L’INTERVENTO PSICOTERAPEUTICO SECONDO IL MODELLO DELL’ANALISI BIOENERGETICA
di Maria Rita Borrello – Psicologa Psicoterapeuta
Pubblicato sul numero 24 di Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia.
Abstract: Questo articolo ripropone la sintesi di una lezione, svolta dall’Autore presso l’Istituto Gestalt Firenze (IGF), nella quale l’Autore stesso ha cercato di rendere fruibile una complessità concettuale, con l’aiuto di piccoi lavori esperenziali descritti anche nel presente articolo, con l’auspicio che il lettore abbia una visione abbastanza chiara di quella che ovviamente non può che essere una sintesi ristretta.
Dopo aver brevemente delineato le radici storiche del metodo ed i concetti chiave del lavoro corporeo, l’Autore propone all’aula un’esperienza di “grounding” (posizione Loweniana classica vista oggi anche come lavoro individuale di connessione dei livelli del Sè), seguita dalla condivisione commentata di alcuni dei vissuti. Una seconda esperienza intersoggettiva in coppia introduce poi l’illustrazione del metodo di lavoro attuale, integrato e trasformato dai contributi scientifici delle Neuroscienze, dell’Infant Reserch, della Psicologia Relazionale, dell’Approccio Intersoggettivo, ecc
Abstract: this article proposes the synthesis of a lesson, carried out by the Author at the Gestalt Institute in Florence, published by the Istituto Gestalt Firenze (IGF), in which the author has tried to realize a conceptual article situation, with the hope that the reader has a fairly clear vision of what can only be a narrow summary. After having briefly outlined the historical roots of the method and the key criteria of the body work, the Author proposes to the classroom the experience of “founding” (classical Lowenian position seen today also as an individual work of connection of the levels of the Self), after commented sharing of some of the experiences. A second inter-subjective experience in pairs then presents the illustration of the current method, integrated and transformed by the scientific contributions of Neuroscience, Infant Reserch, Relational Psychology, Intersubjective Approach, etc.
Keywords: grounding, respirazione, implicito, regolazione, finestra di tolleranza, relazione intersoggettiva, deficit, trauma.
Le radici Storiche dell’Analisi Bioenergetica
l’Analisi Bioenergetica è una psicoterapia che pone il “corpo” come il canale preferenziale dell’intervento
psicoterapeutico. Come molte delle discipline psicologiche, anch’essa discende dalla psicoanalisi del nostro
bisnonno Sigmund Freud, che già aveva intuito come lo sviluppo dell’Io sia “…innanzi tutto un Io corporeo”.
Il fermento delle idee dei suoi allievi, ed in particolare di William Reich, che potremmo definire nostro nonno, ha permesso di calare nel corpo le concettualizzazioni della mente formulate da Freud: i meccanismi di inibizione e rimozione di immagini e/o fantasie sessuali e/o aggressive sono correlati ad altrettanti meccanismi corporei di inibizione e contrazione del sistema muscolare. Reich infatti osservava nei suoi pazienti il contrarsi del corpo
nell’affrontare determinate tematiche, e da ciò iniziava a formulare il concetto di “Identità Funzionale Corpo-Mente”, superando la dualità da sempre presente:ciò che avviene a livello mentale si riflette sull’organismo somatico e viceversa.
Aderendo al “Modello pulsionale” e dunque all’energia libidica di Freud, Reich descrive il processo di creazione della “Corazza Caratteriale”: l’impulso soggettivo che si muove verso la soddisfazione di un bisogno, prendiamo ad esempio il gesto aggressivo di un bambino che vuole picchiare chi gli si oppone, si scontra contro la disapprovazione ambientale e dovrà quindi essere trattenuto. Il compito di trattenere, prima ancora di diventare una funzione psichica deputata al controllo, trova la sua attuazione nell’apparato muscolare che inibisce l’espressione del gesto indesiderabile attraverso il contrarsi dei muscoli. Il sistema tonico-muscolare reagisce con immediatezza,al servizio di unico mando energetico celebrale non propriamente consapevole; tant’è che quando l’inibizione all’espressività diventa frequente e continuativa, si struttura nel corpo un insieme di tensioni-muscolari-
croniche, che Reich ha definito appunto “corazza caratteriale”, costituita da “blocchi-energetico-muscolari”, che si distribuiscono in specifici distretti corporei, in cui viene imprigionata l’energia impiegata dall’organismo per esprimersi prima e per inibire tale espressione subito dopo.
Poiché tale meccanismo di controllo dell’azione richiederebbe un costante dispendio energetico, l’organismo ritira gran parte dell’energia impiegata, demandando alla contrazione muscolare il mantenimento della funzione inibitoria, che diventa in tal modo del tutto inconsapevole.
Così noi da adulti ci ritroviamo zone di tensione cronica, di cui ne abbiamo percezione soltanto quando accusiamo dolori o disturbi, soprattutto nelle spalle o nel distretto lombare, zone di maggior accumulo!
E veniamo al papà dell’Analisi Bioenergetica, Alexander Lowen, che riprende ed amplia i concetti di Reich: l’essere umano è visto come una “unità energetica”, descritta in termini di processi di eccitazione/attivazione. Il termine “bioenergetica” indica infatti i processi energetici del corpo vivente, mentre il termine “analisi” rimane ad indicare il lavoro psicoanalitico di analisi del profondo.
Lowen riprende il concetto di “blocco energetico” corrispondente alle contrazioni muscolari croniche e formula una “Teoria delle Strutture Caratteriali” per cui, a seconda della durata, dell’intensità e soprattutto della precocità della fase evolutiva in cui insorgono le contrazioni croniche,si sviluppano determinate “strutture caratteriali” che determinano atteggiamenti, gesti,comportamenti, attitudini, credenze, paure, inibizioni, oltre a specifici atteggiamenti posturali e strutturazioni della silhouette corporea.
Le cinque tipologie caratteriali (schizoide–orale–psicopatico–masochista–rigido) sono ampiamente descritte nei primi libri di Lowen “Il linguaggio del corpo” e “Bioenergetica” come strutture difensive inconsce che il soggetto costruisce per rispondere in modo adattivo alle richieste del mondo esterno. Leggendone le descrizioni ed i casi clinici, ciascuno di noi può riconoscersi o ritrovare parti della propria storia personale poiché, come Lowen asseriva, ciascuno di noi ha subìto ferite riguardanti le medesime fasi di sviluppo e dunque sono presenti in ciascuno di noi i tratti di ciascuna tipologia caratteriale, sebbene generalmente ve ne sia una prevalente.
Nella terminologia attuale, potremmo definire la “struttura caratteriale” l’adozione di determinate configurazioni senso-motorie-affettive intellettive e la rinuncia ad altrettante sequenze affettivo-motorie che, se fossero agite, minaccerebbero la sopravvivenza del bambino o che rappresenterebbero comunque un pericolo nella situazione familiare inconsapevolmente carente o frustrante.
Nelle descrizioni di Lowen troviamo “Il nostro carattere plasma il nostro corpo, determina il modo di camminare, di sederci, di guardare, di sorridere, di parlare, di interagire con noi stessi e con gli altri …. creando una specifica “chiave di lettura” della realtà, costante ed immutata per il resto della vita”.
Citando anche James Hillman “Il Carattere è andato plasmando la nostra faccia, le nostre abitudini, le nostre amicizie, ….influisce sul nostro modo di dare e ricevere, ….sui nostri amori e sui nostri figli. Torna a casa con noi la sera e può tenerci svegli a lungo la notte”. Ad esempio, un bambino che si struttura in un modo di essere “timido e schivo” tenderà a diventare un adulto gentile e timoroso, a mantenere l’iniziale imprinting.
In passato, noi analisti bioenergetici utilizzavamo, e lo insegnavamo ai nostri allievi dei Corsi di Formazione, uno strumento tipico del Modello Classico chiamato “lettura del corpo”, che consiste nell’osservare la silhouette corporea del paziente per riconoscerne la mappatura dei blocchi energetico-muscolari, al fine di risalire
alla struttura caratteriale prevalente, ed ai tratti caratteriali salienti, e formulare così una “diagnosi” che desse indicazioni di intervento.
Oggi questa “lettura” è in gran parte abbandonata poiché è cambiato l’approccio terapeutico, come dirò meglio in seguito, le strutture caratteriali sono meno significative e non si lavora più “sul” paziente, l’approccio piramidale dove la figura preminente di colui che “sa” (il terapeuta) si impone sul paziente (che “resiste” se non accetta l’intervento), viene superato da un sistema relazionale in cui si lavora insieme, “con” il paziente, in una relazione terapeutica circolare, co-creata da entrambi le figure in gioco, in un incontro vero e reale.
Rimane tuttavia l’osservazione di come la persona respira! La respirazione rimane un punto chiave dell’Analisi Bioenergetica, è indice dell’organizzazione emozionale dell’individuo: difronte ad un respiro superficiale, con scarsa escursione toracica, possiamo ipotizzare che l’individuo sia poco orientato verso l’esterno, magari sfiduciato, spaventato, depresso, terrorizzato… ! oppure, al contrario, un respiro trattenuto in una gabbia toracica ipertrofica può darci indicazioni su atteggiamenti difensivi di arroganza, e così via. L’intervento del terapeuta, ad ogni modo, non è quello di comunicare direttamente le proprie osservazioni-interpretazioni, bensì quello di “esplorare”, invitando a portare l’attenzione del paziente sul proprio modo di respirare, proponendogli magari una modulazione diversa e chiedendogli se ci siano sensazioni differenti, consapevolezze corporee o magari risonanze
emotive, significati o ricordi che fanno parte del proprio essere. Ampliare la respirazione ha un effetto potentissimo nel far emergere emozioni “rimosse”.
Chi di noi non ha fatto l’esperienza di un respiro che si blocca di fronte ad un evento spaventoso?
La respirazione è il meccanismo che ci consente di vivere, è l’apporto di ossigeno, che insieme al cibo costituiscono l’ energia vitale irrinunciabile, ma ciò di cui siamo meno consapevoli è di quanto tutti noi utilizziamo la modulazione del respiro, l’entrata-uscita dell’aria nei polmoni, per controllare gli stati emotivi intollerabili, come paura, dolore, rabbia, spavento, stanchezza, noia, ecc.
Tant’è che quando chiediamo di approfondire il respiro, molto spesso il paziente non ci riesce! C’è un “blocco” appunto, una difesa corporea. Perché?
Scatta immediatamente una sensazione di pericolo, non consapevolizzata ma avvertita a livello corporeo, dell’emergere e dell’essere travolti da quelle emozioni indesiderate da sempre trattenute!
Adesso qui noi stiamo parlando di meccanismi corporei, stiamo utilizzando cioè una comprensione semantica, logica, verbale, ma per quanto possiamo essere dettagliati non arriveremmo mai a comprendere pienamente una dimensione che necessita di un altro tipo di conoscenza: quella definita da Daniel Stern “conoscenza implicita”, fatta di movimenti, gesti, sensazioni, e di tutto ciò che rientra nella sfera del non-verbale.
Per questo ho pensato di proporre all’aula dei piccoli lavori esperienziali di base della bioenergetica, che richiedono di mettersi in gioco personalmente e sperimentare cosa significa l’attivazione della “memoria procedurale”, quel tipo di memoria arcaica pre-verbale, che precede la memoria semantica e che sembra appartenere all’emisfero del cervello destro, già operante nell’utero materno, in cui sono registrate sensazioni, suoni, sguardi, percezioni, ecc.
É una memoria non riattivabile, se non attraverso esperienze non-verbali.
Per noi significa accedere innanzi tutto alla consapevolezza di parti del Sé molto arcaiche, da riconoscere e tradurre in un significato più profondo dei nostri vissuti e della nostra storia. È un tesoro nascosto!
Esperienza di grounding: connessione con i propri livelli del sé.
Invito tutti ad alzarsi dai propri posti, e quel che propongo è un’esperienza di “grounding”;
una postura corporea ideata da Lowen che prevede la posizione eretta del corpo, con le gambe distanziate l’una dall’altra in una misura uguale a quella del bacino, i piedi paralleli e ben poggiati sul pavimento, magari senza scarpe per essere maggiormente a contatto con il terreno.
Le ginocchia sono leggermente flesse, per permettere la circolazione energetica senza incontrare blocchi o contrazioni nei glutei o nelle pelvi. Il bacino viene allineato rilasciando appunto i glutei, ed anche le spalle vengono rilasciale. É una posizione che mette un pò sotto stress i quadricipiti mentre cominciamo a percepire che il peso del corpo scende verso il basso e si poggia su tutta la pianta dei piedi. Traducendo questa postura in termini psico-emotivi, il grounding rappresenta la possibilità di trovare appoggio-sostegno in punti di riferimento stabili: all’esterno il riferimento stabile è la terra, all’interno di noi è la realtà del nostro proprio corpo, la percezione propriocettiva di come i piedi si affidino al terreno. L’attenzione alla sensazione del presente “qui ed ora” riporta
immediatamente ad una realtà vera-concreta, rispetto a quel “perdersi” mentale delle sensazioni di ansia e preoccupazione.
Proviamo anche a lasciare la bocca socchiusa, lasciando andare la mandibola, e ad approfondire la respirazione,inspiriamo con il naso e lasciamo uscire l’aria dalla bocca.
Magari emettendo un suono…. che effetto mi fa la mia voce?… e sentire la voce degli altri? Registriamo le sensazioni e proviamo ancora a “stare”, a percepire che abbiamo un peso, una presenza, una realtà “qui ed ora” che è la sintesi di tutta la nostra storia di vita …. e sentiamo quanto ci permettiamo di appoggiarci sul pavimento oppure se tendiamo a restare “tenuti su” nelle spalle, nella testa, nei pensieri…e se l’appoggio è su tutta la pianta dei piedi o maggiormente sui talloni, oppure sugli avampiedi ….E le ginocchia come stanno? Abbiamo assunto una postura rigida ed immobile o riusciamo a tenerla in modo flessibile? Le ginocchia rappresentano degli ammortizzatori, quando si corre o si salta, è compito loro attutire il colpo nell’atterrare…. la stessa funzione ce l’hanno anche sul piano emozionale, rispetto ai colpi che la vita ci riserva!
Ed ora, continuando a stare in grounding, proviamo a chiudere gli occhi isolandoci dall’esterno per poterci concentrare maggiormente sulle sensazioni interne, sempre che sia possibile lasciar andare il controllo visivo! Che effetto mi fa? Affinché le sensazioni possano emergere occorre tempo e spazio… sono già passati una decina di minuti, possiamo scuotere le gambe e scaricare le tensioni, se sentiamo stanchezza, e poi riprendere la postura del grounding e “stare” in ascolto….Possiamo anche provare a spostare, molto lentamente, il peso del corpo prima su un piede e poi sull’altro…. sempre respirando! Ci accorgiamo che non appena abbiamo un compito nuovo tendiamo a trattenere il respiro?! Che sensazione abbiamo della nostra energia? Ci sentiamo attivati o ipoattivati, o addirittura immobili? Possiamo provare ad aumentare la carica energetica attraverso un movimento più intenso, premendo maggiormente i piedi a terra, con un passaggio da un piede all’altro più veloce….aumentando il tono di voce ….. e registriamo sempre dentro di noi ciò che stiamo provando….Questi semplici movimenti ci stanno permettendo l’esplorazione del nostro livello energetico, stanno affiorando delle sensazioni, la dimensione tonico-muscolare … e adesso proviamo anche ad integrare il livello emozionale: c’è una sensazione di piacevolezza o spiacevolezza che corrisponde ad una tonalità emotiva all’interno di me…..? è una risonanza che si manifesta con un colore…un’immagine…. un ricordo…? lasciamo che emerga, qualunque cosa sia! Non la giudichiamo o pilotiamo, lasciamo che emerga spontaneamente …. e proviamo a tradurla in una semplice, piccola, parola….. lasciamo che affiori…E se non c’è non importa, non cerchiamola per forza! Concediamoci ancora il tempo per registrare dentro di noi questo piccolo percorso…. e poi, quando siamo pronti, piano piano riapriamo gli occhi e torniamo nella realtà di quest’aula.
La condivisione in aula di alcuni vissuti dei partecipanti è molto importante,sebbene diversa dall’ambito terapeutico dove lo scambio verbale costituisce la fase di riflessione ed elaborazione che permette di dare senso e significato soggettivo al lavoro corporeo. In questa occasione è la possibilità di avere una maggior e consapevolezza di sé, ad esempio qualcuno ha riportato la propria impossibilità a non-adeguarsi al ritmo degli altri, sono emerse sentimenti di rabbia e di vuoto, in alcuni casi ci sono state sensazioni di sorpresa e di scoperta, ed è potuta emergere anche un’emozione sociale molto frequente nei nostri studi: la vergogna.
Quando lavoriamo con il corpo, è facile scendere in parti di sé profonde ed intime, spesso inaccettabili, ed è immediata la sensazione di sentirsi esposti a se stessi e agli altri, reali o fantasmatici che siano, quindi è naturale il riemergere di quel senso di inadeguatezza che pensavamo di aver superato: la vergogna.
Esperienza di lavoro sulla relazione interpersonale
Dopo il feedback di questo primo lavoro, chiedo ai presenti di scegliersi per formare delle coppie di lavoro. Di nuovo in posizione di grounding ma stavolta l’uno di fronte all’altro.
Prima di iniziare il lavoro relazionale, chiedo loro di recuperare una connessione con se stessi attraverso il proprio corpo, magari ad occhi chiusi e respirando in profondità.
Poi piano piano proviamo a riaprire gli occhi e guardare la persona che abbiamo di fronte…e restare in contatto visivo…. verificare all’interno di sé, se il respiro cambia e se ci sono reazioni corporee…. “stare” in contatto visivo con l’altro e con se stessi…. stiamo guardando l’altro ma lo stiamo “vedendo”?…….e l’altro ci guarda ma ci sta “vedendo”….? Lentamente facciamo entrambi un passo indietro allontanandoci dal partner… prendiamo un pò più di spazio…. questa maggiore distanza ci fa sentire meglio o peggio…..? Ci fa sentire più al sicuro ….. oppure ci sembra un distacco, una freddezza….? lasciamo che sia il corpo a darci qualche segnale, limitiamoci a percepire differenti sensazioni …..Proviamo ancora a fare qualche respiro più profondo …… non restiamo immobili …..possiamo scuotere le gambe e portare di nuovo l’attenzione su noi stessi chiudendo gli occhi, in modo che il nostro partner rimanga sullo sfondo della nostra attenzione….soprattutto se lo sguardo dell’altro ci ha fatto perdere la connessione con noi stessi.
Quando sentiamo di aver ritrovato la centratura, riapriamo gli occhi e ritroviamo lo sguardo del nostro partner…. e lentamente proviamo a riavvicinarci di un passo…. e poi ci avviciniamo ancora facendo un altro passo …. La distanza adesso è molto più ravvicinata….che effetto ci fa? …..È più tranquillizzante o più inquietante … o più imbarazzante ….? Siamo in grado di “stare” o vorremmo scappare ….? Piacevole o spiacevole….? E poi, lentamente, cominciamo a mettere nella coppia quella “distanza giusta” condivisa con il partner …. e proviamo a registrare come il corpo reagisce a queste stimolazioni…..E se stare nello sguardo è “troppo” intenso per noi ….. possiamo chiudere gli occhi quando sentiamo che è “troppo” …ed anche che effetto fa a me se il partner chiude gli occhi ed
interrompe in contatto visivo…? E adesso proviamo a vedere che succede nel decidere alternativamente quando e per quanto tempo il partner debba chiudere o aprire gli occhi: per alcuni minuti chi della diade prende il ruolo decisionale pronuncia due semplici comandi, “apri!” e “chiudi!”….il partner esegue rispettando il ritmo, i tempi, le pause dettate dall’altro.(Dopo qualche minuto i ruoli vengono scambiati permettendosi in tal modo l’esperienza complementare.) Terminate queste fasi, proviamo ancora a guardare il nostro partner mettendo le mani davanti al viso in modo da guardare l’altro attraverso lo schermo delle proprie dita…. ed ancora registriamo dentro di noi che effetto ci fa ….? Infine lasciamo scendere le mani e concludiamo questa esperienza trovando un modo di salutare il partner.
Anche per questa seconda esperienza lasciamo lo spazio affinché chi vuole possa condividere il proprio vissuto, ed emergono sensazioni diverse: alcuni si sentono più rilassatati quando il partner tiene gli occhi chiusi, altri invece come abbandonati. Emergono anche la voglia di scappar via dalla situazione e quella di voler avere il
controllo, e poi la difficoltà di “stare” senza fare nulla! In ogni caso, e questo è anche l’obiettivo terapeutico, ci si è dati la possibilità di scoprire qualcosa di se stessi mentre si era in contatto con l’altro. L’aspetto relazionale caratterizza oggi la maggior parte degli interventi terapeutici: diventare consapevoli della propria dimensione implicita, durante l’incontro interpersonale, può essere utile nella vita quotidiana, nelle relazioni con gli altri, mentre all’interno del setting terapeutico diventa quello “spazio protetto” dove poter contattare e condividere risonanze emotive e ricordi del proprio passato, dove poter riconoscere dinamiche inter-soggettive già note o ancora sconosciute, e dove apportare piccole trasformazioni al proprio modo di essere, verificando, nell’agire consapevole, la possibilità di altre strade da percorrere.
La teoria nell’evoluzione dell’Analisi Bioenergetica
(fig.1)
I palloncini colorati della (fig.1) stanno ad indicare come Corpo ed Emozioni siano sempre di più al centro di studi e ricerche, apportando valore, scientificità, spesso anche maggiore comprensione. Qui sono messi in risalto alcuni dei contributi che l’Analisi Bioenergetica ha fatto suoi. Riprendendo il discorso, abbiamo visto già come Reich e Lowen abbiano spostato il focus dell’intervento dalle tecniche verbali di Freud (libere associazioni–analisi dei sogni–interpretazioni) al mondo del non-verbale: dal “perché” al “come”. L’attualità di questo “come” viene oggi valorizzato nella definizione della “Conoscenza Implicita”: postura, sguardo, gestualità, vivacità di movimento, respiro, mimica del volto, tonalità della voce, ritmi, pause, ecc.,fanno parte di un linguaggio specifico, corporeo-non-verbale-relazionale, precedente e altrettanto significativo rispetto al linguaggio semantico. Sebbene la dimensione corporea sia sempre fortemente presente in ogni relazione interpersonale, ancora oggi, nelle psicoterapie verbali rimane alla periferia dell’attenzione o completamente fuori coscienza! Tuttavia, già circa 15 anni fa, al Congresso Internazionale di Analisi Bioenergetica tenutosi a Belgirate (Lago Maggiore), Daniel Stern riportava le osservazioni fatte insieme al Gruppo di Studio di Boston, rispetto al cosa dell’azione terapeutica conducesse al processo di cambiamento:“… così come i processi di mutua regolazione che si realizzano ad un livello implicito nel sistema madre-bambino, anche nella relazione terapeutica i processi di cambiamento si sviluppano sulle dinamiche che avvengono a livello non-verbale.” Le osservazioni di D. Stern cambiano la prospettiva dell’intervento: è la “mutua regolazione” che avviene “a livello non verbale”. Ciò significa che il compito di dover produrre un cambiamento non è più deputato al terapeuta, unico detentore del sapere, che lo applica lavorando “sul” paziente, come sopra già accennato, bensì alla “relazione mutua” tra due persone che si incontrano: un rapporto circolare in cui si lavora “con” il paziente. Sicuramente, come nella diade madre-bambino, la relazione rimane asimmetrica ed il terapeuta deve mantenere quella “funzione terapeutica” di accoglienza priva di giudizio che può porre le basi per co-creare con il paziente una relazione affettiva, analoga al sistema madre-bebè. In altri termini, oltre alla formazione ed alla competenza, il terapeuta deve sviluppare quelle qualità umane essenziali per arrivare a costruire un nuovo “legame di attaccamento” che possa riparare o ri-costruire, insieme al paziente, quelle parti del Sé deficitario frutto del “legame di attaccamento” originario con la figura di accudimento. Le scoperte di John Bowlby, e di contributi dei suoi successori, sono stati rivoluzionari: con Freud si credeva ci fosse un unico istinto innato, quello sessuale, quindi il bisogno di contatto subordinato a quello sessuale di riproduzione della specie , mentre con Bowlby si riconosce nell’istinto di attaccamento un sistema motivazionale separato dalla sessualità, trattandosi di una innata pulsione che spinge il neonato a ristabilire con la mamma la perduta connessione dell’interno dell’utero. Presente fin dalla nascita, è la possibilità di creare con la figura di accudimento quel“legame” simbiotico da cui dipende il completamento della sua maturazione psico-fisica. Vediamo quindi come il modello intrapsichico della “pulsione sessuale ” di Freud (mantenuto da Reich e Lowen)viene superato da tale “prospettiva relazionale”: lo sviluppo psico-del bambino è il risultato di interazioni familiari, un adattamento reciproco all’interno di relazioni circolari che possono non essere del tutto funzionali allo sviluppo armonico del piccolo. Winnicott parla di funzioni materne “sufficientemente buone” per creare uno stile di attaccamento “sicuro”, ma ciò che sempre più spesso vediamo nei nostri studi ci rivela che qualcosa, in quegli stadi di sviluppo, non ha funzionato come doveva, ed ha prodotto mancanze, deficit, o addirittura traumi che permangono nell’adulto e sono responsabili di determinati disturbi psicopatologici. Il bambino dunque alla nascita non è quella “tabula rasa” descritta all’inizio del secolo scorso, ma ha potenzialità e competenze sociali in grado di recepire e rispondere alle sollecitazioni esterne, una reciprocità che gli permette di collaborare fattivamente alla costruzione del legame con la figura di accudimento, la quale, sensibile ai continui messaggi di feedback, impara a muoversi su i ritmi del piccolo, intenzionata a capirlo, a contenerlo, a regolarlo nelle sue espressioni, a stimolarlo nella crescita.Il tutto in un clima affettivo di amore, accoglienza e rispetto, disponibile a ricevere da l bebè altrettante risposte affettive, positive o negative che siano. Anche le risposte negative, che potrebbero sembrare una “rottura” del legame, in realtà rappresentano, se non quantitativamente preminenti, occasioni importanti per la funzione di differenziazione intersoggettiva, e per un processo evolutivo altrettanto importante: la “riparazione”. Stiamo qui parlando dei risultati di accurati studi condotti dall’Infant Research e successivamente estesi alle relazioni inter-soggettive terapeuta-paziente (Beebe e Lackman). Dall’osservazione di video-registrazioni delle sequenze interattive effettuate su madri in contatto con i propri neonati, sono state rilevati parecchi processi interazionali costitutivi delle comunicazioni senso-motorie affettive precoci, alla base del legame di attaccamento, e sono state individuate quelle funzioni necessarie ed ottimali non solo per un sano sviluppo psico-affettivo del bambino, ma anche per una sana relazione interpersonale degli adulti. Gli stessi “principi salienti” dello scambio madre-bebè sono dunque alla base di una relazione terapeuta-paziente “sufficientemente buona”: intenzionalità, sincronizzazione, sintonizzazione, regolazione, contenimento, stimolazione, rottura e riparazione. Sono principi essenziali per affrontare le sofferenze psichiche che, oggi si comprende, derivano da patologie del “legame”:disturbi dell’Identità, profonde ferite al “senso di sé”, narcisismo, difficoltà a creare e mantenere relazioni stabili, traumi.
La “costruzione del Sè”
come illustrato nella (fig.2), la “Costruzione del Sé” è, secondo Guy Tonella (Trainer internazionale dell’IIBA e docente dei corsi di formazione della Scuola quadriennale IIFAB) un processo evolutivo di sviluppo e di interconnessione di vari livelli del sé, dal più indifferenziato “livello energetico-metabolico”,
presente già prima della nascita e costitutivo dell’essenza vitale dell’organismo, fino ad arrivare allo sviluppo della funzione più “alta”, il livello rappresentativo-intellettivo dell’astrazione mentale. Integrando le conoscenze della psicologia, della fisiologia, della biologia, della Teoria delle Relazioni Oggettuali, con quelle dell’Analisi Bioenergetica, Guy Tonella concepisce il processo della “Costruzione del Sé” come lo sviluppo di funzioni, ad ogni tappa evolutiva sempre più complesse, che si poggiano e si integrano sulle funzioni del livello precedente, nel rispetto della maturità biologica e fisiologica delle strutture che sottendono ogni funzione. Il completamento di questo processo avviene intorno ai due anni, età in cui si comincia a parlare di “Io”. Vediamo brevemente in dettaglio questi livelli funzionali:
il “livello energetico”:è costituito dall’energia vitale del neonato, dal movimento pulsativo di oscillazione tra contrazione ed espansione, attivazione e riposo, carica e scarica, in risposta a stimoli interni-metabolici (fame-sonno-ecc) e stimoli esterni ambientali-relazionali); è un’energia che deve essere regolata nelle polarità di attivazione-disattivazione, nel rispetto dei ritmi fisiologici;
il “livello sensoriale” che si avvale delle percezioni via via più differenziate del sistema esterocettivo (gli organi di senso: vista-udito-tatto-gusto-odorato), delle funzioni propriocettive (informazioni dell’apparato muscolare) e del sistema interocettivo (organi interni);
il “livello tonico-muscolare”, già messo in luce dal modello classico, che oltre a consentire la postura, il movimento e l’azione dell’organismo nell’ambiente, permette di modulare, contenere, trattenere o esprimere emozioni;
il “livello emozionale”, la gamma emotiva e affettiva dell’organismo che si amplia, partendo dalle primarie sensazioni di piacere-dispiacere, all’interno degli scambi comunicativi significativi sulla base dei quali comincia a formarsi il pensiero, dapprima concreto, poi immaginativo ed infine astratto;
la “funzione mentale-rappresentativa-è quella propria dell’Io-mentale capace di pensare, riflettere, immaginare, fantasticare, mentalizzare, simbolizzare, astrarre, ideare, ecc. Le prime simbolizzazioni che il bambino
attua cominciano con «Parole-Chiave» legate ad oggetti concreti, dalle quali possono poi sorgere «Immagini e Metafore» del mondo reale o fantasticato, ancora profondamente immerse nell’atmosfera emozionale, ed infine il «Pensiero Astratto», più simbolico, logico e razionale. Parlavamo prima del “Legame di attaccamento” e
qui, ora, possiamo vedere nello specifico come questo processo di “costruzione del sé” possa realizzarsi solo all’interno di un rapporto affettivo, presente e costante, che consenta lo sviluppo psico-fisco che il bambino non potrebbe fare da solo. È la figura di accudimento ad avere le funzioni di regolazione,contenimento, stimolazione, insegnamento…. fintanto che il bambino non arrivi ad interiorizzarle permettendosi una autonomia auto-regolatrice. Come già detto, se qualcosa nel sistema madre-bambino non funziona in maniera “sufficientemente buona”, possono verificarsi dis-regolazioni, mancate integrazioni, scissioni e dissociazioni. In questi termini parliamo oggi di “traumi di sviluppo”, diversi dagli episodi traumatici situazionali che possono anch’essi causare gravi danni. In entrambi i casi l’intervento terapeutico deve essere delicato e competente: occorre costruire ciò che non è stato a suo tempo costruito oppure ri-costruire ciò che l’evento traumatico ha distrutto.
Prima di concludere con le modalità di lavoro bioenergetico attuale, vorrei prima accennare anche ad alcuni contributi delle Neuroscienze che danno maggior valore scientifico ai costrutti dell’Analisi Bioenergetica e della Psicologia in generale, ad esempio:
la funzione dei “Neuroni-specchio” (Gallese): particolari neuroni motori presenti nella corteccia prefrontale che, riproducendo micromovimenti delle azioni osservate, permettono la comprensione empatica e la possibilità di imparare tramite “imitazione”, meccanismo preminente nel bambino che appartiene al linguaggio del corpo;
l’importanza dell’ Emisfero Destro (Allan Schore):funzionante già alla nascitae deputato alla comprensione del linguaggio implicito, il cervello destro sembra essere la sede della memoria procedurale e dei processi senso-motori-emozionali, ed è prevalente nei primi due anni di età, fintanto che il cervello sinistro, deputato alla
comprensione logico-razionale e sede della memoria semantica, non abbia completato il suo sviluppo;
il concetto di “finestra di tolleranza” (Daniel Siegel): è la capacità di contenimento, di tolleranza, di possibile regolazione emotiva di stimoli provenienti dall’interno o dall’esterno. È uno spazio soggettivo e variabile….“Ciascuno di noi ha una “finestra di tolleranza” in cui stimoli emotivi di varia intensità possono essere elaborati senza che il funzionamento della mente venga compromesso. I limiti della “finestra di tolleranza” possono variare molto, possono dipendere dallo stato della mente in un dato momento, da una particolare valenza emotiva e dal contesto sociale in cui l’emozione è stata generata….All’interno dei limiti della “finestra di tolleranza” la mente continua a funzionare bene, fuori dai limiti le funzioni della mente possono essere indebolite o menomate …. In queste condizioni le funzioni cognitive più elevate del pensiero astratto sono ridotte al minimo o compromesse…..La mente entra in una organizzazione sub-ottimale. Questo adesso è uno stato emotivo dis-regolato.”
la “teoria polivagale” del Sistema Nervoso Autonomo di Stephen Porges: è una recentissima teoria, rivoluzionaria rispetto alle conoscenze del funzionamento del S.N.A.: in precedenza si supponeva che, in situazioni di pericolo, il sistema simpatico ed il parasimpatico avessero funzioni contrapposte, il Simpatico-Attivante
(reazione di attacco-fuga) ed il Parasimpatico-Inibitorio (risposta di immobilità). Porge si individua l’esistenza di due rami del sistema Parasimpatico: il nervo vago-dorsale che, di fronte al pericolo-minaccia, svolge la già nota funzione inibente di immobilità-paralisi, mentre un secondo ramo, il vago-ventrale, che svolge funzioni di richiamo sociale dell’individuo verso i membri del gruppo che possono aiutarlo, calmandosi e tranquillizzandosi nell’affidarsi al loro intervento.
Come risulta più in evidente nello schema della (fig.3), l’equilibrio psico-fisiologico risiede in una “zona di attivazione ottimale” corrispondente all’equilibrio omeostatico della fisiologia, ma anche alla sopra citata “finestra di tolleranza” di D. Siegel.
La “Teoria polivagale” ci permette di comprendere con maggiore chiarezza un meccanismo osservato nelle persone traumatizzate: apparentemente calme, a volte immobili e definibili come cronicamente “ipo-attivate”, sono al loro interno costantemente in un sistema di all’erta, di iper-attivazione simpatica, che le rende estremamente attente al pericolo (reale o fantasmatico) e dunque iper-controllate. Succede a volte che una situazione apparentemente innocua venga da loro vissuta con una risonanza emozionale eccessiva, al di fuori della “finestra di tolleranza”, tanto da provocare anche crisi di ansia e di terrore.
Anche con i migliori intenti terapeutici quindi potrebbe succedere; ad un terapeuta inesperto, che un intervento solleciti eccessivamente la tolleranza emozionale del paziente, travalicando i limiti della “finestra di tolleranza” e provocando una ri-traumatizzazione!
L’applicazione delle conoscenze teoriche alla clinica
La domanda di intervento richiede una attenta valutazione del quadro patologico, dietro una problematica apparentemente conflittuale o sessuale possono celarsi disturbi, deficit, traumi, disregolazione che richiedono un agire terapeutico molto diverso dell’approccio classico dell’Analisi Bioenergetica: non si tratta più di “analizzare” e interpretare i tratti caratteriali della persona, nè di arrivare a quella libertà di espressione emozionale che sembrava essere l’obiettivo preminente del modello Loweniano.
Con sempre maggiore attenzione dobbiamo osservare, nell’adulto che viene in terapia, se ci sono segnali di danni pre-verbali e quanto, da bambino, non abbia avuto le opportunità per sviluppare quelle potenzialità personali e relazionali che possano renderlo un adulto “sano”.
Molte delle dinamiche familiari infatti costituiscono dei veri e propri “traumi continuativi” ai quali, in tutti i casi, anche il bambino molto piccolo cerca di adattarsi, a volte con difese arcaiche quali appunto la dissociazione e la scissione. Quando arriva in terapia, è un adulto che all’interno di sè nasconde l’aspettativa di essere visto, capito, guidato, amato!
Sono tematiche pre-verbali che richiedono, oltre alle competenze specifiche, anche una presenza emozionale del terapeuta, una disponibilità umana e affettiva a mettersi in gioco autenticamente, senza trincerarsi dietro a un ruolo, un “saper essere” che sappia creare quella relazione inter-soggettiva “qui ed ora” in grado di aiutare la persona a costruire o ri-costruire l’integrità del Sè…..”ora per allora”.
“Il danno è stato creato da una relazione affettiva disfunzionale e solo una nuova relazione di attaccamento più sana può ripararlo” (G. Tonella).
La modalità corporea della psicoterapia bioenergetica può essere considerata una esperienza sensomotoria-emotiva-riflessiva di “Costruzione del Sé”.
Anziché il processo “Top-down” delle terapie verbali, che partono cioè dal controllo mentale-riflessivo sugli impulsi del corpo, con l’Analisi Bioenergetica il principio fondamentale rimane l’attivazione di un processo “Bottom-up”: dal basso verso l’alto, dagli impulsi senso-motori del corpo all’attività della mente.
È dalla consapevolezza di tensioni e sensazioni che può emergere il significato della storia passata, non il contrario! Terapeuta e paziente, insieme, vanno ad esplorare nel mondo delle sensazioni, delle emozioni, dei significati, il cambiamento ne diventa una conseguenza: dare “senso” e “significato” ad una esperienza significa poter connettere, integrare, trasformare, costruire: a poco a poco l’integrazione avviene non solo a ripristinare l’unità corpo-mente, ma anche a livello neuronale si sviluppano connessioni sinaptiche tra aree del cervello differenziate, “ponti” che possono costruirsi tra cervello sinistro e cervello destro, inter-connessioni tra strutture superiori ed inferiori. Vorrei concludere con una citazione di T. Ogden “Il paziente ha molte sensazioni ma spesso non ha ancora una “voce” per definirle ed esprimerle ….il terapeuta può essere visto come un animatore delle esperienze ancora mute dell’altro”
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