il clima del gruppo;
– permette di tracciare dei paralleli continui tra la teoria sulle dinamiche di prepotenza e l’esperienza che il gruppo vive in quel momento “sulla propria pelle”;
– infine consente al conduttore, in quanto parte del gruppo, di rispecchiare e di proporre possibilità comportamentali responsabili (diverse dall’indifferenza), che inoltre lavorano nella direzione di sviluppare atteggiamenti empatici nei partecipanti. Attraverso l’utilizzo di un registro comunicativo assertivo, il conduttore si coinvolgerà in prima persona esplicitando i fatti che ha osservato (ad esempio un numero di studenti che non ha rispettato il turno di parola degli altri, contribuendo a generare molta confusione) ed esprimendo il proprio stato d’animo e la propria opinione rispetto a quanto accaduto («da quello che vedo mi sembra che non stiate rispettando le regole sulle quali ci siamo accordati…questo non mi piace perché non mi permette di lavorare…mi disorienta e mi delude perché mi ero fidata dell’impegno da voi preso…Che effetto vi fanno le mie parole?…» – virgolettato l’intervento del conduttore). L’esempio appena descritto rappresenta una modalità esperienziale di fare formazione, ovvero di insegnare qualcosa, che viene integrata alla formazione di tipo teorico, anche se, privilegiata, all’interno di questo modello. Gli apprendimenti esperienziali si imprimono proprio grazie all’esperienza (ai vissuti emotivi e ai pensieri) che ciascuno di noi fa in relazione ad una situazione. Il grosso lavoro del conduttore é anche quello di aiutare i membri del gruppo a prenderne consapevolezza e, sulla base di questa, ad esercitare atteggiamenti responsabili e socialmente sensibili.
7.1.2 Secondo incontro
L’obiettivo principale del secondo incontro riguardava l’approfondimento del cyberbullying a partire da attività di tipo esperienziale, allo scopo di mobilitare (come già accennato) le risorse del gruppo verso l’acquisizione di maggiore consapevolezza sui vissuti emotivi, sulle motivazioni e sui livelli di responsabilità che sostengono l’assunzione dei diversi ruoli implicati nel fenomeno in esame. L’attivazione, immaginata a prescindere dalle risorse e dai limiti di ciascun gruppo, riguardava il coinvolgere la classe in un lavoro di psicodramma dove si chiedeva di mettere in scena una situazione di bullismo elettronico (che poteva essere proposta dalla classe o suggerita dal conduttore). Nella pratica non é stato possibile adottare lo stesso metodo all’interno dei diversi gruppi, proprio in virtù delle differenze relative alla disponibilità e alla disciplina delle diverse classi. In alternativa alla drammatizzazione, il conduttore ha stimolato e mediato una discussione in gruppo, bypassandola teatralizzazione e usando tecniche immaginative. La preferenza dell’utilizzo di tecniche di psicodramma deriva dal fatto di
poter far calare le persone più velocemente nei panni dei personaggi che interpretano e di poter essere testimoni diretti della loro esperienza (in genere al termine della simulata i diversi “personaggi” vengono intervistati sulle emozioni provate in relazione a tutti gli altri e sui pensieri e le opinioni che,
all’interno della scena rappresentata, hanno di sé stessi, della situazione e degli altri). L’altro grande vantaggio insito nell’uso di questa tecnica, é la possibilità di lavorare trasversalmente sullo sviluppo dell’empatia. Tra gli obiettivi emersi direttamente “sul campo” (non pianificati apriori dal conduttore) é stata inserita, all’interno di tutti i gruppi,l’analisi del clima di classe. A tale scopo si é ricorso ad attività diverse, scelte in relazione alle personali propensioni di ogni gruppo.
7.1.3Terzo incontro
Gli obiettivi perseguiti all’interno di quest’incontro sono stati lo sviluppo dell’assertività e la costruzione diinterventi di prevenzione e di contrasto del cyberbullying, come ad esempio: 1) l’individuazione, da parte degli studenti, di strategie relazionali di supporto alle vittime; 2) la promozione dell’auto supporto da parte delle vittime; 3) lo sviluppo della consapevolezza, da parte dei diversi ruoli in gioco, delle conseguenze delle proprie azioni. I metodi utilizzati a tale scopo sono stati per ciascun gruppo quelli adottati nel secondo incontro (drammatizzazione, circle time, role play). Ogni classe ha ripreso a lavorare sugli stessi scenari della volta precedente,privilegiando però l’apprendimento di aspetti diversi del bullismo elettronico e creando possibilità comportamentali alternative all’indifferenza (degli astanti) o alla paralisi (delle vittime). Parallelamente a questo lavoro sono state proposte delle attività finalizzate ad una migliore alfabetizzazione emotiva e alla promozione di una maggior sensibilità empatica come ad esempio il de briefing, attraverso momenti di condivisione in gruppo o a coppie allo scopo di esporre i ragazzi ai feedback e al rispecchiamento dei compagni .
7.1.4 Quarto incontro
L’obiettivo principale del quarto incontro é stato lavorare sulla costruzione dell’autostima attraverso l’individuazione di strategie operative e di comportamenti atti a favorire dinamiche di inclusione sociale, in contrasto con quello che invece spesso accade, ovvero la ricerca di una “reputazione sociale” (Emler, Reicher, 1995),
attraverso l’esercizio di comportamenti aggressivi e di prevaricazione sociale. Per quel che riguarda la metodologia utilizzata, sono state proposte delle attività in piccoli gruppi, inerenti la creazione di propagande, slogan e campagne pubblicitarie di contrasto al fenomeno del bullismo elettronico. I lavori di ogni gruppetto sono stati presentati al grande gruppo e l’incontrosi é concluso con un momento di de-briefing nel quale i partecipanti hanno potuto esprimere i vissuti e le difficoltà eventualmente incontrate durante le attività, ma anche le occasioni di divertimento, ecc. Alla fine di ogni lavoro di gruppo é importante dedicare ampio spazio all’analisi del processo appena vissuto, che si focalizza non tanto sul contenuto della specifica attività, quanto sulle dinamiche interattive, allo scopo di facilitare ed accogliere anche sentimenti ed emozioni “negative” verso i compagni o gli adulti di riferimento.
7.1.5 Quinto incontro
Lo scopo dell’ultimo incontro é stato quello di favorire la promozione di una «cittadinanza digitale» (Nanni, 2008), grazie alla valutazione e all’acquisizione di una serie di accorgimenti indispensabili per poter navigare in rete ed utilizzare le nuove tecnologie elettroniche in modo responsabile: prudente e sicuro per sé, lt re che rispettoso degli altri. L’attività é stata suddivisa in due momenti: la classe é stata prima invitata a riflettere individualmente sui “rischi e risorse legati all’uso delle nuove tecnologie” e sui “diritti e responsabilità legati all’uso dei nuovi media”. Dopo una discussione di classe in cui sono state condivise le varie riflessioni, é seguito un lavoro gruppi volto alla realizzazione di una miniguida che contenesse le regole necessarie ad un utilizzo prudente e rispettoso della rete e del cellulare. Ogni sottogruppo ha infine presentato al grande gruppo il contenuto della propria mini guida, offrendo la possibilità di integrare gli aspetti che via via non erano emersi e di dare visibilità al proprio lavoro. L’incontro é terminato con una sessione, seppur breve (data la mancanza di tempo), di debriefing.
7.1.6 Contenuti emersi dal lavoro con gli studenti
Di seguito é proposto un elenco dei contenuti più significativi, emersi per conto dei ragazzi, durante gli incontri svolti nelle classi:
il cyberbullismo, proprio in virtù dell’anonimato delle minaccie subite dalla vittima sono immaginate come meno importanti e pericolose). In realtà la perdita dell’interazione “faccia a faccia” comporta due importanti implicazioni all’interno delle relazioni: 1) Incrementa il “disimpegno morale” (Menesini, Fonzi, Vannucci,
1999); 2) Riduce/annulla la capacità empatica.
In più di una classe da parte di qualche studente é stato dichiarato uno scarso interesse sul tema del bullismo elettronico «perché non mi riguarda da vicino, perché in questa scuola non c’è», come se la distanza di tale fenomeno dalla propria esperienza, diretta o indiretta, ne vanificasse la realtà e quindi la possibilità di interessarsi al tema.
Parlando dell’importante ruolo che hanno gli astanti nel contribuire a sostenere o a contrastare il bullismo elettronico, i ragazzi hanno fatto fatica ad intravedere una responsabilità attiva nel comportamento di chi si “limita” ad usare indifferenza, a ridere, a guardare da un’altra parte, ecc. Tutto ciò evidenzia l’importanza di insistere con i ragazzi su l fatto che l’indifferenza é una forma di responsabilità anche se non si é gli autori diretti della prepotenza. I formatori, gli insegnanti gli educatori e i genitori dovrebbero dunque aiutare i ragazzi a riflettere sul ruolo centrale e sull’enorme responsabilità che hanno gli osservatori nel non intervenire in modo diverso da come agiscono e stimolarne la creatività nell’individua zione di strategie relazionali alternative, ma questa volta inclusive (ad esempio si può cancellare il messaggio ricevuto, si può andare a parlare con la vittima, si può denunciare l’accaduto ad un adulto, ecc.)
Il cyberbullo che si nasconde dietro l’anonimato é considerato generalmente «uno sfigato» (prendendo in prestito un’espressione usata dai ragazzi), anche se, in questo caso, viene riconosciuta la maggiore
difficoltà a difendersi o a difendere la vittima.
I ragazzi dichiarano la propria disponibilità a mobilitarsi in aiuto della vittima se si tratta di un amico, viceversa, se si tratta di uno sconosciuto la ten denza espressa da molti, é quella di «farsi gli affari propri» («la cosa non mi riguarda …rischierei ritorsioni»).
Alcuni gruppi, nonostante la consegna riguardasse la realizzazione di pubblicità progresso sul tema del cyberbullying hanno prodotto dei lavori sul bullismo tradizionale (come se fosse maggiormente maneggiabile in quanto più conosciuto).
Grazie alla redazione delle miniguide sono emersi gli aspetti legali e penali legati ad alcuni comportamenti (come ad esempio, la possibilità, non considerata prima, di denunciare alla polizia postale alcuni reati come la violazione della privacy, la diffamazione, ecc. Inoltre quasi nessuno dei ragazzi sembrava informato su lla possibilità di poter identificare l’aggressore celato dietro l’anonimato).
7.2 Il lavoro con il personale scolastico
Il percorso formativo rivolto al personale scolastico (secondo un modello di politica scolastica globale), é stato progettato tenendo conto che, come già accennato, anche gli adulti, siano essi insegnanti, operatori scolastici o formatori, sono parte attiva del gruppo nel quale sono inseriti, ed hanno, al pari degli adolescenti, una grande responsabilità nel promuovere dinamiche relazionali di esclusione o di inclusione sociale. E’ stato quindi creato un unico gruppo che ha raccolto i docenti interessati dei due diversi istituti e che ha ricevuto 14 ore di formazione all’interno di un percorso così articolato:
– tre incontri di formazione, da 3 ore ciascuno;
– due incontri finali di supervisione da due ore e mezzo ciascuno.
Gli incontri di formazione sono stati svolti a cadenza quindicinale, mentre quelli di supervisione a cadenza mensile, nel periodo compreso tra marzo e maggio 2011.
7.2.1 La formazione: primo incontro
Gli obiettivi principali perseguiti nel primo modulo formativo sono stati: fornire un’introduzione teorica sul fenomeno del bullismo tradizionale ed elettronico e promuovere un approfondimento esperienziale del cyberbullying. Anche in questo caso, come nella formazione rivolta agli studenti, non sono state utilizzate lezioni “frontali” ma si é ricorso all’utilizzo della tecnica del brainstorming, per le ragioni già descritte, alla proiezione di video su scenari di cyberbullying, a momenti dicondivisione individuale in gruppo, oltre che a sessioni di psicodramma. Sono stati approfonditi gli aspetti emotivi e motivazionali legati all’assunzione di ciascun ruolo e stimolati i partecipanti alla creazione di nuove possibilità comportamentali (di supporto alla vittima), volte a promuovere dinamiche relazionali di inclusione sociale. In questo modo, durante la drammatizzazione di una scena di bullismo elettronico, il gruppo degli astanti (tra i quali figurava anche la figura dell’insegnante) é stato stimolato ad immaginare ed individuare nuove strategie relazionali di tipo responsabile ed assertivo, contrapposte all’indifferenza che solitamente viene giocata all’interno delle interazioni di esclusione sociale. Le dinamiche più evidenti sono emerse, in fase di analisi delle aspettative, sottoforma di diffidenza rispetto all’interesse dimostrato per il progetto Daphne III («abbiamo fatto molte formazioni,… non é che poi servano più di tanto …»), ma immediatamente scemate a fine incontro quando, durante il de-briefing finale sono invece stati espressi dei feed back molto positivi sia sugli aspetti di contenuto, che metodologici riferibili allo specifico della formazione esperienziale. Alcune delle aspettative più interessanti sono state le richiestedi «ricette» su come gestire le classi «faticose», contrastare le forme di prepotenza e su come cambiare gli alunni «difficili» (virgolettate, le parole usate dai docenti).
Alcuni insegnanti invece, pur lamentando il proprio malessere all’interno di una specifica classe, pensavano di limitarsi a ricevere delle informazioni sull’andamento degli incontri di formazione rivolti agli alunni, senza considerarsi parti attive in gioco (all’interno del percorso formativo) ed anzi delegando ogni responsabilità di cambiamento ai ragazzi.
Una volta chiarito che il corso lavorava con gli adulti nella direzione di trovare, a partire da se stessi, delle alternative relazionali inclusive e di supporto agli adolescenti all’interno della cornice del bullismo elettronico, quegli stessi insegnanti non si sono presentati agli incontri successivi.
Per quel che invece riguarda i contenuti emersi da parte del gruppo sul bullismo elettronico, é spiccata una generale sottostima della gravità del fenomeno oltre ad una scarsa conoscenza dello stesso (alcuni non ne avevano mai sentito parlare).
7.2.2 Secondo incontro
L’obiettivo principale dell’incontro é stato attrezzare i docenti di una serie di strumenti pratici necessari alla promozione dell’inclusione sociale, al contrasto delle dinamiche di bullismo e alla promozione di un clima scolastico basato sulla fiducia. La metodologia utilizzata é stata di tipo informativo-pratico: momenti teorici relativi ai temi della comunicazione inclusiva sono stati alternati a sessioni pratiche, allo scopo di consolidare gli apprendimenti. Dato che non é possibile apprendere teoria e tecnica della comunicazione senza un’adeguata alfabetizzazione emotiva ed una discreta consapevolezza dei propri vissuti e del proprio stile relazionale, la parte teorica é stata supportata da una serie di esperienze e di attività pratiche come ad esempio, visualizzazioni, esercizi di consapevolezza corporea ed emotiva, esercizi di ascolto attivo, svolti in coppia o in gruppo. Sono stati inoltre trattati i temi relativi alla gestione dei conflitti e accennate alcune tecniche di lavoro cooperativo. Alcune attività proposte durante l’incontro hanno generato particolari dinamiche che a loro volta hanno offerto al gruppo diversi spunti di riflessione sul tema del pregiudizio, motore delle aspettative ed ostacolo all’incontro con l’altro (il pregiudizio esclude, non include).
Il gruppo si é trovato inoltre piacevolmente disorientato rispetto alla novità di prospettiva con cui sono stati proposti i temi della comunicazione, dell’ascolto, ecc. In genere, soprattutto nell’ambiente scolastico vengono utilizzati registri comunicativi di tipo valutativo (che generano esclusione). L’incontro formativo, al contrario, ha proposto un radicale cambiamento di punto di vista (lavorando sull’aspetto assertivo e quindi inclusivo della comunicazione) che, come prima accennato, ha suscitato molto interesse nel gruppo e il «desiderio, seppure con paura, di abbracciare una nuova sfida» (virgolettato, il feedback di un insegnante).
7.2.3Terzo incontro
Durante il terzo e ultimo incontro il gruppo é stato invitato a riflettere sugli aspetti legali e penali legati all’uso delle nuove tecnologie e sui rischi connessi alla navigazione in rete. Parallelamente ha continuato a lavorare sull’individuazione di comportamenti di contrasto al bullismo elettronico. Per quel che riguarda la metodologia, sono state utilizzate alcune attività quali:
– discussione in gruppo
– sintesi e breve restituzione teorica dei temi trattati
– brainstorming
– simulate finalizzate allo sviluppo di comportamenti assertivi (svolte utilizzando scenari o esperienze portati dagli insegnanti).
– esercizi di auto
– ascolto e di contatto emotivo (visualizzazioni guidate).
7.2.4 La supervisione
Per fornire continuità al lavoro di formazione e supporto agli insegnanti che si sarebbero sperimentati nell’applicazione, in classe, degli “strumenti” ricevuti durante il corso, sono stati proposti degli incontri di supervisione a cadenza mensile, fino a conclusione dell’anno scolastico. Il lavoro con i docenti é
quindi proseguito con altri due incontri, durante i quali sono state elaborate alcune difficoltà incontrate nel riproporre “sul campo”, cioé alle classi, gli apprendimenti conseguiti durante il corso e inerenti le pratiche relazionali utili nella prevenzione e nel contrasto delle dinamiche di esclusione sociale a scuola.
La metodologia con cui sono stati gestiti gli incontri di supervisione é di tipo pratico e, a meno che non sia esplicitamente richiesto dal gruppo, non prevede momenti teorici. La supervisione é stata quindi condotta proponendo spazi di condivisione tra pari (allo scopo promuovere la creazione trasversale di un gruppo di auto supporto e di stimolare, parallelamente, creatività e risorse personali nei singoli membri) e la messa in scena (attraverso sessioni di psicodramma e/o di role play) di situazioni vissute con difficoltà al fine di trovare soluzioni adattive agli impasse relazionali che di volta in volta sono stati evidenziati.
7.2.5. Contenuti emersi dal lavoro con gli insegnanti
Per quel che concerne i contenuti emersi durante gli incontri,é interessante notare che il gruppo non aveva mai riflettuto prima sugli aspetti legali, penali e sui rischi legati all’uso della rete o dei cellulari. Il gruppo, inoltre, é sembrato maggiormente stimolato e coinvolto sui temi dell’esclusione sociale che si verificano a scuola o in classe (di cui gli insegnanti sono spesso diretti testimoni), piuttosto che sulle dinamiche di cyberbullying, ancora troppo “lontane” dalla loro realtà.
Questo dato, insieme ad una generale sottostima della gravità del fenomeno, accomuna il gruppo degli insegnanti ai gruppi di studenti, i quali, a loro volta, hanno espresso maggiore preferenza e disponibilità a lavorare sulle dinamiche di prepotenza offline («forse perché ci riguardano più da vicino», virgolettato il feed back di un insegnante). L’intero percorso formativo ha tuttavia riscosso un certo consenso da parte del gruppo anche se tutte le sessioni pratiche (compresa la supervisione)sono state, a detta dei docenti, le più formative e le più interessanti. Uno dei punti di forza é stato infatti l’entusiasmo con cui é stata recepita la metodologia esperienziale (soprattutto in riferimento alle tecniche del role play e dello psicodramma, che hanno sorpreso più di qualcuno per la forza e la veridicità delle esperienze che veicolano quando si giocano personaggi diversi da se stessi), considerata un canale di conoscenza coinvolgente,interessante e utile allo sviluppo di attitudini empatiche («mi rendo conto solo adesso che la capacità di ascoltare veramente e di comprendere punti di vista diversi dai propri é possibile solo se ci si mette davvero nei panni di qualcun altro. Tra pensare e sperimentare … c’é davvero il mare!…», virgolettato il feedback di un insegnante).
Per quel che riguarda le criticità del percorso si segnala l’assenza di operatori scolastici (dirigenti, personale tecnico, ecc.) e una programmazione troppo nutrita (sia a livello teorico, sia a livello di attività pratiche) rispetto al tempo a disposizione. Nello specifico il tema della responsabilità é stato sviluppato solo in parte. Un training anti cyberbullismo dovrebbe invece prevederne un approfondimento su due livelli, rivolgendosi al personale scolastico in qualità di individui e di rappresentanti istituzionali. Lavorare sullo sviluppo di atteggiamenti e di comportamenti assertivi a livello personale e istituzionale significa, ad esempio, trovare delle risposte alle seguenti domande: In che modo posso contribuire, nel lavoro di tutti i giorni, a promuovere dinamiche relazionali inclusive? (livello individuale/prevenzione) Se mi capitasse di essere testimone diretto o indiretto di dinamiche di prepotenza on-line o off line… come potrei gestire la situazione attraverso l’esercizio dell’assertività? (livello individuale/gestione dell’emergenza). In che modo la Scuola potrebbe intervenire nella prevenzione e nel contrasto del bullismo elettronico? Come si potrebbe attrezzare ed organizzare nel caso si trovasse a dover gestire un’emergenza (ad esempio un episodio di cyberbullismo)?
Quali comportamenti e misure preventive potrebbe mettere in atto? (livello istituzionale/gestione dell’emergenza e prevenzione). Queste considerazioni rimandano, da un lato, alla necessità di sensibilizzare e di coinvolgere tutte le figure che ruotano intorno alla scuola: non solo gli alunni e gli insegnanti, ma anche gli ausiliari i tecnici e se possibile i genitori (Olweus, 1996), dall’altro di mettere in conto dei tempi formativi congrui agli obiettivi proposti. Promuovere e migliorare la qualità delle relazioni é un lavoro che richiede tempo, disponibilità e molto addestramento.
7.3.Il lavoro con i genitori
Il percorso formativo pensato per i genitori, così come quello ideato per il personale scolastico dovrebbe mirare a promuovere l’acquisizione di competenze teoriche, relazionali e cooperative. Dovrebbe cioé sviluppare un livello informativo, volto allo sviluppo di conoscenze sulle diverse forme di bullismo e sull’educazione ai nuovi media e al contempo promuovere qualità relazionale nel rapporto con i figli e con la scuola, attraverso l’acquisizione di abilità socio-affettive. Tutto questo allo scopo di creare rapporti basati sulla fiducia, “riqualificare” gli adulti come adulti fidati e supportivi e costruire un lavoro di rete insieme alla scuola, capace di creare nuovi e chiari punti di riferimento nella lotta contro le forme di bullismo.
Avendo a disposizione un solo incontro di due ore é stato necessario ri-tarare i vecchi obiettivi, a questo punto troppo ambiziosi ed accontentarci di fornire una breve panoramica teorica del fenomeno e di sensibilizzare i genitori riguardo alle azioni concrete utili nel monitoraggio dell’utilizzo delle tecnologie elettroniche da parte dei figli e all’importante ruolo educativo che rivestono nell’orientarli ad un utilizzo etico (prudente per sée rispettoso degli altri) dei cosiddetti«Nuovi Media»(Nanni, 2008).Riguardo alla metodologia, momenti teorici si sono alternati a momenti di discussione partecipata, stimolata dalla visione di cortometraggi riguardanti scene di cyberbullismo. 8.Considerazioni finali
La letteratura e la ricerca hanno ormai ampiamente dimostrato (a partire dai lontani anni in cui cominciò a studiare bullismo lo stesso Olweus, fino alle ricerche più recenti)che gli interventi nelle classi da parte di esterni,se svincolati da un processo di whole school policy,non sono efficacia lungo termine. Per contrastare le diverse forme di bullismo é perciò importante considerare un percorso che sia flessibile(pronto cioé ad accogliere e a gestire le spesso accese ed impreviste dinamiche relazionali che si verificano nel qui ed ora degli incontri di formazione),a lungo termine,che coinvolga anche gli adulti e che fornisca supporto e supervisione al personale scolastico e ai genitori.Considerate le difficoltà comunicative spesso lamentate tra scuola e famiglia sarebbe interessante rivolgere il lavoro di supervisione ad un gruppo misto,che unisca entrambe le agenzie educative, allo scopo di elaborare trasversalmente le loro incomprensioni e di sviluppare il lavoro di rete.Si tratta perciò di formare ad una nuova forma menti se ad un nuovo metodo educativo,che integri gli aspetti relazionali ai contenuti, al fine di promuovere dinamiche di inclusione sociale.Concludendo, la proposta illustrata in queste pagine, sposta l’attenzione dai “fattori di rischio”alla“promozione del benessere”, sottolineando che un intervento, per avere delle chance nella lotta al contrasto del cyberbullismo(così come di tutte le forme di esclusione sociale),non può prescindere dalla dimensione relazionale che lo determina, ma deve necessariamente focalizzarsi sulle dinamiche sociali, oltre che sugli specifici aspetti di contenuto che lo differenziano dalle cosiddette “vecchie”forme di bullismo.
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