Storia di un breve viaggio tra immagini, emozioni e racconti
di Francesca Salvatori
Psicologa, Psicoterapeuta
“INformazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia”, n°3 gennaio – febbraio 2004, pagg. 24-27, Roma
Eccoci arrivati. E’ iniziato il nostro viaggio in un paesino perso tra montagne e cielo con la sua “rocca” materna ci attende e ci apre le porte per qualche giorno. Siamo un “gruppo”, ho la sensazione di far parte di una “carovana di psicologi gitani”, di animatori, attori, pronti a lasciare un segno, una traccia, sulle strade antiche di questo luogo. L’accoglienza iniziale mi appare diffidente eppure piena di quella vivace curiosità che pervade le case semplici, l’aria limpida e le vie leggere dei paesini. Gli sguardi sono su di noi con l’intensità di chi vuol sapere, conoscere ma senza farsi scoprire, fuggendo un po’, ognuno nelle proprie abitudini di sempre. Gli occhi sono vivi, mi colpisce il coraggio di guardare, un coraggio che appartiene solo ai bambini e agli anziani paesani scrutatori. Inconsapevoli verso cosa andremo e sconosciuta l’opera che si svilupperà siamo lì, per “lavorare” su di noi e “con” loro, ma loro non lo sanno. La piazzetta è un piccolo angolo di panchine sotto poche ombre verdi, ed è lì che il “ritrovarsi” dei “soliti” rende le calde e fredde giornate sempre diversamente uguali a sé stesse e rassicuranti; ed è lì che mi appoggio in un momento di riposo e che mi affianca un signor X. Senza saperlo ho occupato il suo solito posto, senza saperlo mi sono accomodata in un salotto di intricate relazioni e parole quotidiane che ora cambia un po’. Vivo qualche istante l’aria di silenzio ed avverto l’attenzione su di me, e poi il signor X mi chiede: “Chi siete?” Una sola domanda, un tono familiare, e allora presto mi sento di “appartenere”, di far parte di qualcuno o qualcosa che faccia si che io venga vista come un “voi” e questo mi rende visibile che i nostri intrecci, i nostri rumori e volti nuovi ci hanno mostrato come un “nuovo insieme” all’interno di un “vecchio” luogo di memoria. E poi sento il piacere di questo “far parte di”, e mi dico com’è impossibile essere singoli, come sia possibile che la separazione sia legata all’appartenenza… Quanto c’è in una sola domanda…. Il signor X mi chiede se può parlarmi un po’ di sé: “Questo è lo spazio e il posto del paese dove ognuno parla di chi è soprattutto parlando degli altri…” mi dice. Ascolto, e in brevi istanti sono immersa in racconti di vecchine che ho intravisto, storie di famiglie ormai scomparse, amori e amanti, sentimenti. Ascolto di più, e dimentico tutto il resto e il mio “qui e ora” mi sembra essere solo “lì”, nelle immagini che mi attraversano, nelle fantasie che scorrono e assaporo una complessa leggerezza al profumo e al calore di camino. Al signor X si uniscono anche altri, dapprima con sospetto poi ancora con sguardi vivi, e i loro posti oggi non sono più gli stessi, io “occupo uno di loro” e per questo oggi tutto cambia e l’insieme non è più lo stesso di ieri. E’ necessario aggiustarsi in un posto nuovo, lo spazio c’è, il salotto accoglie nuove disposizioni. Nuovi commenti si affacciano dalle panchine e lentamente la loro accoglienza mi tocca e mi fa stare nella condivisione di sempre.
Immagino questo rito avvenire quotidianamente, immagino di essere un po’ fuori dal caos del mondo che conosco quando mi sembra che l’essenziale del mondo sia tutto lì tra detti e dialetti.
E poi vado, lascio il posto ad altro e vado verso i vicoli, le case e le pietre a conoscere e vedere ancora altro…
Ad ogni passo mi chiedo come i “nostri lavori” (quelli di noi gitani psicologi) possano toccare o coinvolgere un po’ queste vite e se non saranno soprattutto le loro a toccare e a cambiare noi.
Il tempo scorre e di alcuni giorni trascorsi poi sembra esserne stato uno solo lungo e intenso.
Entro in un vecchio palazzo, c’è la mostra quella degli attrezzi antichi e c’è la mostra fotografica delle loro storie, ed ecco che inizia un salto verso altre emozioni.
Osservo, ascolto, vedo di nuovo.
Stavolta sono io che mi avvicino a qualche altra persona del luogo, a “quelle che sanno”, che mi dicono, mi raccontano. Chiedo dove? Cosa? Quando? Chi? Il dialogo si muove e si apre nei racconti di quello che hanno trovato in casa cercando gli oggetti vecchi, di quello che ricordano sull’uso di quegli attrezzi, dei ricordi della loro infanzia con le famiglie, il paese, il lago. Piccoli episodi ed una infinità di immagini che mi si riaffacciano nella mente con case, colori, tavolate, campagne, feste, sudori e legni accesi, cambiamenti…
In fondo “Le domande più semplici sono le più profonde. Dove sei nato? Dov’è la tua casa? Cosa stai facendo? Pensa a queste cose di quando in quando e osserva le tue risposte cambiare…” (R. Bach, 1994)
Poi ecco ancora più presenti le loro fotografie e passo dopo passo ognuno si ricostruisce raccontandosi e l’intensità e l’apertura della loro narrazione trasmettono il loro “Io sono vivo nella mia storia…” e così anch’io “divento” nel mio essere lì.
Ecco che le emozioni e la commozione per qualcosa che non c’è più, ora sono qui e adesso, ognuna con il proprio nome e il proprio viaggio alle spalle.
Tempi, luoghi, spazi diversi, eppure non mi è difficile comprendere e sentire in questo istante che siamo tutti parte della stessa narrazione. La mia storia che passa attraverso quella di altri…“Se veramente mi permetto di capire un’altra persona posso essere cambiato da quanto comprendo. Tutti abbiamo paura di cambiare.” (C. Rogers, 1997)
Mi incuriosisce come il passato “ora” sia così attuale. Eppure non può che esistere ciò che è adesso e in questo istante la ricchezza e l’intensità di quel passato “là” non può che modificare il nostro presente e come un fiore che cade sul lago fa increspare ed ondeggiare tutto lo specchio d’acqua e non solo lì dov’è caduto, dove ha toccato.
E allora il cuore mi si increspa un pò e la nostra “carovana” che continua il suo viaggio gitano mi sembra ormai far parte di quel luogo, di quel lago, della madre rocca.
Le foto mi attraversano, guardo i volti giovani di una volta, i vestiti e angoli di altri tempi in bianco e nero e poi riguardo oggi dove sono, come sono quei giovani che erano lì, e i vestiti e le case? E le immagini si sovrappongono e così le emozioni e sensazioni di calda tristezza e malinconia.
Poi ecco che ogni storia, ogni “percorso fotografico” viene “rappresentato” da una parte del nostro gruppo. Eravamo lì per questo, sperimentare e lavorare per noi… sulle loro storie… Ogni scena prende forma e si trasforma per divenire un film, un teatro, dove gli attori giocano, emozionano, irrompono attraverso i corpi, le espressioni, i cuori che sanno, e le storie antiche diventano ancora nuove.
Di nuovo gli occhi si riaccendono e lo spazio della curiosità lascia il posto alla gratitudine e alla riconoscenza per il regalo che ricevono di aver avuto un valore, un posto importante per qualche istante nelle storie di altri sconosciuti ed è allora che “l’altro diverso da sé diviene parte di sé…” Così negli occhi i colori delle calde nostalgie e commozione toccano ogni corda del viaggio di ognuno…
Un viaggio di molti, tanti o pochi giorni, trascorso attraverso molte vite, racconti, gesti.
Ogni fine genera un inizio, e quando ormai la nostra carovana gitana dovrà ripartire mi appare più chiaro come il nostro esser lì abbia avuto molti sensi e non uno solo… e alla domanda “Chi siete?” una risposta mi risuona come: “Noi siamo… ricordi, immagini, emozioni, sapori per ogni momento…”
E così sento che: “La memoria è fragile e il corso di una vita è molto breve e tutto avviene così in fretta che non riusciamo a vedere il rapporto tra gli eventi; non possiamo misurare le
conseguenze delle azioni, crediamo nelle funzioni del tempo, nel presente, nel passato, nel futuro, ma può anche darsi che tutto succeda simultaneamente…” (I. Allende, 2000)
E il viaggio ha di nuovo inizio….
Bibliografia
- Allende I. “La casa degli spiriti” Feltrinelli, Milano, 2000
- Bach R. “Illusioni” Mondatori, Bur, Milano, 1994
- Perls F.S. “L’approccio della Gestalt testimone oculare della terapia” Astrolabio, Roma
1996
- Perls F.S. “La terapia della Gestalt parola per parola” Astrolabio, Roma 1996
- Polster E.&M. “Terapia della Gestalt integrata” Giuffrè, Milano 1986
- Polster E. “Ogni vita merita un romanzo” Astrolabio, Roma 1988
- Rogers C. “La terapia centrata sul cliente” Brossura, 1997
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