Quantità e qualità nella psicoterapia
Istituto Gestalt Firenze
di G. Paolo Quattrini
Direttore Scientifico Istituto Gestalt Firenze
Pubblicato sul Numero 38-39 di Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia
L’importanza del sentire
Per gli esseri umani ci sono delle chiavi per comprendere il mondo e orientarsi nella vita: una si chiama sentire e una si chiama pensare1. La cosa importante da tenere presente è che temporalmente prima viene il sentire e poi il pensare, cioè per orientarsi bisogna pensare su quello che si sente. Si sente quello che appare nei sensi, e si pensa quello che potrebbe significare quello che si sente, ma che non è detto che lo significhi davvero: cioè il sentire è certo, il pensare è nel migliore dei casi plausibile. Se si prende un mattone in testa e si sente male, è certo, non è solo una possibilità: mentre se ci si mette lì a farsi domande si entra nelle infinite eventualità del pensiero “cosa sarà successo? qualcuno ce l’ha con me?!”, oppure “è caduto un mattone, e per caso è caduto in testa a me” e via dicendo. Cioè il pensare al massimo è plausibile, ma non si può mai sapere se è certo. Il pensare è fatto di relazioni possibili, mentre il sentire è lo strumento animale della sopravvivenza: se senti male, non c’è niente che ti può convincere che hai sentito bene (e se per caso ti fai convincere, allora vuol dire che sei pronto per il manicomio!).
Se si sente male bisogna entrare in una logica di difesa, e se si dice “no, forse non ho sentito male” poi chissà dove si va a finire: possiamo dire che il sentire è “oggettivo” dal punto di vista del soggetto che ha sentito. Così ognuno è l’unico responsabile di se stesso: se dico “non ho fame” e poi avevo bisogno di mangiare, peggio per me. Il proprio sentire va preso responsabilmente: non mi piace, non sono contento ecc. è soggettivo, ma la soggettività è quella che ripara dal disastro. Se non ci si assume il peso della soggettività si è esposti a un mondo dove non si sa mai cosa bisogna fare, perseguendo la soggettività magari si va all’inferno, ma al proprio inferno, non quello di qualcun altro. Se si segue quello che si pensa che sia giusto buono e bello, novanta su cento si va dove ci hanno insegnato ad andare, che è l’inferno di altri: se invece si ascolta quello che si sente, si va a finire dove responsabilmente si indirizza il proprio cammino. Magari si finisce in una palude, però è la propria palude, e se è lì che si vuole andare, è inutile che si vada da un’altra parte.
Nella tradizione cristiana si dovrebbe andare verso il paradiso, ma il paradiso non è mica quello che dice il sacerdote, è qualcosa che bisogna intuire: mentre il sacerdote dà delle regole oggettive, il paradiso, mettiamo che esista, sicuramente non ha niente di oggettivo, è qualcosa che va percepito e per arrivarci bisogna indirizzarcisi perché si percepisce come un posto dove si vuole andare2. Neanche l’inferno ha niente di oggettivo, e Ratzinger dice (ed essendo un teologo e anche un papa, gli si può credere) che la vita dopo la morte praticamente è un’idea da curati di campagna: nessuno sa cosa c’è dopo la morte, si sa solo che si va nello sconosciuto totale3. Questa è la cosa importante, perché allora l’unica cosa che regge è la responsabilità, che ha necessità del sentire: si va dove si decide a proprio rischio e pericolo di andare, perché dove si arriva bisogna poi stare!
L’indeterminazione del pensare
Per evitare di finire male si segue una tradizione, in genere religiosa: ma qualunque tradizione religiosa presa alla lettera non ha né capo né coda… è nata nel lontano passato, e il senso delle parole col tempo si trasforma, è improbabile usarla direttamente come indicazione per andare da qualche parte, bisogna per forza trasformarla in qualcosa che viene da dentro. Questo significa assumersi la responsabilità di quel cammino: senza questo si va a finire dove altri hanno detto di andare, e questa non è una prospettiva molto rassicurante. Il pensiero connette concettualmente, ed è per questo approssimativo: la cosa può essere così ma può essere anche cosà. Seguendolo ciecamente4 si trova solo la propria illusione, quello che ci si illude che ci sia perché la propria ideologia ha detto che è così.
Guardando la storia, si vede quanta gente si è fatta ammazzare per un’idea, per esempio per l’unità d’Italia: dopo tanto tempo chi si è fatto ammazzare per questo non appare un eroe, ma un ingenuo. Pol Pot, da parte sua, non pare che fosse mosso da istanze egocentriche, e sicuramente aveva un’idea politica serissima: purtroppo per questa idea ha massacrato metà del suo popolo. La sua idea era che essendo la popolazione cambogiana agricola, lo sviluppo doveva essere centrato sulla vita agricola, altrimenti tutto finiva nelle mani del capitalismo internazionale, e per evitare questo svuotò le città. Teoricamente aveva anche ragione, oggi le città si sono ripopolate e non sono un bello spettacolo, ma non si può mica massacrare mezza nazione solo perché si ha ragione! Se avesse ascoltato non solo il suo pensare ma anche il suo sentire, si sarebbe reso conto che era folle spostare nel mezzo della campagna gente che da generazioni viveva in città, che infatti per la strada è morta di fame, di stenti e poi anche di torture5, perché ubbidiva a un governo ma non condivideva per niente la sua politica. L’idea era buona, perché la Cambogia è una nazione agricola, e infatti come tale è ancora una meraviglia mentre le sue città sono luoghi di miseria senza scampo: ma Pol Pot ha fatto morire un milione e mezzo di persone per quest’idea! E nemmeno le ha fatte morire trascinandole in una guerra più o meno insensata, ma le ha massacrate con il suo potere politico solo perché ha pensato che era meglio fare così.
Evocativo e descrittivo
Questo fa capire l’importanza della differenza fra sentire e pensare, due operazioni che vengono fatte da due emisferi diversi del cervello. Difficile accettare che ci siano proprio due cervelli che fanno due cose differenti, ma per esempio si sa che se uno tartaglia, quando canta non tartaglia più, perché cantando si attiva l’altro emisfero: il tartagliare riguarda l’emisfero digitale. Sono proprio due cervelli, che fanno cose radicalmente diverse: uno amministra il linguaggio descrittivo, dove ogni oggetto è connesso con tutti gli altri oggetti esistenti al mondo che fanno capo allo stesso concetto, l’altro amministra il linguaggio evocativo, che richiama gli oggetti simili, o interconnessi fra loro nell’esperienza soggettiva di chi parla. Se si esagera con il linguaggio descrittivo si diventa di una noia mortale: per non esserlo, bisogna integrare le descrizioni con il linguaggio analogico, evocativo, bisogna che ci sia insomma un incontro di un linguaggio significativo e di un linguaggio di senso. Il linguaggio di senso è il linguaggio primario dei bambini, quello che Freud chiamò il processo primario. In quel momento dell’evoluzione psichica le parole si connettono con tante cose diverse, infatti i bambini spesso dicono una parola e poi ridono, e uno può pensare che sono scemi, ma in realtà con quella parola indicano tante cose che l’adulto non vede perché sta nel cosiddetto processo secondario,dove ogni parola è legata a un unico oggetto: se si dice sedia, da un punto di vista digitale si intende solo quello che si riferisce al concetto di sedia, mentre per un bambino la parola richiama tutto quello che gli viene in mente accanto a sedia. Non solo per un bambino, anche per un poeta, che fa della parola qualcosa che una persona normale non fa: chi ascolta un poeta spesso rimane a bocca aperta per come va rapidamente da un posto a un altro anche molto distante, mentre normalmente una persona arranca ancorata al processo secondario6.
Il processo primario è il sentire, il processo secondario è il pensare. Per pensare in modo esistenzialmente sensato bisogna farlo su qualcosa: se si ha fame si può pensare se andare a mangiare a casa oppure al ristorante, si può pensare di mangiare questo o quell’altro, ma senza sentire fame qualunque riflessione è arrampicata sulle nubi. “Ora potrei andare a mangiare”. Sì, ma se non senti fame potresti andare anche al cinema. Se non si pensa su quello che si sente il pensare non svolge la sua funzione esistenziale, che è indicare delle direzioni al proprio fare.
Struttura del pensiero
Il pensiero si è evoluto enormemente negli ultimi secoli: nel ‘900 ci sono stati dei pensatori fenomenali. Forse il più grande filosofo della logica è stato Wittgenstein, che a proposito del pensiero diceva una cosa davvero illuminante: il pensiero è come una scala, che va appoggiata da qualche parte per terra e poi nel posto dove si vuole arrivare. Sia l’appoggio che l’arrivo sono punti che stanno fuori dalla scala, e ugualmente dal pensiero, quindi il pensiero stesso non può dimostrarli7. Una volta che si ha quella scala che è un pensiero, bisogna insomma appoggiarla da qualche parte in terra e poi dove si vuole arrivare: questi due punti, che sono fuori dal pensiero, sono scelte che gravano sulla responsabilità di chi pensa. Deciso un punto d’appoggio saldo e poi quello possibile d’arrivo, la scala è uno strumento che può funzionare: se si appoggia però in un punto traballante o comunque che non regge, cade, e anche un pensiero di ottima qualità senza un buon punto di appoggio cadrebbe in terra. Wittgenstein affermava anche che quella scala che è il pensiero permette di arrivare in un posto, e che quando ci si è arrivati la scala si può anche buttare, perché è solo uno strumento per arrivare lì: con questo ridimensiona la realtà stessa del pensiero, che non è più qualcosa di assoluto8 ma semplicemente uno strumento con tutti i limiti del caso.
Il problema del pensiero è insomma che va appoggiato su presupposti, cioè o si appoggia su ipotesi per svilupparlo ulteriormente, o sugli assoluti di un’ideologia, o su quello che si sente, tipo sento fame, penso che è meglio che mangi: poi viene il tempo del fare, vado a vedere dove si può mangiare. Quando il pensiero è appoggiato su quello che si sente e su quello che si vuole è uno strumento fondamentale, che riesce a dare indicazioni importantissime per l’esistenza9: se invece è appoggiato su un’ideologia i risultati sono spesso terrificanti. Del pensiero appoggiato sull’ideologia ci sono tristi ricordi: Hitler era tutt’altro che imbecille, ma appoggiava la scala del pensiero su postulati criminali come il razzismo e la conquista come valore primario, che se si prendono per buoni va bene quello a cui è arrivato, ma che non sono accettabili per una persona civile. Lo scopo di questi presupposti è avere potere, potere, più potere, e se uno lo acquista gli altri lo perdono, e la loro vita diventa grigia.
Se poi consideriamo l’appoggiarsi del pensiero su ipotesi, qui il pensiero pensa se stesso ed è metaforicamente come una scala che si sta allungando, la quale non è detto che vada applicata meccanicamente alla vita quotidiana: il pensiero scientifico è connettibile alla vita, ma per somiglianze, non per uguaglianze. La biologia spiega molte cose psichiche per analogia, che non si possono prendere come se fosse questo che spiega quello: è solo questo che evoca quello10. Se si usa in senso analogico, in area psicologica la biologia è illuminante, se si prende da un punto di vista meccanicistico è un disastro: nel comportamento bisogna sempre considerare una componente di scelta, psicologia e politica esistono perché esiste la possibilità di scelta, e qualsiasi visione meccanicistica è poco attendibile, perché non considera la componente della scelta.
L’essere umano è più stupido del paramecio, un organismo unicellulare che se batte in un ostacolo, ci ribatte una seconda volta e poi cambia direzione. L’uomo è capace di continuare a picchiare il naso tutta vita nello stesso posto, una caratteristica difficile da cambiare, perché dipende dalla verifica del pensiero, che viene fatta di rado: oltre alla chiarezza dei presupposti, per funzionare il pensiero richiede infatti anche le verifiche, cioè ci si appoggia qui per andare lì, se ci si arriva va bene, altrimenti si scende e si sposta la scala Ai tempi dell’invasione della Cecoslovacchia, alcuni comunisti italiani si suicidarono perché avevano dovuto accorgersi che la Russia comunista non era politicamente fidevole: ma avevano sbagliato loro l’orientamento della scala, il Cremlino non aveva mai detto di essere democratico, e faceva quello che decidevano autoritariamente i suoi dirigenti! Il problema del pensiero è che bisogna verificare le ipotesi, non solo andare dietro a un’ideologia, e bisogna rimboccarsi le maniche anche con la fantasia, perché la logica funziona per deduzioni e deducendo si rimane sempre raso terra. Una deduzione ne tira un’altra, ma questo non serve per volare, invece con l’immaginazione e le verifiche si può andare molto più lontano. Le ipotesi devono rimanere ipotesi, fantasie, non aspettative di certezza: solo dopo la verifica diventano qualcosa di concreto. Delle ipotesi che si fanno, solo quelle verificabili diventano appannaggio della comunità scientifica, ma solo fino all’arrivo di una nuova ipotesi: come per Newton, che poi Einstein gli ha scompigliato la sua visione del mondo. Le ipotesi sono immaginazioni, e gran parte della scienza viaggia per immaginazioni, persino inspirandosi ai sogni: anche i buchi neri sono stati scoperti per via analogica da un fisico indiano, Chandrasekhar, mentre faceva la doccia.
Uguaglianze e somiglianze
Nell’esperienza umana, per quanto riguarda per esempio l’organismo, ci sono delle equazioni, tipo bere cianuro = morire, ma per quanto riguarda la vita affettiva ci sono prevalentemente somiglianze. Non si può mica credere davvero che bisogna fare in un certo modo perché l’altro non si arrabbi: se si fa, poi lui magari si arrabbia ugualmente. Il processo è per somiglianza, e bisogna capire a cosa assomiglia la sua arrabbiatura per cercare di evitarla. Nel film Bianco rosso e verdone, il protagonista della storia viaggia tutto in digitale, e la moglie sta chiusa al gabinetto a dire: “Non ce la faccio più, non ce la faccio proprio più!” e alla fine scappa con un magnaccia, tanto il marito è insopportabile. Eppure lui non fa nulla di male: le dice per esempio “Io ti amo, tu mi ami vero? allora è reciproco e tutto va bene!” Il poveraccio è fuori di testa, ma come gli si spiega? Bisogna che scenda dall’assoluto dell’uguaglianza al mondo delle somiglianze, che è approssimativo, non è dimostrabile, è solo intuibile e soprattutto è molto flessibile! La persona che ha l’angoscia di sbagliare non segue questo filo ma quello della certezza, con la quale però finisce il mondo dell’evocazione, che porta la ricchezza delle cose nuove, degli elementi imprevedibili che allargano il cuore e in realtà anche la mente. L’uguaglianza non tocca il cuore, tocca solo la mente: “questo è uguale a questo“ è magari utile, ma non mette allegria! “Questo sembra quest’altro, ohhh che strano!”, e spesso uno si diverte e visualizza quello che potrebbe volere di diverso. La Divina Commedia può essere noiosissima, ma a volte è una meraviglia assoluta perché Dante evoca cose che nessuno aveva pensato e che incantano.
Bisogna certamente pensare per vivere, ma pensare su quello che si sente, perché senza questa base di appoggio il pensare sul piano esistenziale non trasporta: buona parte delle difficoltà nella chiarezza del pensiero vengono quando manca di un appoggio esperienziale. Trovato questo, le differenze allora producono veicoli diversi che portano da parti diverse, né giuste né sbagliate. Ci sono per esempio tante scuole di psicoterapia, perché si appoggiano ognuna su presupposti diversi:
– i freudiani hanno una visione della realtà come se fosse oggettiva, e viene articolata in maniera riconoscibile oggettivamente con una riflessione appoggiata sulla metapsicologia11;
– i cognitivisti hanno una visione dove la realtà è conoscibile perché ogni elemento della realtà corrisponde ad un concetto, e quindi muovendosi su concetti si può conoscere e gestire quello che c’è;
– i gestaltisti si muovono su un piano totalmente diverso, e affermano che il presupposto di riferimento è la fenomenologia: cioè, quello che captiamo del mondo è quello che ci appare ai sensi12, è quello che sentiamo quindi, e quello è il punto dove appoggiare la scala.
A seconda di dove si appoggia il risultato è differente, eppure se si guarda meglio, il pensiero in sé (le regole della logica cioè) è lo stesso, solo che è basato su presupposti differenti, e i presupposti sono scelte personali, non oggettive. La scala si appoggia dove si vuole, il problema è dove poi arriva: è questo che bisogna verificare, perché il risultato dell’operazione conoscitiva è quello che poi bisogna riuscire a maneggiare.
Anche in politica nessuno ha ragione oggettivamente, perché tutti partono da presupposti diversi: i conservatori partono dal presupposto che è bello e buono comandare e mettere sotto gli altri, i progressisti partono dal punto di vista che è buono che l’autonomia delle persone venga rispettata. Questa è scelta, non è logica: un fascista appoggia la scala del suo pensiero sul fatto che comandare è bello e buono e uno che riesce a comandare è il top, un democratico l’appoggia invece sulla libertà di tutti. Non si può dimostrare che la democrazia sia meglio, si può solo evocare degli eventi significativi, per esempio ricordare che la dittatura in Grecia in Cile e in Argentina hanno dovuto riconvertirsi in democrazia perché non ce la facevano economicamente, e questo dice come neanche economicamente l’autoritarismo regga più. Magari è poco, ma tanto di più non si può dire, tante lodi della democrazia non si possono fare: la democrazia, come diceva Konrad Lorenz, è la migliore forma di governo che sia mai stata sviluppata dagli esseri umani, ma che sia la migliore non vuol dire che è buona. Pur essendo la migliore, bisogna comunque rimboccarsi le maniche e cercare di migliorarla.
Differenze e psicoterapia
In psicoterapia si lavora per migliorare la qualità della vita quotidiana: dalla pratica terapeutica viene l’osservazione che le persone in genere stanno male perché l’incontro fra il pensiero descrittivo e quello evocativo è abbastanza malmesso, cioè spesso esagerano con il pensiero descrittivo e non c’è abbastanza evocazione, o a volte il contrario. La poesia è fatta di evocazione, e spesso il pensiero e il linguaggio quotidiano manca di poesia e diventa tremendamente meccanico: questo è questo, quello è quell’altro, eccetera. Ma sono solo quattro cose, e basta così? Con un processo evocativo da quattro diventano mille, e qui si gioca con l’infinità della creazione. Il pensiero descrittivo è quantitativo, mentre il pensiero evocativo produce qualità, e la poesia è appunto qualità. Con qualità e quantità il pensiero quotidiano ha una dimensione viva, con la sola quantità diventa un pensiero meccanico, noioso, dove ci si sente scomodi senza neanche sapere perché. 13
Il problema è il linguaggio: chiunque risulta inascoltabile se esagera nel linguaggio descrittivo, ma se poi si sposta su un linguaggio evocativo smette di essere così pesante. Quello che allora aiuta a tenere un dialogo vivo non è chiedere all’altro spiegazioni logiche ma fargli domande che lo portano a immaginare, tipo “a che scopo14 mi dici questo? Cosa senti quando me lo dici? Cosa ti piacerebbe che cambiasse qui e ora?”. Il significato si muove con l’uguaglianza, il senso con la somiglianza: un quadro fondamentalmente ha senso, e non è che non abbia significato, solo che non è questo l’importante.
Nessuno si vuole sentir dire che sbaglia, perché dall’infanzia più remota c’è un investimento narcisistico sul fatto che “io non sbaglio”. Quello che facciamo però ha il risultato che ha: sei contento del risultato? Buon per te. Non sei contento del risultato? Tieni allora presente che forse se ti sposti un po’ sull’evocativo la situazione migliora. L’evocativo in pratica si chiama immaginare, e le persone non vogliono dire cose immaginate, vogliono essere certi che quello che dicono non sia sbagliato. L’evocativo e il descrittivo hanno dei parametri radicalmente diversi: il descrittivo ha come parametro l’equazione, questo è uguale a questo, nell’analogico c’è la somiglianza, questo è simile a questo. La differenza insomma è che nel linguaggio digitale le relazioni sono di uguaglianza, nell’analogico sono di somiglianza, due parametri che non possono essere sovrapposti perché simile non è uguale e viceversa. Se si pensa un attimo al mondo dell’arte, si vede per esempio che la poesia pur utilizzando il digitale per il significato delle parole, viaggia poi in analogico con quelle somiglianze di senso che si chiamano metafore. Nel mezzo del cammino di nostra vita… non è un’uguaglianza, è una somiglianza che all’ascolto desta echi profondi. L’analogico parla per metafore, il digitale parla per descrizioni. Sono due realtà diverse ma che vanno messe insieme, perché nel mondo non c’è solo uguaglianza e non c’è solo somiglianza.
La psicoterapia esistenzialista lavora nella direzione della democrazia interna, aiutando i pazienti a passare da un regime dittatoriale egoico a un regime democratico pluralista: il regime dittatoriale è quello dell’ ”Io! Io! Io! Io!”, che comporta una vita di sforzi per ottenere più potere. Bisogna accompagnare i pazienti piano piano a un regime democratico, cioè a riconoscere che dentro di noi oltre all’io ci sono tante istanze, tanti bisogni, tante persone che chiedono cose diverse. Evocandole, richiamandole con la fantasia, piano piano è come se il mondo interno si allargasse, e si vede che è abitato da molta più gente. Di conseguenza, se i pazienti credevano di essere inguaiati, non sapevano ancora quanto! I guai di partenza non sono nulla, il problema vero è quello di avere tante persone dentro che non vanno d’accordo e che litigano perché ognuno vuole qualcosa di diverso: non si può guardare da un’altra parte, ognuno si deve rimboccare le maniche e in psicologia come in politica, nel mondo interno come in parlamento, l’umanità deve affrontare il grande problema delle differenze, senza che ci possa essere una soluzione giusta e certa. La grande differenza di base è dentro la propria testa, sono i due emisferi del cervello che fanno due cose diverse: uno produce descrizioni, l’altro evocazioni, e metaforicamente parlando, sono come la mano destra e la mano sinistra. Quale è migliore? In realtà non è che una sia meglio dell’altra, sono indispensabili tutte e due, ma sono differenti e si devono articolare.
Nella psicoterapia freudiana il paziente disteso su un lettino, guarda un muro bianco e dice qualunque idiozia gli venga in mente, mentre lo psicoterapeuta ricuce quello che l’altro ha detto in una visione coesa e comprensibile. Uno immagina e l’altro connette, cioè le due funzioni vengono svolte separatamente e vanno a costituire un insieme. Il paziente fa quello che si chiama libere associazioni, che in linguaggio corrente significa appunto dire scemenze, e il terapeuta si arrampica con le interpretazioni per trovare una trama fra le scemenze, cioè il flusso di contenuti che passa nel mondo interiore, e renderle sensate: interpretare vuol dire aiutare la persona a vedere un cammino percorribile fra quello che gli passa per la testa. Il terapeuta parla poco, e questo significa che ci vuole molto meno digitale che analogico per un discorso compiuto. Analogico del paziente, digitale del terapeuta: la cosa importante cioè è dire scemenze, poi con un po’ di digitale si ricuciono insieme. Non c’è bisogno di digitalizzare tanto, di spiegare tanto, l’importante è fare tante libere associazioni. Più o meno tutte le psicoterapie funzionano in un modo simile: il problema non è che la persona sia malata, è il suo linguaggio che è malato, chiunque parli solo descrittivamente fa venire il latte ai ginocchi a tutti, dai figlioli alla moglie agli amici.
E’ incredibile la difficoltà di dire scemenze, di usare cioè un linguaggio analogico: le persone vogliono sempre dire cose intelligenti. Il lavoro terapeutico è quello di portarli dalle cose intelligenti, cioè dalla figura, alle scemenze, cioè alle libere associazioni che sono lo sfondo 15 del discorso, e così piano piano un’immagine non si vede più isolata, ma acquista un panorama di riferimento: un’immagine non ha senso senza uno sfondo. Se si guarda per esempio l’immagine di una persona sdraiata, se c’è lo sfondo si può capire se la persona è morta, o è caduta, o dorme, ma senza lo sfondo non si capisce niente. Le persone in genere stanno aggrappate con l’attenzione al primo piano: vedo un bicchiere un bicchiere, un bicchiere, un bicchiere… se guardo solo il bicchiere chissà quali pensieri mi faccio sul bicchiere, se guardo anche lo sfondo il bicchiere magari non mi interessa neanche più tanto. La relazione figura sfondo è come guardare qualcuno e insieme il panorama che c’è dietro: la persona sta in mezzo alla strada, in un campo, in un prato, in un bosco… il primo piano si può intendere come la descrizione, lo sfondo, che si intravede con la coda dell’occhio, come l’evocazione. Senza contesto16 è difficile interagire con le persone, che non sono semplicemente delle fotografie immobili, ma punti di arrivo di una storia: se non si vede la storia non si vede la persona, perché la storia è il suo senso e il suo significato.
1 Anche nei cani sembra essere così: Cfr. NAGASAWA MIHO, l’emisfero sinistro dei cani “Science”.
2 Per i cristiani se uno è stato buono va in paradiso e se è stato cattivo va all’inferno. In una chiesa di Cuzco c’è invece un affresco con un labirinto, con dentro una persona che cerca di raggiungere il paradiso: si capisce che è un percorso molto difficile, e che bisogna avere anche parecchia fortuna per arrivarci…
5 Le torture non sono spiegabili con l’ideologia, ma solo con l’amministrazione di un potere dittatoriale, a scanso del nome del partito di Pol Pot, “Kampuchea democratica”!
6 Un esempio letterario illuminante è il dialogo fra il Faust di Goethe e il suo assistente Wagner, che afferma la preponderanza della parola sull’esperienza.
7 La geometria euclidea non si chiama euclidea per le sue considerazioni, che sono puramente logiche, ma per i suoi postulati, che non fanno parte di questa logica: sono semplicemente formulati da Euclide, che ci ha appoggiato sopra le sue deduzioni. “se questo è così, allora se ne deduce che…”
8 Questo è un concetto molto difficile per chi viene dalla cultura cristiana, perché da tempo immemorabile qui il pensiero è il cammino assoluto verso Dio. La teologia cristiana dice che Dio si raggiunge pensando…
9 Gli egiziani avevano una dea, Maat, la dea della giustizia e del pensiero razionale. Da Maat viene ovviamente matematica. Gli egiziani avevano già capito che la matematica era uno strumento divino, un aiuto straordinario per la vita umana.
10 Quattro istinti fondamentali per l’etologia sono fame, fuga, territorio e sesso: non si possono applicare descrittivamente al comportamento umano, ma lo si può fare usandoli come metafore (è come se tu avessi fame di conoscenza, ecc.). Le istanze spingono, ma è il libero arbitrio della persona che destreggiandosi fra le varie spinte dà luogo a un comportamento.
11 La Metapsicologia è la teoria del funzionamento della psiche elaborata da Freud: la sua ideologia insomma.
13 Una moglie si chiede perché suo marito è così noioso: non è noioso, fa noioso, perché in uno stile squisitamente maschile, dà semplicemente descrizioni e nel discorso non ci mette niente di evocativo; le donne in genere cedono un pochino di più all’evocazione, e si annoiano con il solo digitale.
14 In psicoterapia questo è fondamentale, perché a seconda dello scopo che si ha quello che si dice ha un senso diverso.
16 “contesto” è il participio passato di contessere, nel senso di tessere insieme: si intende qui la connessione fra primo piano e sfondo.
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